IL DRAMMA DI DIO: LA BELLEZZA CROCEFISSA
L’estetica di von Balthasar come
percezione
della bellezza dell’agire di Dio
Elio Guerriero
La lunga
preparazione
Charles Péguy
Lo sguardo verso il
basso
La bellezza di Dio
La chenosi prima
La chenosi seconda
La struttura
dell'opera
Il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar
(1905-1988) è autore di una estetica teologica giustamente
famosa. L’autore di Gloria, tuttavia, respingeva
sdegnato il titolo di esteta o di teologo dell’estetica. I
7 volumi di Gloria1
erano per lui la via per meglio
cogliere il mistero di Dio che si rivela e nella pienezza del
tempo viene nel mondo per reincontrare la sua creatura,
mostrargli la via della casa e iniziare con lei il viaggio di
ritorno. Ma sentiamo come lo stesso von Balthasar delimitava il
senso del suo teologare in una di quelle dichiarazioni
programmatiche che lo resero giustamente famoso: "Gli incontri
con Erich Przywara, poi con Karl Barth – la cui dottrina
universalistica della predestinazione mi confermò in idee
che da lungo tempo cercavo - … tutto questo mi
confermò nella mia intenzione fondamentale: dimostrare la
realtà di Cristo come la cosa insuperabilmente massima, id
quo majus cogitari nequit, perché precisamente è la
parola umana di Dio per il mondo, è l’umilissimo
servizio di Dio che adempie oltre misura ogni mira umana,
è l’estremo amore di Dio nella gloria del suo
morire, affinché tutti oltre se stessi vivano per lui"2.
La lunga preparazione
La confessione di von Balthasar acquista pieno
significato alla luce del suo percorso biografico. Raffinato
cultore di musica al punto che i parenti già lo
consideravano un musicista di successo3. , al
momento di scegliere l’università optò per la
letteratura. Studente a Vienna si appassionò alla poesia
tedesca, ma già negli ultimi anni di università si
affacciò prepotente l’interesse teologico. Di qui la
decisione, alla metà degli anni ’20, di recarsi a
Berlino per ascoltare Guardini; di qui la scelta della tesi di
laurea: Apocalisse dell’anima tedesca, con
l’intento di disvelare il senso cristiano nascosto e
tuttavia profondo della grande letteratura germanica. Il
proposito temerario si allargò ulteriormente negli anni
successivi all’intera letteratura occidentale. E’ il
senso dei tre densi volumi dell’Apocalisse che il
giovane, divenuto gesuita, ricavò dalla dissertazione e
pubblicò negli anni ’30. Ma a noi qui non interessa
seguire ulteriormente il percorso biografico, quanto di cogliere
lo slancio fondamentale, la grande, appassionata apertura che von
Balthasar portava intatta nel passaggio dalla letteratura alla
teologia. Inducendo i letterati moderni a rivelare la loro
fondamentale intenzione cristiana, von Balthasar si imbatteva in
una obiezione formidabile. Come mai la teologia e la concezione
cattolica si erano rassegnate a dimezzare, per così dire,
il senso della venuta di Gesù nel mondo limitando la sua
opera salvifica solo agli eletti? I dannati, gli abitanti
dell’Inferno così straordinariamente descritti da
Dante nella Commedia, sono totalmente esclusi dal raggio
dell’azione del Figlio di Dio? Per loro Gesù non
aveva nulla da dire? Fra i contemporanei la domanda inquietante
era sollevata soprattutto dallo scrittore francese Charles
Péguy cui negli anni della maturità von Balthasar
dedicherà uno dei saggi più approfonditi e completi
degli Stili laicali, il volume III di Gloria.
Charles Péguy
La parola magica di Péguy è solidarietà. Per
solidarietà il poeta lasciò la fede dei padri e si
fece socialista, per lo stesso motivo egli diventò
nuovamente cristiano. Il duplice passaggio, tuttavia, non deve
essere inteso come conversione e inversione di rotta, ma come un
approfondimento, un andare fino in fondo alla via cristiana.
Scriveva Péguy: "Noi abbiamo costantemente seguito la
stessa via retta e questa stessa via retta ci ha condotto dove
ora siamo… Non l’abbiamo trovata come in un ritorno.
L’abbiamo trovata in fondo alla strada"4.. La
solidarietà, allora, secondo Péguy si trova nel
campo cristiano più che in ogni altro. Senza abbandonare
la storia del mondo a noi conosciuto essa si dilata in comunione
dei santi, in solidarietà verso tutti gli uomini. "A
questo punto si affaccia il problema centrale che illumina
l’intero profilo della sua vita e della sua opera: il
problema dell’eterna perdizione anche solo di un membro
dell’umanità, la dannazione, l’inferno"5..
