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TUTTO DIPENDE
DA QUEL MATTINO DI PASQUA

aprile 2010 riga

Non ho più dimenticato il racconto con cui terminava lo spettacolo teatrale sull’olocausto ebraico "Dybbuk" di Moni Ovadia, a cui ho assistito qualche anno fa:

La seconda guerra mondiale è finita. In un caffè viennese un signore ebreo chiede al cameriere il Volkischer Beobachter, il giornale del partito nazionalsocialista. Il cameriere gli dice che quel giornale non c’è più. Ma anche nei giorni seguenti quel signore entra in quel caffè e fa la medesima richiesta. E riceve la medesima risposta: quel giornale non c’è più. Infine, dopo qualche giorno, il cameriere domanda al signore: "Perché tutti i giorni mi chiede di nuovo questo giornale, se tutti i giorni le ripeto che non esiste più?" Il signore ebreo risponde: "Appunto per questo: per sentirmi dire che non esiste più" …

Anche noi cristiani ogni anno, ogni domenica, a ogni Eucarestia, celebriamo e facciamo memoria della Pasqua proprio per questo: per sentirci ripetere, fino a che ci entri nel cuore e nella vita, che un Uomo di nome Gesù è riuscito a sconfiggere la morte risorgendo e che è vivo oggi in mezzo a noi.
Per sentirci dire che la morte non l’avrà vinta sulla vita, sull’amore, sulla speranza.
Per sentirci dire che vivere non significa essere condannati a morire, che il vivere non è un viaggio verso le tenebre del nulla.
Per sentirci dire che non ha ragione Bertold Brecht quando scriveva:

Non vi fate sedurre: non esiste ritorno.
Altro mattino non verrà.
Morite con tutte le bestie e non c’è niente, dopo.

Far memoria della Pasqua è ricordare, cioè scrivere e scolpire sul cuore, quella settimana di tanti secoli fa nella quale sono accaduti avvenimenti che riguardano tutti gli uomini di tutti i tempi.
Come ci narrano i Vangeli, in quella settimana un uomo, amato da alcuni, odiato da altri, fu messo a morte. Lo seppellirono ma il terzo giorno resuscitò. Per mai più morire.
La nostra fede sta tutta qui: si concentra, si aggrappa, nasce in quella settimana. E’ una fede che vive dello stesso timore e della stessa gioia grande delle donne di fronte al sepolcro vuoto di Gesù.

Mi raccontarono, quando ero bambino,
che un uomo buono era risorto da morte,
frantumando il sepolcro.
Forse è vero e forse no,
quante volte ci ho ripensato.
Aveva lavorato con le sue mani,
giocato con i bambini,
sorriso alle donne disprezzate,
pranzato con i peccatori rifacendoli nuovi.
Aveva chiesto libertà e giustizia per i poveri, e amore;
e ancora amore, per tutti.
Appeso a un palo,
tutti i dolori del mondo gli avevano fatto provare
ed era morto gridando.
Ma poi dal regno dei morti era risorto.
Forse è vero e forse no,
quante volte ci ho ripensato.
Di primavera ci penso spesso: forse è vero, forse no.
(Ettore Masina)

Forse siamo proprio dei folli a credere nell’uomo dei Vangeli. Forse …
Forse siamo proprio dei folli a credere che si possa risorgere, che la morte possa essere sconfitta, che un giorno ci rivedremo tutti, che il nostro corpo risorgerà, che il nostro destino non è il nulla, la polvere …
Io ho abbracciato questa "follia", sono innamorato di questa follia, di quello splendido e indimenticabile mattino di Pasqua che ha rovesciato la storia.
Noi, da soli, saremmo rimasti al gelido silenzio del sabato santo.
Noi, da soli, saremmo in balia del crudele potere del dolore e della morte, davanti ai quali ci si arresta come davanti a un enigma irrisolvibile e inquietante, come davanti a una ingiustizia bruciante e inaccettabile. Davanti ai quali anche la fede più alta barcolla, trema.

Far memoria della Pasqua è mettersi di fronte alla croce di Gesù, alle nostre croci, alla nostra morte, alla morte di chi amiamo …
La Pasqua è il "luogo" dove la nostra fede viene passata al setaccio, messa alla prova.
E’ il luogo dove le nostre timide speranze possono diventare audaci, inarrestabili.
E’ il luogo di una speranza che non muore. Quella speranza che cerca di intravvedere in un seme sepolto una spiga o un fiore che stanno per nascere. Quella speranza che sa essere più forte del male, più forte della morte.
Perché là, in quell’alba primaverile di qualche secolo fa, è risuonata una voce. Risuona ancora oggi. Risuonerà per sempre: E’ risorto … non è qui …

Tutto inizia e dipende da quel mattino di Pasqua, splendido dono dell’inesauribile fantasia di Dio. Dono - presenza - che illumina il nostro oggi, che riempie di colore, forza, gioia, incanto i nostri giorni, che restituisce speranza anche nei momenti più duri.
Tutto inizia e dipende da quel mattino di Pasqua: Gesù Risorto cammina con noi oggi e, grazie alla potenza del suo Spirito, ci insegna e ci fa capaci di vivere da risorti, di vivere a partire dalla Resurrezione. Ci fa capaci di diventare suoi testimoni, di rendere visibile e concreta la speranza per tutti, facendo rotolare via tutti quei macigni che impediscono di vivere in pienezza.

Ricorrerò alla suggestione del macigno che la mattina di pasqua le donne, giunte nell’orto, videro rimosso dal sepolcro.
Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme, messa all’imboccatura dell’anima, che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo, che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro.
E’ il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione, del peccato. Siamo tombe alienate. Ognuna col suo sigillo di morte.
Pasqua, allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi, e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo del terremoto che contrassegnò la prima Pasqua di Cristo.
Pasqua è la festa dei macigni rotolati. E’ la festa del terremoto.
Aiutaci, Signore, a portare avanti nel mondo e dentro di noi la tua resurrezione.
Donaci la forza di frantumare tutte le tombe in cui la prepotenza, l’ingiustizia, la ricchezza, l’egoismo, il peccato, la solitudine, la malattia, il tradimento, la miseria, l’indifferenza, hanno murato gli uomini vivi. E mettici una grande speranza nel cuore. (mons. Tonino Bello)

Anch’io prego così: Signore, mettici una grande speranza nel cuore. In particolare per tutti coloro la cui vita è attraversata da una croce pesante e amara. Prego per tutta la comunità pastorale che sta vivendo il suo mattino, la sua primavera, certi che la fede nella Pasqua ci fa capaci di andare oltre il poeta Ungaretti che ha scritto in modo mirabile: "Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie" e ci fa capaci di arrivare all’audacia di dire e credere che "Si sta come di primavera sugli alberi le gemme" …

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