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MESSA IN COENA DOMINI

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GIOVEDI' SANTO 2003

Gio 1, 1-6; 2, 1-2.11; 3, 1-5.10; 4, 1-11; Mt 26, 41. 45-46; 1 Cor 11, 20-34; Mt 26, 17-75
 

Dio è amore, ama tutti e perché ama, dona.
Dio è amore e perché è Padre dona suo Figlio Gesù.
Gesù ci ama e perché ci ama si dona, ci dona l'Eucarestia e il suo Spirito: questo cantano Giona, Paolo, Matteo; questo canta il Giovedì Santo.


DIO AMA TUTTI: QUESTO CANTA GIONA
Giona 1, 1-6; 2, 1-2.11

Nel rito ambrosiano la lettura di Giona, prima lettura della Messa in Coena Domini, è il portale d'ingresso del Triduo Pasquale.
Ma che ci sta a fare questo apologo, questo racconto didattico in una celebrazione di altissima drammaticità come quella di questa sera?
Ci sta perché è il canto della magnanimità di Dio: è la rivelazione di un Dio che ama per primo, che ama tutti e che perdona a tutti: è lo scandalo, la 'follia' di un Dio ricco di amore e di misericordia, di un amore esagerato, senza confini.
E insieme è lo scandalo di un uomo, di un profeta in fuga. In fuga dalla Parola di Dio, dalla coscienza, dalla misericordia, dal prendere parte alla sorte degli uomini.
Invece che meraviglia e stupore per lo sconfinato, sorprendente e inedito amore di Dio, Giona prova solo indignazione e grettezza meschina.

Uno degli scandali peggiori che le comunità cristiane possono offrire al mondo è il fenomeno di persone che, dopo una meticolosa fedeltà a tutta una vita di osservanze religiose, falliscono manifestamente nell'impresa di diventare umane: sono acide e spietate; sembra proprio che il tipo di vita che conducono, invece di addolcirle, le abbia rese meschine, rigide, di vedute ristrette, dalla lingua tagliente, dure con la gente, incapaci di amare e lente a perdonare. (Mary Boulding).



GESU' CI DONA L'EUCARESTIA: QUESTO CANTA PAOLO
1 Corinti 11, 20-34

Giovedì Santo: sera dell'Ultima Cena, sera dell'Eucarestia.
Non devi più cercare Dio alzando gli occhi, ma abbassandoli sopra un altare: basta guardare il pane santo dell'Eucarestia.

Nella seconda lettura di stasera, 1 Cor 11, 23-24: si parla di una pane preso - benedetto - spezzato - dato

Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me".

Questi quattro verbi prendere - benedire - spezzare - dare

  • sono i verbi dell'Ultima Cena di Gesù con i suoi discepoli e riassumono tutta la vicenda di Gesù e il suo insegnamento, profetizzano la sua passione.

  • riassumono la vita di ogni sacerdote perché ogni giorno il sacerdote prende il pane, lo benedice, lo spezza, lo dà alla sua comunità.

  • riassumono la vita di ogni cristiano perché ogni cristiano è chiamato a diventare il pane del mondo, pane preso, benedetto, spezzato e dato. Così descrive in maniera splendida Elena da Persico la vita cristiana:

Egli mi prese nelle Sue mani,
Ringraziò il Padre.
Mi benedisse, mi spezzò, mi donò.

Il "Fate questo in memoria di me" di Gesù non comanda soltanto di ripetere un rito ma di istituire la vita cristiana, di diventare la Chiesa del 'grembiule' (come ha detto mons. Tonino Bello), ci invita a fare della nostra vita ciò che Lui ha fatto della sua, un dono da donare agli altri e ci fa capaci di vivere la vita come un dono.
Qui sta l'inizio della comunità cristiana: l'amore non si vede, se ne vedono i doni. Amare è donare, è dare.
Non dimentichiamo che nella preghiera del Padre nostro non si dice mai "io" o "mio".
L'Eucarestia ci chiama a vivere la logica della Pasqua, la logica dell'amare come Gesù ha amato, la logica del dare la vita, la logica del servizio, del trasfigurare questa terra "in cieli e terra nuova".

Da quel Giovedì Santo, Gesù si vela e si svela, e si dà nell'umiltà del pane e del vino. Gesù, diventando pane, entra dentro di noi. Ma

Chi mangia me mangia il fuoco (Efrem il Siro)

Se il Signore viene ad abitare in noi, porta in noi la sua passione per Dio e per il prossimo.
Fare Pasqua è spostare il nostro baricentro "dall'io all'altro" come ci insegna questo splendido avvenimento:

Qualche anno fa, alle Paraolimpiadi di Seattle, nove atleti, tutti mentalmente o fisicamente disabili erano pronti sulla linea della partenza dei 100 metri. Allo sparo della pistola, iniziarono la gara.
Uno dei nove cadde sull'asfalto, fece un paio di capriole e cominciò a piangere. Gli altri otto lo sentirono piangere. Rallentarono e guardarono indietro. Si fermarono e tornarono indietro.
Una ragazza con la sindrome di Down si sedette accanto a lui e cominciò a baciarlo e a dire: "Adesso stai meglio?". Allora, tutti e nove si abbracciarono e camminarono verso la linea del traguardo.
Tutti nello stadio si alzarono, e gli applausi andarono avanti per parecchi minuti. Persone che erano presenti raccontano ancora la storia. Perché?
Perché dentro di noi sappiamo che la cosa importante nella vita va oltre il vincere per se stessi.La cosa importante in questa vita è aiutare gli altri a vincere, anche se comporta rallentare e cambiare la corsa.

Questo spostamento "dall'io al tu" è molto difficile se Soren Kierkegaard è arrivato a dirci che

Si deve veramente aver sofferto molto,
si deve essere stati infelici
prima che si possa iniziare… ad amare il prossimo


SVEGLIAMOCI PRIMA CHE IL GALLO CANTI:
QUESTO CANTA MATTEO
Matteo 26, 17-75

Permettetemi una annotazione sulle ultime righe del brano di Vangelo di Matteo al capitolo 26, versetti 69-75, letto stasera, cioè su Pietro.

Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: "Anche tu eri con Gesù, il Galileo!". Ed egli negò davanti a tutti: "Non capisco che cosa tu voglia dire". Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: "Costui era con Gesù, il Nazareno". Ma egli negò di nuovo giurando: "Non conosco quell'uomo". Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: "Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!". Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: "Non conosco quell'uomo!". E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: "Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte". E uscito all'aperto, pianse amaramente.

Pietro assomiglia a noi; è il re delle promesse ma poi nella vita 'crede e tradisce', 'ama e rinnega'.
L'ha scritto in maniera lucidissima Diego Fabbri nel suo "Processo a Gesù":

Disprezzatemi pure. Ma quel che non volete capire e che purtroppo io, forse, non riuscirò a farvi intendere, è che si può nello stesso tempo credere e tradire, amare e rinnegare … sì! Sì! Ve lo dico io che si può! L'amavo, io, mentre dicevo nel cortile del palazzo di Anna: "Non l'ho mai visto … non lo conosco" … L'amavo sempre! L'abbandonai. Eppure - dovete credermi - gli volevo ancora bene: credevo che era il messia".

Il Signore guarda stasera a ciascuno di noi: svegliamoci alla logica della Pasqua, alla logica dell'Eucarestia, alla logica del Vangelo, svegliamoci all'Amore, verso Dio e verso il prossimo, magari con qualche lacrima sul viso… "prima che il gallo canti".

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