Il NATALE CI FA UOMINI "FERITI"
UNA NUOVA STATUINA
Ogni anno per Natale in molte famiglie si rivive il
"rito" del presepe: si riapre quella scatola dove tutto è
racchiuso, incartato con tanta attenzione ... e le statuine, le
luci, lo scenario riappaiono nel loro splendore e nella loro
"magia". Qualcuno poi, ogni anno, arricchisce il presepe con
qualcosa di nuovo, magari una statuina.
So che qualcuno di voi ha
voluto nel suo presepe la statuina dell "'incantato" di cui vi ho
parlato qualche anno fa: un personaggio con una mano accostata
alla fronte per poter guardare meglio, per poter guardare
più lontano. Simbolo di chi desidera fermarsi a guardare,
di chi sa vedere oltre gli occhi della semplice ragione, di chi
sa aprirsi alla meraviglia e lascia la parola al cuore. Simbolo
del credente.
Quest'anno ve ne propongo un'altra: ho trovato il
suggerimento nel libro "Dio si è fatto bambino" (ed.
Città Nuova) del vescovo Klaus Hemmerle. E' la statuina di
Zaccheo, il personaggio di cui ci racconta l'evangelista Luca al
cap. 19.
In quel tempo Gesù, entrato in Gerico,
attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo,
capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse
Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla,
poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per
poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva
passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù
alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito,
perché oggi devo fermarmi a cosa tua". In fretta scese e
lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano:
"E' andato ad alloggiare da un peccatore!". Ma Zaccheo, alzatosi,
disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei
beni ai poveri, e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro
volte tanto". Gesù gli rispose: "Oggi la salvezza è
entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio
di Abramo; il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare
e a salvare ciò che era perduto".
(Lc 19, 1- 10)
E' bastato un grande desiderio, una parola, un incontro e la vita di
Zaccheo è radicalmente cambiata.
"Oggi voglio fermarmi a
casa tua, da te": sono queste le parole che, se ci mettiamo in
ascolto davanti al presepe, il nostro Dio suggerisce al nostro
cuore. Zaccheo siamo noi.
Possiamo fare la sua stessa esperienza:
sentirci amati, così come siamo, in modo sconfinato e
senza pentimenti dal nostro Dio che vuole trovare un "posto"
nella nostra vita, nella nostra libertà, nel nostro cuore.
Come Zaccheo possiamo volerlo vedere, incontrare, accogliere.
E come Zaccheo possiamo ricevere un dono grande: la
possibilità di ricominciare tutto daccapo, la
possibilità di nuove relazioni. Con Dio, con noi, con il
prossimo.
Eugenio Montale, nella sua poesia "Come Zaccheo",
scriveva cosi:
Si tratta di arrampicarsi sul sicomoro
per vedere Il Signore se mai passi.
Ahimè, non sono un rampicante
ed anche stando in punta di piedi
non l'ho mai visto.
Vi auguro in questo Natale di essere dei "rampicanti", perché stare coi
piedi piantati a terra o solo in punta di piedi non basta... Come
disse nel Natale dei 1971 il card. Giovanni Colombo a Montale:
I doni di Dio (di cui la fede è il primo) non ci lasciano
inerti, ma esigono, a volte anche drammaticamente, che abbiamo a
sollevarci verso di loro. La ringrazio d'avermelo ricordato con
versi di una semplicità e di uno splendore da gemma.
PARTICIPIO PRESENTE
"Arrampicarsi" su un sicomoro e imparare a
credere, giorno per giorno, dentro le vicende che si presentano
alla nostra libertà. E imparare a "dare del tu" al nostro
Dio.
Come splendidamente racconta lo scrittore Erri De Luca nel
suo libro "Ora prima" (ed. Qiqajon).
Non sono ateo. Sono uno che
non crede....
Credente non è chi ha creduto una volta per
tutte, ma chi, in obbedienza al participio presente del verbo,
rinnova il suo credo continuamente. Ammette il dubbio, sperimenta
il bilico e l'equilibrio con la negazione lungo il suo tempo.
