AL DI LÀ DI NOSTALGIA E FRENESIA
Un anno pastorale si chiude e si è chiamati a uno sguardo retrospettivo, a fare bilanci, a guardarci dentro, a guardarci nell’insieme, a dare un occhio allo stile vissuto e insieme percepito dagli altri, alla qualità delle relazioni, del senso di appartenenza a una comunità, alla nostra comunità pastorale, alla qualità della nostra vita interiore, del nostro pregare, della nostra capacità di fraternità e solidarietà …
E insieme si è già chiamati a uno sguardo in prospettiva, a uno sguardo al futuro, a nuovi progetti, possibilità, sogni …
In fondo per fare bene un bilancio ci è chiesto di essere un po’ strabici: persone con un occhio a ciò che ci è vicino e un occhio a ciò che è lontano, che ci è davanti.
Per fare questo prendo a prestito le parole del nostro arcivescovo mons. Mario Delpini che, in occasione della Giornata della vita consacrata nel febbraio scorso, diceva così:
Nel paese di Nostalgia non ci sono albe, ma solo tramonti;
non ci sono eventi, ma solo commemorazioni;
non ci sono sogni, ma solo ricordi;
nel paese di Nostalgia abita Rimpianto di quello che si è perduto;
nel paese di Nostalgia abita Orgoglio di quello che si è realizzato.
Nel paese di Frenesia non si distingue tra il giorno e la notte,
tra l’alba e il tramonto, tra la domenica e il lunedì;
nel paese di Frenesia non c’è tempo da perdere;
nel paese di Frenesia c’è il presente da vivere, c’è solo il presente;
nel paese di Frenesia abita la Fretta;
nel paese di Frenesia abitano le funzioni, più che le persone:
si cercano prestazioni più che rapporti di fraternità.
Per liberare Nostalgia dalle sue malinconie
e per liberare Frenesia dalla sua agitazione,
è venuto Gesù ad animare coloro che aspettano
e ha suscitato dappertutto il rimedio della speranza.
È con la speranza che si dà vita al nuovo, è la speranza che ci regala un nuovo sguardo, in particolare la speranza e lo sguardo che ci regala un Crocefisso tuttora Vivente: uno sguardo fiducioso proiettato verso il futuro, ma anche uno sguardo amorevole sul presente per individuare ogni seme buono che, con cura e pazienza, può portare frutto.
Di sguardi ci sono maestri due splendidi registi: Ermanno Olmi e Federico Fellini.
Ermanno Olmi ha detto: “Seguo il consiglio del mio amico e poeta Tonino Guerra: ogni volta che passo davanti ad un mandorlo in fiore mi tolgo il cappello”. Che meraviglia!
Così il regista Steven Spielberg ha raccontato di Federico Fellini: “Mi ha fatto girare Roma e ho avuto la fortuna di vedere la città eterna per la prima volta, attraverso i suoi occhi. Pensavo di sognare, ma era tutto vero”.
Che questi sguardi non ci manchino! Per avere occhi e sguardi così ci vuole molta attenzione, molta profondità, molta preghiera, perché la preghiera è una specie di feritoia attraverso la quale si possono intravedere orizzonti inediti, territori sconosciuti promessi alla nostra audacia. È ancora il nostro Vescovo che ci dice:
L’altro rimane l’estraneo finché non è ospitato nella “tenda della preghiera”, cioè là dove l’intimità di ciascuno ospita lo Spirito di Dio e la sua gloria. Chi ama come Gesù ama, ospita nella sua preghiera i fratelli e le sorelle che gli sono affidati, le grandi intenzioni della Chiesa e dell’umanità, le singole storie, fatte di feste e di tragedie, di interrogativi e di rivelazioni.
Ho scelto un bellissimo albero per la copertina di questo numero e mi sono ricordato di quando, parroco a S. Maria del Suffragio in Milano, nel 1996 avevo fatto dipingere moltissimi alberi colorati sui muri del cortile della chiesa e dell’oratorio, quasi una “testarda primavera”, perché potesse essere il “cortile degli incontri e dei sogni”. Così avevo scritto in quell’occasione:
Un albero si vede, ma non tutto.
Nasconde il segreto delle radici. Sono le radici che lo fan restare vivo, anche nel cuore dell'inverno.
Un albero si spalanca al cielo con tutti i suoi rami.
E si fa accogliente con tutti gli uccelli che chiedono ospitalità, senza distinzioni. Accoglie e non intrappola, non trattiene. Ci si posa per un po' e poi si vola via. Si arriva e si parte.
Un albero è felice di donare.
"Ruba" tutto il calore del sole e ci dà la freschezza della sua ombra. È felice se gli si toglie il peso dei frutti.
Un albero attraversa le stagioni, nasce e rinasce. Quando l'inverno sembra averla vinta, l'albero sa tirar fuori la primavera che stava nascosta nel suo cuore.
Un albero ha bisogno di terra e di cielo.
Occorre imparare dagli alberi.
A custodire le nostre radici, il segreto che ci fa vivere: Gesù di Nazareth.
Ad essere accoglienti, ospitali e insieme rampa di lancio.
A donare senza chiedere.
A non smettere di sperare, perché la primavera torna sempre, come ci promette lo splendido e indimenticabile mattino della Pasqua di Resurrezione di Gesù.
A essere radicati in piena terra e in pieno cielo.
Durante l’estate gli alberi ci appaiono in tutta la loro bellezza, con il loro carico di frutti in dono, con il loro bisogno di sole e di cielo. L’invito che rivolgo a ciascuno di noi per questa estate è a fermarci, a contemplare, a “toglierci il cappello” stupiti e ammirati davanti allo spettacolo di un albero, a “toglierci il cappello” innanzitutto davanti allo “spettacolo” dell’albero della Croce. Possiamo imparare in ospitalità, accoglienza, generosità. Possiamo imparare a custodire le radici, a essere segno di testarde speranze. Possiamo imparare anche la riconoscenza …
Era vicino l’inizio della stagione dei monsoni e un uomo assai vecchio scavava buchi nel suo giardino. “Che cosa stai facendo?”, gli chiese il vicino.
“Pianto alberi di mango”, egli rispose.
“Pensi di riuscire a mangiarne i frutti?”
“No, io non vivrò abbastanza a lungo, ma gli altri si. L’altro giorno ho pensato che per tutta la vita ho gustato manghi piantati da altri. Questo è il mio modo di dimostrare loro la mia riconoscenza”.