IDENTITÀ: VIAGGIO E INCONTRO
Una donna, un artista: mi sono lasciato “illuminare” da loro, dal loro sguardo e dalle loro intuizioni, e così è nato il ciclo di ottobre dal titolo: “Identità: viaggio e incontro”.
La donna è Rosanna Virgili, una affermata biblista. Nel suo libro - un gioiello - Qual è il tuo nome? Alla ricerca della propria identità (Qiqajon, 2019) ho trovato scritte queste parole:
L’identità ha perduto le sue mura difensive … Identità ben protette hanno indebolito, impoverito, persino fatto scomparire popoli un tempo grandi. … Dare spazio all’altro riduce il mio spazio, comprimendo così la mia individualità? Sono tutte domande che sorgono, si moltiplicano e si mostrano urgenti … Il messaggio che esce dalle pagine di grandi autori e agiografi e dalle loro ideali conversazioni dona molta luce per vivere l’identità non come un dato assoluto da conservare al sicuro, ma come una ricerca, una strada, un esodo e una decisione. Farà comprendere che nessuna identità può esistere a prescindere dalla relazione con l’altro/a e che l’umano è un volto spirituale tessuto dello sguardo di mille altri.
Proprio su queste parole ho tessuto il ciclo di ottobre di quest’anno proprio perché condivido l’urgenza e l’importanza della tematica. Perché siamo in un tempo del “noi” contro “loro”, dell’io contro l’altro. Un tempo di confini, di muri. Un tempo di aggressività e difesa, sintomo di fragilità e di paura. Un tempo di chiusure e vista corta. Un tempo in cui si può, si deve imparare uno sguardo nuovo sull’altro. Un tempo sfida e invito per tutti, per ogni persona, per ogni gruppo sociale, per ogni cristiano, per le comunità cristiane, per la Chiesa intera.
Così scriveva una trentina di anni fa padre Ernesto Balducci con parole profetiche che sembrano scritte oggi, per l’oggi: Ogni Altro è un sacramento di Dio. Una persona altra da me è un segno di Colui che è totalmente Altro e se io cerco Dio passando sulla testa degli altri, sbaglio strada. Ogni volta che la diversità mi aggredisce, Dio è là che mi impone di superare il mio orizzonte.
Quello a cui siamo chiamati allora è un viaggio, è un continuo andare verso, è una distanza da colmare, è l’andare oltre i confini perché l’altro non mi appartiene, l’altro è sempre sconosciuto, anche nell’amore più grande. E l’altro, con tutta la sua diversità, è una splendida ricchezza di cui non aver paura.
Uscire da sé, mettersi in viaggio, è un principio che è alla radice di ogni incontro che non voglia trasformarsi in uno scontro. L’altro e io, per un incontro che trasformerà entrambi, siamo chiamati a uscire, ad attraversare un confine. L’altro è qualcosa che “mi manca”, dal quale dunque non mi devo difendere, ma che dovrei disperatamente cercare.
Lo diceva splendidamente Michel de Certeau, parlando della Chiesa: Per la Chiesa essere “missionaria” è dire ad altre generazioni, a culture diverse, a nuove ambizioni umane: “Tu mi manchi”, non come il proprietario terriero parla del campo del vicino, ma come l’amante.
Senza questo viaggio in uscita da sé, senza intraprendere coraggiosamente il “mestiere della convivenza”, il vero rischio è la perdita di umanità, è la barbarie. E la perdita del messaggio evangelico.
Per questo papa Francesco è instancabile nel richiamarci che: Dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di se stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli.
Uscire … andare verso … essere perennemente in viaggio … ed ecco l’artista che mi ha affascinato: lo scultore Bruno Catalano e le sue sculture Les Voyageurs, i viaggiatori, persone (non sono solo i migranti!) con parti mancanti del loro corpo, con in mano una valigia. Uomini e donne in viaggio alla ricerca di ciò che manca loro, di un’identità, quell’identità frutto di chi sei stato e sei, ma anche e soprattutto delle relazioni che ti costruiscono, dei dialoghi che intessi, della ricchezza e dello splendore che è l’altro. Un viaggio e una ricerca che non finiscono.
A volte l’arte arriva prima, arriva in anticipo, entra nella complessità, coglie i tratti salienti di un’epoca, descrive inquietudini, suggerisce domande, indica strade possibili. E Bruno Catalano, le cui opere, i “cittadini del mondo”, sono state installate in piazze, aeroporti e stazioni ferroviarie di numerose città, sa bene il significato del partire, dell’essere un po’ nomade. Nato in Marocco, di origini siciliane, trasferito in Francia, affascinato dall’Italia, ha viaggiato con valigie piene di ricordi e insieme piene di desideri, di sogni, speranze, prospettive e ha dato vita a queste sculture, a queste persone “strappate”, incomplete, che non hanno ancora costruito la loro identità. Perché l’identità non è nel soggetto, ma sta nella relazione, va costruita nella complicata e costante relazione con gli altri: è questa la convinzione comune da decenni (lo diceva il filosofo Levinas, lo diceva papa Francesco quando era ancora cardinale, lo dicevano e lo dicono ormai in tanti). Ogni corpo di uomo e di donna consegna questa invocazione: tu hai bisogno dell’altro, tu non basti a te stesso, l’autosufficienza è una illusione, tu da solo non riesci ad essere felice, a vivere in pienezza.
Siamo di fronte a un nuovo umanesimo, che ha fatto dire al premio NobelAmartya Sen: La principale speranza di armonia nel nostro tormentato mondo risiede nella pluralità delle nostre identità, che si intrecciano l’una con l’altra e sono refrattarie a divisioni drastiche lungo linee di confine invalicabili a cui non si può opporre resistenza.
Un “nuovo umanesimo” così diverso e agli antipodi delle logiche sovraniste che paiono oggi vincenti (purtroppo anche fra molti cristiani!), fondate sull’affermazione del primato assoluto della propria identità e sulla valutazione dei bisogni degli altri a partire esclusivamente dalla difesa dei propri interessi. In questo nuovo umanesimo i cristiani sono chiamati a vivere, per essere fedeli al Vangelo, da protagonisti: lo stile che li deve contraddistinguere è lo stile del loro Maestro, Gesù di Nazareth:
Gesù è il nostro umanesimo. Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda. (papa Francesco).