Sono uno che non crede. Ogni giorno mi alzo assai presto, sfoglio
per mia usanza l'ebraico dell'Antico Testamento che è la
mia ostinazione e la mia intimità. Così imparo.
Sono uno che non sa rivolgersi, che non sa dare il tu al libro e
al suo autore.
E ora che sono arrivato a nominare questo pronome,
devo parlare di Giobbe, perché nel suo libro il tu
è il punto più alto della relazione con Dio.
Giobbe che ha maledetto la sua nascita e ha usato con Dio toni da
bestemmiatore ... ha parlato secondo Dio. Perché lui fa
con Dio una cosa che nessuno degli altri fa e che trasforma tutto
il suo contendere, anche aspro, in una cosa corretta: dà
del tu a Dio. ... Il tu frontale che gli darà sollievo e
lo giustificherà.
Il tu è l'unico pronome che si
addice allo scambio tra creatura e creatore, Giobbe lo trova in
mezzo alla sua prova, non lo possiede prima. Il tu è il
salto del fosso che i compagni riuniti intorno a lui non
compiranno mai nel corso del libro. Essi restano nella loro
trincea difesa, parlando di Dio alla terza persona, mai parlando
con Dio.
Racconto questa vicenda del tu nel libro di Giobbe
perché è per me la profonda differenza tra chi
crede e chi no. Chi crede dà il tu a Dio, gli si rivolge
riuscendo a trovare dentro di sé il verso, l'urlo o il
bisbiglio, il luogo, chiesa o casa o aria aperta, per
distogliersi da se stesso e disporsi verso il proprio oriente.
In questo Natale vi auguro questo "salto dei fosso" perché
credente non è chi ha creduto una volta per tutte, ma
colui che ogni giomo ricomincia di nuovo a credere, stupito di un
Dio che a Natale si fa Bambino.
UOMINI "FERITI"
Zaccheo, Giobbe, infine Giacobbe. Ricordate la sua lotta notturna con l'angelo (Gn
32,25-33)? Simbolo della lotta di ogni uomo con il mistero
divino, con Dio stesso. L'alba ci fa ritrovare Giacobbe
zoppicante, colpito dall'angelo.
Come se nell'affrontare il mistero ci si "ferisca". "Fate di lui un uomo ferito", è
la preghiera di un personaggio de "La scarpina di raso" di Paul
Claudel. Non solamente per un amore impossibile di cui parla il
libro.
Faccio mia questa preghiera per me e per voi, in questo Natale.
Uomini "feriti" dal mistero di Dio, dal volto di Dio,
dall'amore di Dio che si fa Bambino in Gesù di Nazareth.
Difficile "liberarsi" di Dio:
Il non potersi più liberare
da Dio è l'inquietudine affannosa di ogni vita cristiana.
Chi gli ha ceduto una volta, non se ne libera più. Come un
bambino non si libera della madre, come un uomo non si libera
più della donna che ama. Colui al quale egli ha parlato
una volta, non può dimenticarlo completamente; egli lo
accompagna continuamente nel bene e nel male, egli lo segue come
ci segue la nostra ombra. (Dietrich Bonhoeffer, Fedeltà al
mondo, Queriniana)
Uomini "feriti" dal mistero che è
l'altro, dal volto dell'altro, dai bisogni degli uomini.
Perché da Natale Dio prende carne e volto ìn ogni
uomo. Ciascuno è immagine di Dio, segno, sacramento della
sua presenza.
"Quello che fate ai più piccoli dei miei
fratelli, lo fate a me" (Mt 25,40) ... Chi vive per Dio sceglie
di amare. Chi sceglie di amare e lo dice con la vita,
arriverà un giorno ad interrogarsi su una domanda fra le
più forti che ci siano: come alleviare le sofferenze
umane, siano esse vicine o lontane?
(Frère Roger - Taizé)
Difficile "liberarsi" dì Dio. Difficile
"liberarsi" degli altri ... ma tutto questo è Natale!
l'Informatore parrocchiale, Dicembre 1998 |