Premessa

Nell'anno 2000 si son tenute al Suffragio una serie di conferenze o, meglio, di inviti alla meditazione, su un tema dal titolo intrigante: "SE NON DIVENTERETE COME GUFI".
Sono state raccolte in un volumetto che si può acquistare in Segreteria ma, per chi desidera scaricarle dal web, offriamo la raccolta completa. Saranno letture da assaporare frase per frase, perchè inducono a fermarsi a riflettere sui tanti perchè della vita.


I gufi e le civette mi piacciono per i loro occhi. Ah! Quegli occhi enormi, occhi da icone!
Non vedete, o saggi, non vedete, o assonnati dagli occhi cisposi, uomini e donne dagli occhietti stretti e semichiusi, che Dio ha fatto gli occhi dei gufi e delle civette così enormi affinchè fossero occhi che vedono nella notte?
Per scrutare le tenebre bisogna avere occhi smisurati, gli occhi di Dio stesso.

(Louis Albert Lassus)

[Daniele Morini, Pala del Battistero, 2000, particolare
Santa Maria del Suffragio, Milano]

Battigufo: vede e consiglia
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PREFAZIONE

Se non diventerete come gufi è stato l'originale titolo col quale ho invitato la parrocchia di Santa Maria del Suffragio in Milano ad approfondire la lettera pastorale 2000/2001 del Card. Carlo Maria Martini, dal titolo:La Madonna del Sabato Santo.
E' stata una lettera "sosta", nell'anno del pellegrinaggio, del Giubileo, una pausa ma non una fuga, un situarci con radicalità nelle pieghe del presente, personale e sociale, un ritrovare sostegno, respiro, fiducia, forza, un aiuto a superare la crisi della speranza.
Ti aspettavi un programma, invece ci si è trovati di fronte a una meditazione che parte dal cuore e arriva al cuore. Dal cuore del nostro Arcivescovo al nostro cuore. Al cuore della fede e della speranza. Attraverso il cuore dei discepoli e il cuore di Maria.
E' una lettera che parla di un "sabato" e di una "donna forte"......
quell'indimenticabile sabato incastonato tra la morte e la risurrezione di Gesù, e Maria, la madre di Gesù, donna che continua a credere nell'ímpossíbíle di Dio.

Pellegrini nella notte

Avete sicuramente provato a entrare in una chiesa il Sabato Santo: un abisso di silenzio, quasi schiacciante. E' il giorno del mistero del dolore e della morte, il mistero più delicato, il mistero che lascia senza parole, a volte senza lacrime e senza speranza, il mistero che ci fa urlare contro Dio.
Giorno di silenzio e di domande estreme. Giorno di smarrimento. Lo smarrimento che hanno provato gli stessi discepoli di Gesù.
Un sabato, uno smarrimento, cifra dei nostri giorni, dei nostri smarrimenti.
Non ha paura a parlare di questo il nostro Cardinale, non ha paura a parlare della paura, personale e sociale.
Perché sa che siamo pellegrini nella "notte".
Lo diceva già un grande mistico, innamorato di Dio, san Giovanni della Croce:

Io conosco la fonte, scivola, corre, ma è di notte.
Nella notte oscura di questa vita io la conosco la fonte, con la fede, ma è di notte.
Io so che non può esservi cosa più bella che cielo e terra vengano a bervi ma è di notte.
Io so che è un abisso senza fondo e che nessuno può passarla a guado ma è di notte.
La sua luce non si scurisce mai e io so che da lei nasce ogni luce ma è di notte.
Questa fonte eterna è nascosta in questo pane vivente per darci la vita ma è di notte.
Di là essa chíama ogni creatura che viene a bere nella sua acqua nell'ombra ma è di notte.
Questa fonte viva del mio desiderio in questo pane di vita io la vedo ma è di notte.

Se non diventerete come gufi

Ma c'è una "donna forte" che irrompe in questo "sabato" di sempre: Maria, la madre di Gesù, che sa stare ritta ai piedi della croce, che non ha bisogno di vedere per credere, che resiste, persevera nella fede, anche quando sembra tutto finito, tutto perduto, donna che attende, che sa vedere oltre il buio, che sa vedere l'alba dentro un tramonto.
Come i gufi...