Si chiede il poeta francese: "Un membro dell’umanità
può andar perduto allo stato di Dio che è anche lo
stato dell’umanità? Può non essere visto da
parte degli altri?" A cui risponde: "Non si deve salvare la
propria anima come si salva un tesoro. La si deve salvare come si
perde un tesoro. Con il buttarla via. Noi ci dobbiamo salvare
insieme. Noi dobbiamo arrivare presso il buon Dio insieme. Che
cosa direbbe se arrivassimo presso di lui, arrivassimo a casa
senza gli altri"6.. Ecco allora la sfida di Péguy: "Noi
siamo solidali con i dannati eterni. Noi non ammettiamo che
uomini siano trattati disumanamente. Noi non ammettiamo che ci
siano uomini respinti dalla soglia di nessuna città. Qui
è il profondo movimento da cui siamo animati. Noi non
ammettiamo che ci sia una sola eccezione, nel cielo e sulla
terra"7.. E’ la sfida che Péguy porta
avanti soprattutto nella sua seconda opera su Giovanna
d’Arco, che non a caso porta il titolo di mistero della
carità di Giovanna d’Arco. La carità è
il vero mistero di Dio. Dice, dunque, Giovanna: "Mio Dio, io ho
preghiere segrete. Tu lo sai. Io sono in accordo con te. Tu sei
in accordo con me"8.. Ora questo accordo riguarda le anime dei
dannati: "I dannati: La dannazione dei dannati. Donaci di nuovo
comunioni che siano piene e pure"9., e
riguarda la volontà di incarnazione e di donazione. "Beati
coloro che sono morti per la terra carnale"10..
Car le surnaturel est lui-même charnel,
Et l’arbre de la grâce est raciné profond
Et plonge dans le sol et cherche jusqu’au fond,
Et l’arbre de la race est lui-même éternel
E l’eternità è essa stessa in
mezzo al tempo, e il tempo è esso stesso tempo
intemporale. E l’albero della grazia e l’albero della
natura hanno intrecciato così fraternamente le radici che
sono un solo essere e una sola statura. Lo stesso sangue scorre
attraverso le vene di entrambe, lo stesso onore scorre attraverso
i dolori di entrambe11..
Del resto la problematica è antica e contemporanea allo
stesso tempo. Nell’antichità Antigone è una
prefigurazione pagana di Giovanna e della sua volontà di
solidarietà; ai nostri tempi Zola è stato capace di
discendere nell’inferno della miseria e di descriverla con
forza. Ma qui Péguy ha un’altra delle sue critiche
sprezzanti: le descrizioni contemporanee della miseria sono
certamente realistiche, certamente vere, ma qui siamo al turismo;
così come di turismo, per ritornare all’inferno,
è accusato Dante. "Non ti curar di loro, ma guarda e
passa". L’esortazione rivolta da Virgilio a Dante nel
passaggio attraverso la prima cantica è assolutamente poco
cristiana. Péguy, al contrario, non vuole descrivere la
situazione come un cronista, come un visitatore. "Perché i
peccatori son lui. Questa schiera gigantesca: lui è la
dentro. Niente di appartato"12..
Solidarietà e condivisione estrema, dunque, ma non col
volto sofferente, bensì nella gioia e nella donazione.
"Esistenza come nobile gioco davanti a Dio"13.
santità come gioia di donazione.
Nel passaggio dalla letteratura alla teologia von Balthasar
trovò conferma a questa idea formidabile nel teologo
evangelico che dominò la scena nei primi decenni del
novecento: Karl Barth. Due le idee barthiane che colpirono
profondamente von Balthasar: Dapprima la salvezza per tutti che
von Balthasar definisce il geniale superamento di Calvino della
predestinazione degli eletti ("Dio diventa uomo, ma non per farsi
mettere alle strette dalla propria opera, bensì per
istituire anche all’interno del mondo, nella
sovranità della sua passione, morte e resurrezione, il suo
dominio su tutte le creature")14..
E’ per questo che l’evangelo è da cima a fondo
una lieta novella, un sì all’uomo. Per secondo il
cristocentrismo: "Origine di ogni elezione, al di là, al
di sopra e accanto alla quale non ce n’è
nessun’altra più antica e superiore, principio
d’elezione per eccellenza è Gesù Cristo"15.. Nell’accordo con l’intenzione
delle due proposizioni barthiane a von Balthasar restava tuttavia
il compito di accordarle con la tradizione teologica cattolica.
Due gli autori che l’aiutarono in questa non facile opera
di integrazione: Erich Przywara e Adrienne von Speyr.
