ANNO DELLA FEDE
IL FASCINO DEI TRAPEZISTI
Gentilini Cattedrale (1970)
ottobre 2012
Un
vecchio rabbino narrava di un giovane rabbino: “Parla
tanto di Dio da dimenticarsi che esiste”
…
Ironia graffiante da cui lasciarci interpellare. Come da queste
indimenticabili parole scritte dal card. C.M. Martini nella sua
lettera pastorale Ritorno
al Padre di tutti
del 1998/99:
Si convive con
Dio come uno dei tanti feticci dell’esistenza, senza lasciarsi
in nulla segnare o trasformare da Lui: è la condizione che la
parabola della misericordia del Padre esprime attraverso la figura
del figlio maggiore, quello restato a casa che, dopo tanti anni di
convivenza col padre, è incapace di comprenderne la logica di
amore e di perdono. Prigioniero della sua solitudine e schiavo dei
suoi interessi («non mi hai dato mai un capretto!), il figlio
maggiore non è meno lontano dal padre del figlio andato via di
casa: la vicinanza fisica non è vicinanza del cuore. Si può
ritornare a parlare di Dio, ma non incontrarLo e non farne alcuna
esperienza profonda e vivificante.
L’Anno
della fede indetto da papa Benedetto XVI e tema centrale della
lettera pastorale 2012-2013 del card. Angelo Scola
Alla scoperta del Dio vicino,
è l’occasione per ri-concentrarsi sull’essenziale:
sull’immagine di Dio che ci racconta Gesù di Nazareth,
non un’autorità punitiva da temere, non un Dio gelido e
lontano, non un potente padrone, ma un Dio
perdutamente appassionato dell’uomo, tanto da amarlo fino alla
follia della croce. Un Dio che si mette alla ricerca dell’uomo
come un mendicante d’amore.
Scrive
il card. Scola:
Nell’Anno
della fede le nostre comunità dovranno concentrarsi
sull’essenziale: il rapporto con Gesù che consente
l’accesso alla Comunione trinitaria e rende partecipi della
Vita divina. Come ogni profonda relazione amorosa il dono della fede
chiede i linguaggi della gratitudine piuttosto che quelli del puro
dovere, decisione di dedicare tempo alla conoscenza e alla
contemplazione più che proliferazione di iniziative, silenzio
più che moltiplicazione di parole, l’irresistibile
comunicazione di un’esperienza di pienezza che contagia la
società più che l’affannosa ricerca del consenso.
In una parola: testimonianza più che militanza.
Una profonda
relazione amorosa, una
storia personale, passionale e appassionata, con Gesù e non
il semplice appartenere a una religione: è questo su cui val
la pena interrogarci. La scoperta essenziale della vicinanza del
nostro Dio.
Il nostro Dio è
questo: una mano che ci tiene quando più nessuna mano ci
tiene. E’ una mano che ci accarezza e ci consola, che asciuga
le nostre lacrime, che ci sostiene nel cammino e che ci strappa alla
morte. Già ora, qui.
Non ho più
dimenticato le parole ancora di Henri J.M. Nouwen in Muta
il mio dolore in danza
Da quella sera
che andai con mio padre al circo e restai affascinato dai trapezisti,
ogni anno mi sono unito al gruppo dei miei amici circensi per una
settimana. Recentemente il direttore mi ha detto: “Sai Henri,
tutti applaudono me, perché quando faccio quei volteggi e quei
salti mortali pensano che l’eroe sia io. Ma il vero ere è
il compagno che mi afferra. L’unica cosa che devo fare io è
tendere le mani e avere fiducia, confidare che lui sarà lì
a prendermi, di nuovo”. Non altrimenti è per Dio, che
cinge le nostre piccole vite e attende di prenderci e tenerci stretti
- nelle circostanze critiche e in quelle positive, nei momenti
difficili e in quelli in cui ci libriamo in alto. A rendere questo
possibile è qualcuno che è in noi e tuttavia ci
trascende. Per questo la presa talvolta spasmodica che esercitiamo
sulla vita - sulle sue gioie e persino sui suoi dolori - può
allentarsi. Anche noi possiamo reimparare a volare: a danzare.
È
il fascino dei trapezisti … ci insegnano la fiducia, la fede,
in Qualcuno di eternamente affidabile. In un Dio Padre che sempre
stende e allarga le sue braccia all’uomo.
Un
fascino che sta comunque e anche altrove: nello loro audacia. La
stessa che ha avuto il card. C.M. Martini nel suo cammino nella
diocesi ambrosiana, nelle sue parole di sempre e in quelle della sua
ultima intervista:
Padre Karl Rahner
usava volentieri l'immagine della brace che si nasconde sotto la
cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra
la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può
liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma
dell'amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono
le singole persone piene di generosità come il buon
samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono
entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che
sono fedeli come Maria di Magdala?… La Chiesa è rimasta
indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura
invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della
Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e
dipendo dall'aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi
fanno sentire l'amore. Questo amore è più forte del
sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della
Chiesa in Europa. Solo l'amore vince la stanchezza. Dio è
Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la
Chiesa?.
Raccolgo questa audacia e la rilancio per la nostra comunità pastorale
all’inizio del suo quarto anno di vita, per un cammino di
riscoperta
della bellezza della fede e della gioia di essere cristiani. Una fede
che trasforma la vita e che chiama a essere testimoni credibili e
gioiosi del Signore risorto.
don Mirko Bellora
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