Il film "L'attimo fuggente" del 1989 di Peter Weir ci racconta di un insegnante dai metodi molto originali e controversi: John Keating (interpretato da Robin Williams) che inizia a insegnare letteratura in un collego maschile. In una delle scene più famose del film, il professore improvvisamente sale sulla cattedra, e invita gli studenti a fare a turno la stessa cosa. Accompagna questo dicendo “faccio questo per ricordarmi di guardare le cose da angolazioni diverse e il mondo appare diverso da quassù... È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva anche se vi può sembrare sciocco o assurdo, ci dovete provare... guardatevi attorno, ribellatevi... osate cambiare, cercate nuove strade”. Dio ha osato cambiare le regole e ha cercato nuove strade per amare ogni uomo. E non è un "attimo fuggente" ma la storia dell'umanità. (don Giovanni Berti)
È stata anche la storia di Zaccheo che sale su un sicomoro per poter vedere Gesù di Nazareth.
Mi sono sempre sentito affascinato e stregato, dolcemente tormentato e perseguitato … da Zaccheo!
Proprio per questo avevo scelto “Sull’albero con Zaccheo” come titolo di uno dei Campi Scuola quand’ero a Desio coi giovani e del Progetto Pastorale quand’ero parroco a Milano.
Riascolteremo la storia di Zaccheo e dell’incontro con Gesù nella Messa dell’ultima domenica di febbraio. Splendida occasione perché anche noi possiamo essere sempre dei “rampicanti” come Zaccheo, per scorgere Gesù e avere nuovi sguardi.
DESIDERIO, SGUARDO, RICERCA
Un magnifico imprevisto è capitato un giorno a Gerico, città di frontiera: sta per arrivare quel Rabbì di cui tanto si parla. Sta per arrivare Gesù di Nazareth. Agitazione e curiosità si impadroniscono degli abitanti. Tutti vogliono vederlo, ascoltarlo, incontrarlo. Fra loro Zaccheo, “capo dei pubblicani e ricco”, odiato e temuto da tutti. Anche lui, piccolo di statura, si fa largo nella folla e per vedere meglio si arrampica su un sicomoro.
Zaccheo è l’icona di ogni uomo in ricerca. Sembra possedere già abbastanza eppure nel suo cuore abitano il desiderio e il sogno di un magnifico imprevisto, di un incontro. Per questo cerca ancora, cerca altro, cerca oltre. Vuole vedere, conoscere, incontrare Gesù. Affascinato da quel che dicono di lui.
Eugenio Montale, nella sua poesia «Come Zaccheo» scriveva così:
Si tratta di arrampicarsi sul sicomoro
per vedere il Signore se mai passi.
Ahimè, non sono un rampicante
ed anche stando in punta di piedi
non l’ho mai visto.
Vi auguro di essere dei «rampicanti», perché stare coi piedi piantati a terra o solo in punta di piedi non basta … Come disse nel Natale del 1971 il card. Giovanni Colombo a Montale:
I doni di Dio (di cui la fede è il primo) non ci lasciano inerti, ma esigono, a volte anche drammaticamente, che abbiamo a sollevarci verso di loro. La ringrazio d’avermelo ricordato con versi di una semplicità e di uno splendore da gemma.
È bastato un grande desiderio, una parola, un incontro e la vita di Zaccheo è radicalmente cambiata. «Oggi voglio fermarmi a casa tua, da te»: sono queste le parole che, se ci mettiamo in ascolto, il nostro Dio suggerisce al nostro cuore.
Zaccheo siamo noi.
Possiamo fare la sua stessa esperienza: sentirci amati, così come siamo, in modo sconfinato e senza pentimenti dal nostro Dio che vuole trovare un «posto» nella nostra vita, nella nostra libertà, nel nostro cuore. Come Zaccheo possiamo volerlo vedere, incontrare, accogliere.
E come Zaccheo possiamo ricevere un dono grande: la possibilità di ricominciare tutto daccapo, la possibilità di vivere nuove relazioni. Con Dio, con noi, con il prossimo.
Come Zaccheo, così ogni uomo, così ciascuno di noi, può vedere, incontrare, accogliere Gesù di Nazareth: tutto dipende da noi, dal nostro “arrampicarci”
A Zaccheo capita poi non solo di vedere Gesù, ma di averlo ora ospite e compagno definitivo dell’esistenza. Il frutto di questo incontro è la gioia e il radicale cambiamento, la conversione.
Non occorre che Gesù parli o rimproveri … basta l'incontro. Zaccheo prima incontra, poi si converte... dà la metà dei suoi beni ai poveri, restituisce quattro volte tanto a colui cui aveva rubato. È l’incontro con Gesù che fa scoprire a Zaccheo di essere peccatore. È la Parola che ci fa scoprire peccatori. E chi ama molto ha molto da farsi perdonare…
CHIAMATI PER NOME
Ho appena finito di leggere “avidamente” il libro “Pazienza con Dio” di Tomàš Halík che mi ha regalato una nuova prospettiva con cui guardare a Zaccheo. Lì ho trovato scritto:
Gli alberi intorno erano pieni di Zacchei. Di coloro che non volevano o non potevano unirsi alla folla dei vecchi o dei nuovissimi credenti, ma che comunque non erano né indifferenti né ostili … Zaccheo è disposto a uscire dalla sua sfera privata abbattendo la distanza e il distacco “solo se viene chiamato per nome”… Potrà parlare con Zaccheo solo colui che non si sente estraneo e distante dall’uomo che si nasconde tra i rami di fico, colui che non si sente superiore o indifferente nei suoi confronti, colui che non sia lontano da ciò che passa per la sua mente e per il suo cuore … Agli Zacchei dei nostri tempi può avvicinarsi veramente solo chi sia stato e in certa misura continui a essere, uno Zaccheo … Oggi forse per seguire pienamente l’esempio di Gesù serve un interesse prioritario per coloro che trovano ai margini della comunità di fede … Bisogna imparare a creare uno spazio per gli Zacchei, anche per quelli di loro che non saranno mai dei “parrocchiani standard” …
In queste parole scorgo il sogno del mio amato papa Francesco di una Chiesa in uscita che vive i tre verbi sinodali dell’incontrare, ascoltare e discernere e il sogno di mons. Tonino Bello:
Dobbiamo essere una Chiesa accogliente.
Una Chiesa che non fa discriminazioni,
una Chiesa che ha il cuore tenero,
di carne, non di pietra.
Una Chiesa che non è arcigna.
Una Chiesa che non esclude.
Non giudicate mai nessuno!
Il vostro cuore si allarghi sempre più.
Quello a cui siamo chiamati è un viaggio, è un continuo andare verso, è una distanza da colmare, è l’andare oltre i confini. L’altro è qualcosa che “mi manca”. Lo diceva splendidamente, e non mi stanco di ridirlo, Michel de Certeau parlando della Chiesa: Per la Chiesa essere “missionaria” è dire ad altre generazioni, a culture diverse, a nuove ambizioni umane: “Tu mi manchi”, non come il proprietario terriero parla del campo del vicino, ma come l’amante.
Come un amante: così dobbiamo imparare a vivere nel mondo di oggi, con tutta quella forza, quella tenerezza, quella fantasia tipiche di ogni amante.
Con quel desiderio che ci fa sempre correre in avanti. Con quello spirito di ricerca amato da S. Agostino:
Noi cerchiamo colui che ci cerca.
Cerchiamo come cercano coloro che devono trovare
e troviamo come trovano coloro che devono cercare ancora.