I gufi e le civette mi piacciono per i loro occhi. Ah! quegli occhi enormi, occhi da icone! Molto prima di me, hanno letteralmente affascinato i Bizantini. Con loro sono diventati gli occhi del Cristo Pantocrator, quelli della Vergine, degli angeli e dei santi.
occhi di gufo Bestemmia, sacrilegio? Via... Non vedete, o saggi, non vedete, o assonnati dagli occhi cisposi, uomini e donne dagli occhietti stretti e semicbiusi, che Dio ha fatto gli occhi dei gufi e delle civette così enormi affinché fossero occhi che vedono nella notte, quando le cose sono ciò che sono e nient'altro?
Per scrutare le tenebre bisogna avere occhi smisurati, gli occhi di Dio stesso.
Allora la notte diventa luce.
Gli occhi di Dio! Enormi, così enormi che un giorno qualcuno disse: "Bisogna chiamarlo Theos", Colui che vede, si stupisce e si meraviglia.
Capisco come il mio amico Bessarione abbia aggiunto: "L'uomo di Dio? Non è né un asceta, né tantomeno un virtuoso pago della sua virtù, ma semplicemente questo: uno sguardo, un occhio come i Serafini e i Cherubini, come Dio stesso".
I gufi.. si ostinano a scrutare la notte con i loro occhi rotondi, la notte delle cose, la notte di Dio. Sono là come sentinelle in attesa, pazientemente appollaiate sulle loro fragili zampe, fino a che si levi l'Altro Sole.
Mi trovavo un giorno in un celebre monastero benedettino. Ebbi l'incredibile audacia di dire, di fronte alla comunità riunita (un 'impressionante e dignitosa massa nera): "Miei padri, se non diventerete come gufi non entrerete nel Regno ... ".
Ci fu un momento di silenzioso stupore. Poi vidi i volti di quei cercatori di Dio ridere come stelle in inverno. Sapevano che avevo ragione.
Non sono mai più tornato in quel monastero: a cosa servirebbe? Non ho più niente da dire dal momento che tutti hanno capito che il cammino era chiaramente quello: diventare uomini dagli occhi immensi

(Louis Albert Lassus, Pregare è una festa, Gribaudi).

Occhi di fede, occhi immensi che bucano la notte e che già ci fanno sognare l'alba, occhi che già ci fanno intravvedere i colori di un'alba promessa, come è accaduto in quello splendido mattino di Pasqua.
Gli stessi occhi di Maria. Così attaccata al cuore di Gesù, alle sue Parole, da saper vedere con i suoi occhi.

Occhi di gufo. Occhi di speranza

Se dovessi confidare ciò che ho sempre voluto vedere sbocciare o crescere nelle persone che ho incontrato, anche nel buio della "notte", anche nella "tempesta", non avrei alcun dubbio: la speranza. Come ci ricordano questi mirabili versi:

La fede che preferisco, dice Dio, è la speranza.
Una fiamma tremolante
ha attraversato lo spessore dei mondi.
Una fiamma vacillante
ha attraversato lo spessore dei tempi.
Una fiamma ansiosa
ha attraversato lo spessore delle notti.
Da quella volta che il sangue di mio figlio
colò per la salvezza del mondo.
Una fiamma impossibile a spegnersi,
impossibile ad estinguersi al soffio della morte.
Ciò che mi stupisce, dice Dio, è la speranza.
E ne rimango scombussolato.
Questa piccola speranza
che ha tutta l'aria d'un nulla.
Questa bambina speranza. Immortale.
Sperare è difficile.
L'inclinazione a disperare,
questa è la grande tentazione.
La piccola speranza
procede tra le sue due grandi sorelle,
la fede e la carità,
solo non si fa attenzione a lei.
E il popolo crede volentieri
che sono le due grandi
a trascinare la piccola per mano.
Ma è quella in mezzo
a trascinare le sue grandi sorelle.
Senza di lei, loro non sarebbero niente.
E' lei, la piccola, che trascina tutto.
Lei vede ciò che sarà.
Lei ama ciò che sarà.
La mia piccola speranza
è colei che sileva ogni mattina.
E' colei che tutte le mattine ci dà il buongiorno

(Charles Péguy).

La speranza non è solo in qualche cosa, è soprattutto in "qualcuno".
E per noi cristiani questo qualcuno ha un nome, un volto, una storia: quelli di Gesù di Nazareth, il Crocifisso.
Dalla Croce di Gesù, dalla Resurrezíone di Gesù, da "quella volta", come dice Péguy, da quell'alba inattesa e sorprendente, incredibile e inaudita, la speranza è possibile. Nasce lì, incrollabile. All'ombra di una croce, alla luce di un'alba.
Ma la speranza non è ottimismo facile e infantíle. La speranza non nasconde la tragicità della vita, della storia. La speranza rimanda certamente a una vita dopo la morte, a una vita non meno che eterna, ma non rimanda solamente a dopo, all'aldilà, mistificando il presente.
La speranza ci dona occhi nuovi, cuore nuovo, vita nuova, per vivere il presente con passione e lucidità, e con un pizzico di sana follia.
Bisognerebbe riprendere tra le mani il Vangelo di Giovanni, al capitolo 20 e contemplare Pietro e Giovanni che corrono al sepolcro vuoto, dove trovano le "reliquie" della morte di Gesù. Giovanni "vide e credette", sta scritto. Tutto sembra segno di morte, per Giovanni invece tutto diventa segno di vita. E' il "capovolgimento" della fede, della speranza.

