IL CAPOVOLGIMENTO DI NATALE
Un’antica leggenda narra così: «Un sovrano severo chiese ai suoi sacerdoti e sapienti di mostrargli Dio affinché egli potesse vederlo. I sapienti non furono in grado di appagare questo suo desiderio. Allora un pastore, che stava giusto tornando dai campi, si offrì di assumere il compito dei sacerdoti e dei sapienti. Il re apprese da lui che i suoi occhi non erano sufficienti per vedere Dio. Allora, però, egli volle almeno sapere che cosa Dio facesse. "Per poter rispondere a questa tua domanda – disse il pastore al sovrano – dobbiamo scambiarci i vestiti". Con esitazione, spinto tuttavia dalla curiosità per l’informazione attesa, il sovrano acconsentì; consegnò i suoi vestiti regali al pastore e si fece rivestire del semplice abito dell’uomo povero. Ed ecco allora arrivare la risposta: "Questo è ciò che Dio fa".»
Questo è ciò che ci racconta mirabilmente il Natale. Questo è ciò che è avvenuto più di duemila anni fa a Betlemme: un Dio che si fa uomo, che si fa bambino. Questo è l’evento che da venti secoli continua a stupirci, a commuoverci, a “inquietarci”. Può sembrare una fiaba o una pazzia o una splendida verità. In tutto questo sta la fatica e la gioia del credere: perché il nostro Dio non ha sbandierato tutta la sua potenza, ma ha scelto, dalla culla alla croce, la strada di una «scandalosa impotenza», la strada della debolezza, del «nascondimento», del sussurro di una brezza leggera, di «una sottile voce di silenzio», come narra la Bibbia. È la strategia del «capovolgimento» delle attese dell’uomo.
Di capovolgimento dei luoghi comuni, dei ruoli precostituiti, delle solite raffigurazioni natalizie narra anche l’immagine che ho scelto per la copertina (Libro delle Ore, Francia xv sec.): è un’immagine diversa del Natale: Maria che legge e studia la Torah, Giuseppe che coccola suo figlio e l'asino che quasi si mangia l'aureola di Giuseppe … tutto al contrario di ciò che siamo abituati a vedere …
Per “vedere” Dio abbiamo bisogno di uno sguardo capovolto, non dobbiamo alzare gli occhi al cielo, ma abbassarli. Se vogliamo intuire, dire qualcosa del Dio in cui crediamo, dobbiamo guardare a questo “Dio ad altezza di bambino”, a un uomo, a Gesù di Nazareth …
Dio per parlare di sé si fece uomo. Un discorso su Dio è un discorso su un uomo. La parola si è fatta carne. Nostro fratello. Uno di noi. Nacque, visse, morì … Quell’uomo, Gesù di Nazaret, è la risposta di Dio alla domanda “Chi sei?” E ci risponde raccontandoci i suoi desideri. Dio è amore. E il suo sogno d’amore ce lo racconta. Lo mette vivo, in mezzo a noi. Gesù di Nazaret è il desiderio di Dio. “Che cosa vuoi fare da grande?”. Così parliamo ai bambini. Se, senza mancare di rispetto, potessimo porre una simile domanda a Dio, lui ci direbbe: “Non lo sapete ancora? Non ve l’ho già raccontato? L’ho raccontato, ma voi non ci avete fatto caso. Si è creduto che fosse uno scherzo. Ma sì, voglio essere Gesù di Nazaret. Sono Gesù di Nazaret. Sono un uomo ordinario. Sono tutti gli uomini ordinari. Soprattutto quelli che soffrono, i deboli, gli abbandonati … La terra deve ancora diventare il luogo del riso e del gioco … È questo che voglio, questo è il mio desiderio”. (Rubem Alves, Il canto della vita, Qiqajon)
E il sogno più bello del nostro Dio è quello di far sbocciare, di far fiorire l’umano che è in noi, l’infinito che è in noi, la speranza che è in noi, la forza di amare che è in noi, che abitano già come semi dentro di noi.
E se Natale è una piccola e bellissima oasi di maggiore umanità, l’urgente compito a cui siamo chiamati è di allargare ogni giorno questa oasi, con la ricerca di una maggiore giustizia e con tutta la nostra tenerezza. Il sentiero da percorrere è quello di diventare più umani, lo stesso sentiero che ha percorso il nostro Dio.
Ci è chiesto di essere audaci tessitori di una speranza che sa attraversare lo spessore dell’oscurità che sta avvolgendo tantissime persone. Ci è chiesto di essere costruttori di legami e costruttori di gioia. Perché un cristiano non può restare impassibile, indifferente davanti alla sofferenza di tanti: il Natale non ce lo permette.
Già un secolo fa, nel 1919, il poeta Trilussa scuoteva le coscienze e le scuote ancora oggi con questi versi:
Er presepio
Ve ringrazio de core, brava gente,
pé 'sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v'odiate,
si de st'amore non capite gnente...
Pé st'amore sò nato e ce sò morto,
da secoli lo spargo dalla croce,
ma la parola mia pare 'na voce
sperduta ner deserto, senza ascolto.
La gente fa er presepe e nun me sente;
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l'amore
è cianfrusaja che nun cià valore
Di fronte ai nostri presepi, al presepe che troveremo in chiesa, nella Messa di mezzanotte, una Messa sempre cercata e sorprendente, una Messa che amo, lasciamo che qualche lacrima scorra: vorrà dire che abbiamo intuito che il Vangelo è possibile, che possiamo cambiare il nostro cuore, che possiamo ricominciare, che possiamo essere sempre più umani, che siamo sempre attesi dall’abbraccio di Dio ...
Di fronte al presepe, al Dio Bambino inginocchiamoci …
Non si può amare un bosco
pensandolo solo come una fabbrica di ossigeno.
Vuoi amare un bosco?
Inginocchiati e guardalo da vicino.
(Ermanno Olmi, regista)
Inginocchiarsi e guardare da vicino le persone, la vita, la natura, inginocchiandosi con tenerezza, generosità, fantasia, passione, senza giudizi, senza chiusure, senza alzare muri è l’unico modo per ritrovare un po’ di umanità …
Vuoi amare tuo figlio? Inginocchiati e guardalo da vicino.
Vuoi amare Dio? Inginocchiati e guardalo da vicino
Vuoi amare la vita? Inginocchiati …
E sarà Natale.