Prefazione
UN UOMO LIBERO
È stato il mio professore di religione al liceo. Erano tempi
cupi quelli della fine degli anni ’70 al liceo di Desio. La misteriosa
fuoriuscita della diossina all’Icmesa di Seveso, poco distante, aveva
contribuito a rendere ancora più arrabbiati gli animi di adolescenti destinati a
diventare grandi tra manifestazioni, scioperi, occupazioni, autogestioni, bombe
stragiste, sanguinosi atti di terrorismo. Ricordo che quando a scuola giunse la
notizia del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione dei carabinieri di scorta
non furono pochi ad applaudire. Così pure ricordo che non mancavano i sorrisi di
compiacimento la mattina in cui ci riunimmo in assemblea alla notizia che
avevano sparato al papa e nessuno sapeva se sarebbe sopravvissuto. Tutto era
politica, allora. Era di moda presentarsi in classe col giornale sotto braccio,
i capi arrivavano con Lotta continua o Il quotidiano dei lavoratori.
Lui sotto braccio arrivava con un pacco di libri, e con il
sorriso sicuro stampato sulla faccia. Libri non solo religiosi, anzi soprattutto
non religiosi: romanzi, saggi, poesie, classici di filosofia. Ricordo di aver
letto per lui L’essenza del cristianesimo di Ludwig Feuerbach, il testo
fondamentale dell’ateismo teoretico (1841), e di averlo presentato in classe.
Nelle sue ore anche quelli di Lotta continua stavano attenti, perché proprio di
questo si trattava, di una lotta di idee, di un polemos mai sopito, alta
tensione dialettica, ma sempre sulla base di libri, testi, pagine d’autore. Una
scuola di religione come scuola di idee, come grande palestra per imparare a
fare le domande che contano.
Ma più importante dei libri era il sorriso. Non un sorriso
debole o compiacente di chi cerca alleati in territorio nemico, ma un sorriso
forte, diretto, franco; un sorriso solidale sì, ma quasi di sfida, una sfida
all’intelligenza e alla libertà. Era un sorriso che ti metteva voglia di
leggerli quei libri. Perché quando sei giovane i libri te li possono anche
tirare in testa, possono diventare pesanti come pietre, vere e proprie prigioni,
ci sono dei libri che possono uccidere per sempre nell’animo di un ragazzo la
voglia di leggere e di capire. E poi lo stesso libro, se lo affronti con il
sorriso e la libertà interiore di chi non sa già la risposta, dà tutt’altri
frutti rispetto a chi lo legge sapendo già quello che vuole, quello che è giusto
e sbagliato. C’è una bella differenza tra chi legge cercando la verità e chi
solo conferme. La curiositas, l’intelligenza critica, il coraggio di affrontare
seriamente anche quei testi che la pensano diversamente da te, il coraggio di
studiarli, è assolutamente essenziale perché crescano la libertà e la
responsabilità. A lui devo tutto ciò.
Don Mirko è stato un vero educatore. L’etimologia di questa
parola (che purtroppo ci è diventata così noiosa che sbadigliamo solo a
sentirla) è straordinaria: "tirare fuori", e-ducere. Troppo spesso si fa il
contrario: si mette dentro. Si mettono dentro nella testa degli studenti o dei
parrocchiani nozioni, consigli, obblighi, precetti. Si mette dentro. Quello che
inevitabilmente ne risulta è spesso un senso di troppo pieno, di pesantezza, di
oppressione, di noia. E i più intelligenti scappano. Il vero educatore, invece,
tira fuori. Che cosa? Le ricchezze già contenute nell’anima umana. Quali? la
voglia di vivere, la curiosità di fare domande, il coraggio di fare quelle più
scomode, l’onestà interiore, l’amore per la verità, la simpatia verso la vita e
le cose importanti della vita, il senso dell’amicizia e della fedeltà. E quello
che ne risulta è un senso leggero di ottimismo. Non l’ottimismo banale e fatuo
della pubblicità e dei protagonisti dell’intrattenimento televisivo, i cui falsi
sorrisi si spengono insieme alle luci delle telecamere, ma l’ottimismo vero,
quello critico, quello che comincia la mattina presto, quando è ancora buio,
quando nessuno ti vede, che nasce da una sorgente interiore e che noi cristiani
sappiamo essere una virtù teologale e lo chiamiamo speranza. Ne ha parlato il
maestro: "fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo petto".
È stato importante a sedici anni incontrare uno così, se ho
deciso di studiare teologia e sono diventato un teologo è anche a causa sua. Ma
non è meno importante ritrovarlo tale e quale ora che ho superato i quaranta,
perché si tratta della prova che quelle parole e quei sorrisi non erano per lui
un trucco del mestiere, ma la realtà più profonda della sua vita, il tesoro che
nessuno gli potrà mai togliere.
Un uomo libero, ecco che cos’è don Mirko, perché la libertà
autentica nasce unicamente dall’adesione al vero. Altrimenti non c’è la libertà,
c’è solo il libero arbitrio, che sta alla libertà come quattro uova, un po’ di
zucchero, qualche etto di farina e due o tre chicchi di caffè stanno a un
magnificente tiramisù.
Scrivo queste cose su don Mirko mentre sono all’aeroporto. Ho
già fatto il check-in e tra qualche minuto chiameranno il volo. C’è una
televisione là in fondo che promette paradisi terrestri. Uomini con la testa
sprofondata nei quotidiani. Sono arrivate due donne che non chiudono la bocca.
Telefonini che imperversano. Dove va la gente? Che cosa cerca? Dove andiamo? Che
cosa cerchiamo? Tra qualche minuto mi imbarcherò per Napoli dove un altro prete
decisivo per la mia vita, Bruno Forte, oggi verrà consacrato vescovo. Spero,
quasi sono sicuro, che si tratta di una felice liaison.
Vito Mancuso
Docente di teologia contemporanea presso la Facoltà di
filosofia dell’Università San Raffaele
8 settembre 2004
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