Una sera la tartaruga decide di andarsene a fare un giro notturno. Il rospo che la vede le dice: "Che imprudenza uscire a quest'ora!". Ma la tartaruga continua e, mentre fa un passo più lungo dell'altro, si ritrova girata sulla schiena. Il rospo esclama: "Te l'avevo detto! E' un'imprudenza, ci lascerai la vita!". Deliziosa, con gli occhi pieni malizia, la tartaruga gli risponde: "Lo so bene. Ma per la prima volta vedo le stelle".

... "vedere le stelle"... è quello che capita a chi spera, a chi crede nell'imprevedibilità di Dio. A chi prende forza da Lui.

Chi crede, chi spera,
non incontra fiumi senza guado...

Chi crede, chi spera ritrova capacità di gesti e di sogni nuovi.

Bisogna che ci ribelliamo alla disperazione. Bisogna che le nostre speranze si facciano più testarde e vitali. E' possibile? Io voglio esprimere qui, per quel che conta, la mia certezza: è possibile. Le nostre speranze possono, se siamo cristiani, alimentarsi della convinzione che il Salvatore vive nella storia e la anima, in maniera misteriosa ma reale, attraverso la forza che il suo vangelo offre a chi lo accoglie; ma le nostre speranze possono e debbono alimentarsi anche della contemplazione delle inesauribili volontà di tanti popoli di uscire dalla loro oppressione.
Se qualcuno, trent'anní fa, mí avesse detto che nel 2000, negata loro ogni giustizia, i palestinesi avrebbero continuato a battersi, non lo avrei creduto. Se mi avessero detto la stessa cosa per i kurdi o per gli indios del Chiapas o per i campesinos brasiliani Sem Terra o per i poveri di Korogocho, ancora avrei detto: impossibile.
Dobbiamo imparare da loro.
Nella Bibbia si parla spesso di sentinelle come simboli dí speranza. Stanno insonni, in luoghi elevati, vedono da lontano i primi bagliori dell'aurora, le tenebre lacerate dal primo raggio di sole. Forse non è questo il ruolo della nostra generazione. Forse noi siamo le sentinelle chiamate a salire sugli spalti nei primi turni di guardia, in piena notte, quando il freddo è più intenso e ombre mostruose sembrano fremere in un'oscurità che durerà ancora a lungo. Forse, quando andremo a dormire, l'alba non sarà ancora sorta. Ma noi sappiamo che verrà e che, in qualche misura, sarà stata anche la nostra fedeltà a prepararla nel ventre della storia
(Ettore Masina).

La speranza: il segno di riconoscimento dei cristiani.
La speranza: non un lusso, ma un dovere.
La speranza: non un sogno, ma la strada per rendere reali i sogni.
La speranza: donata a chi dona il proprio cuore a Dio.
"Donami il tuo cuore", ci dice Dio, "ti darò i miei occhi".
Occhi di gufo.
Per imparare a guardare con questi occhi di gufo, per essere capaci di speranza abbiamo camminato insieme a splendidi relatori:

    Padre Marko Ivan Rupnik, teologo, artista e brillante comunicatore. Autore di un capolavoro: la cappella Redemptoris Mater nel Palazzo Apostolico della Città del Vaticano. Un'opera dove si respira la gioia del Vangelo e la ricchezza di una teologia ecumenica.

    Aurelio Mottola, un laico! Teologo capace, profondo e rigoroso, coordinatore della prestigiosa "Rivista del Clero Italiano" di "Vita e Pensiero".

    Don Stefano Guarinelli, ingegnere, teologo, psicologo, prete ricco di competenza che con sapienza evangelica e lucidità sa leggere i "segni dei tempi".

    Mons. Bruno Maggioni uno dei più noti biblisti italiani. Affascina per la sua profondità, per la sua essenzialità, per la sua chiarezza e la sua umiltà. La sua lettura della Bibbia è un esempio splendido di come la lettura esegetica non tarpi le ali alla lettura spirituale e attualizzata del testo sacro.

    Don Franco Brovelli, straordinario esperto della liturgia e della vita cristiana, un prete che sa essere discepolo dell'unico Maestro, che sa essere vero compagno di viaggio nel cammino della fede e della fraternità per tanti preti.

* * * * *

Nelle ultime pagine troverete un mio scritto su una coraggiosa e straordinaria nuova opera che trovate da Natale del 2000 nella chiesa di Santa Maria del Suffragio: il Battistero.
Perché anche li si trovano occhi di gufo, nascosti ma evidenti, intriganti. Occhi di speranza.

(Per chi volesse vederlo subito: andiamo al     BATTISTERO )

don Mirko Bellora
parroco di Santa Maria del Suffragio in Milano

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