L’ARTE SUPREMA

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IL CENTUPLO QUAGGIU’

Un prete felice, ecco quello che sono.
Credo che la gioia sia sempre segno di una "presenza": quella del Signore Crocefisso e Risorto che si "insinua" nelle pieghe di ogni giornata, di ogni scelta, di ogni gioia, di ogni sofferenza. Una presenza che non ti abbandona, che si fa sentire con tutto il suo fascino e la sua forza, le sue esigenze.
E la presenza di chi mi vuole bene, la presenza di tante meravigliose persone che ho incontrato sulla mia strada.
Grato dal profondo al Signore, devo confessare che vivere alla sequela di Gesù di Nazareth, cercare di mettere i miei passi sui Suoi passi è stato ed è per me davvero trovare il "centuplo quaggiù". Il centuplo in libertà, in gioia, in fraternità, in speranza, in umanità, in profondità …
 

DIVENTARE PADRE

"Grazie don Mirko, oggi con lei ho capito e vissuto la pagina della parabola del figliol prodigo": queste parole dettemi da un uomo della mia età in confessionale sono tra le più belle che mi sono state regalate in occasione del mio trentesimo di sacerdozio.
Più passano gli anni sempre più mi sento dolcemente costretto dallo Spirito a essere, a diventare padre, a convertirmi alla misericordia e alla magnanimità di Dio.
Diventare il padre misericordioso è l’esperienza spirituale più profonda che mi sta accompagnando in questi ultimi anni, sta diventando lo scopo ultimo della mia vita spirituale.
 
Un figlio non rimane un bambino. Un figlio diventa un adulto. Un adulto diventa padre e madre.
La sfida, o meglio la chiamata, è diventare io stesso il Padre. Sono intimorito da questa chiamata.
Sebbene io sia entrambi, tanto il figlio minore che quello maggiore, non devo rimanere come loro, ma diventare il Padre.
Voglio essere non solo colui che è perdonato, ma anche colui che perdona; non solo colui che è accolto festosamente a casa, ma anche colui che accoglie; non solo colui che ottiene compassione, ma anche colui che la offre.
Il ritorno al Padre è in definitiva la sfida a diventare il Padre.
Diventare il Padre misericordioso è lo scopo ultimo della vita spirituale.
(H. Nouwen, L’abbraccio benedicente, Queriniana)
 
Forse lo dobbiamo diventare tutti. Certamente lo devo diventare ed essere io, prete da trent’anni.
Per questo cerco di vivere ogni giorno il rapporto con l’altro come lo descrive quel grande parroco che è stato don Primo Mazzolari:
 
Nell’altro non si entra come in una fortezza,
ma come si entra in un bosco in una bella giornata di sole.
Bisogna che sia un’entrata affettuosa, non un’usurpazione.
Nell’altro si entra da pari a pari,
rispettosamente, affettuosamente,
per tenergli compagnia,
per dargli consapevolezza di forze ancora inesplorate,
per dargli una mano a compiersi, ad essere se stesso,
secondo la sua inclinazione, la sua regola, il suo gioco interiore.
 

NON SMETTO DI "SOGNARE"

Come prete è trent’anni che sogno: un prete non può smettere di "sognare", di scommettere sul Vangelo, di inventare, di rischiare nuove strade, di vivere e comunicare l'incanto della fede. Con passione e un pizzico di follia.
Mi sento in sintonia con quanto afferma G.B. Shaw:
 
Ci sono alcuni che, vedendo le cose come sono, si domandano: perché?
Io sogno cose che non ci sono mai state e mi domando: perché no?
 
Mi spinge potentemente a continuare a sognare un Vescovo a me molto caro, mons. Oscar Romero, ucciso vent’anni fa in Salvador dagli squadroni della morte mentre celebrava Messa. Così racconta di lui il giornalista Maurizio Chierici:
 
Lo trovavo sempre più triste, eppure continuava a lottare. Ed era solo. Gran parte dei vescovi lo aveva abbandonato … Eppure tre mesi prima di morire manteneva la speranza, duro come un ragazzo. Non è un’utopia? provavo a dirgli. "Mi guardi. Se non credessi all’utopia porterei questo vestito?"
 

L’ARTE SUPREMA

Ho ancora negli occhi una meravigliosa sequenza del film "La vita è bella" di Roberto Benigni in cui il protagonista, cercando di imparare l’inchino da cameriere, a poco a poco si inchina letteralmente in due. Lo zio lo "rimprovera" con queste parole:
 
Guarda i girasoli, s’inchinano al sole. Ma se ne vedi qualcuno che è inchinato un po’ troppo significa che è morto! Tu stai servendo, però non sei un servo! … Servire è l’arte suprema. Dio è il primo servitore …
 
E’ questa "arte suprema" che auguro a me, a don Carlo e a don Cesare, da dieci anni preti, a ogni prete.

dall'Informatore Parrocchiale - giugno 2000
 

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