Lo sguardo verso il basso
Tra il 1920 e il 1930 Przywara, confratello di Balthasar,
condusse delle ricerche di straordinaria profondità
sull’analogia entis.
Con il loro aiuto, salvando il principio della major
dissimilitudo tra Dio e la creatura, von Balthasar
poté stabilire un nesso tra la realtà di Dio e il
mondo prima e dopo l’avvento di Cristo. Se, difatti, in
Cristo è accaduto un evento unico e irripetibile, la
manifestazione della gloria di Dio nel mondo, che sconvolge ogni
realtà e situazione precedente, in Cristo compare nel suo
massimo spessore anche l’esse e il continuum.
Vi è dunque spazio anche in ambito cattolico per un
discorso sull’universalità della salvezza nel tempo
e nello spazio.
Ancora più decisivo fu l’incontro con Adrienne von
Speyr, conosciuta pochi mesi dopo il suo arrivo a Basilea come
cappellano degli studenti nel 1940. All’epoca la dottoressa
in medicina era convalescente da un infarto ed espresse il
desiderio di conoscere il nuovo assistente degli studenti
cattolici che già faceva parlare di sé per la sua
cultura. Un amico comune si incaricò di fissare tra i due
un incontro al quale von Balthasar si recò portando con
sé un’opera di Péguy che stava allora
traducendo. Ne nacque un’amicizia che presto portò
al passaggio di Adrienne alla confessione cattolica e ad una
collaborazione destinata a durare negli anni. Per quel che
riguarda il tema dell’universalità della salvezza,
Adrienne richiamò l’attenzione di von Balthasar
verso il basso, verso i dannati e l’inferno. Subito dopo la
conversione, difatti, Adrienne ricevette una serie impressionante
di grazie mistiche. Tra queste, quella più significativa
per la teologia di von Balthasar è senz’altro quella
della discesa agli inferi. Dal 1941 al 1965, durante la settimana
santa, Adrienne prese misticamente parte alla passione di Cristo:
partecipava ai dolori fisici di Gesù, ne condivideva gli
stati d’animo durante le ore della crocifissione,
soprattutto le veniva concesso di scendere con Cristo
all’inferno provando tutto l’orrore per questo luogo
da cui Dio è assente. Ora sulla base delle esperienze
mistiche di Adrienne, von Balthasar giunge alla conclusione che
nella discesa agli inferi Cristo ha incontrato il peccato, la
realtà ostile a Dio, sconfitta e cacciata dal mondo.
Attraversando questa realtà nell’estrema notte
dell’obbedienza veramente cadaverica Gesù porta la
croce al di là del peccato, sconfigge il male del mondo.
Di qui la sua conclusione; l’ultima realtà non
è il no del mondo, bensì il sì di Dio. E se
l’inferno è talmente reale da provocare dolore e
sofferenze (per cui è assurdo parlare della sua
inesistenza) è anche vero che, avendolo Cristo
attraversato e sconfitto con la sua morte obbediente, possiamo
seriamente sperare che esso sia vuoto.
La bellezza di Dio
Fin qui gli incontri di von Balthasar in direzione
dell’universalità della salvezza, in un elenco
largamente incompleto cui bisognerebbe aggiungere almeno lo
studio appassionato della teologia patristica di Agostino e
Massimo il Confessore, di Origene in particolare cui
dedicò un’antologia Spirito e Fuoco, a lungo
l’opera migliore per conoscere l’Alessandrino. Questi
incontri a von Balthasar indicarono la direzione e
contemporaneamente misero a disposizione un materiale ricco e
variegato per edificare la propria costruzione.
La chenosi prima
Von Balthasar enuncia il suo pensiero più caratteristico e
stimolante con una esegesi sorprendente dell’inno della
lettera ai Filippesi.
"Il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo".
Per il teologo svizzero l’inno fa certamente
riferimento alla incarnazione di Cristo, ma questa ha potuto aver
luogo, perché nell’eternità di Dio vi
è stata una chenosi prima, una donazione senza limiti del
Padre nei confronti del Figlio. Scrive von Balthasar: "E’
possibile con Bulgakov definire l’autoespressione del Padre
nella generazione del Figlio come la prima chenosi intradivina
che abbraccia da ogni lato le altre, dal momento che il Padre ivi
si disapproria radicalmente della sua divinità e la
transappropria al Figlio: egli non la divide con il Figlio, ma la
partecipa con il Figlio dandogli tutto il suo"16..
Parafrasando l’inno della lettera ai Filippesi si
può allora dire che il Padre non tenne la divinità
per sé ma la donò interamente al Figlio. Era questo
un gesto ardito e pericoloso; il Figlio poteva impadronirsi della
divinità e come nel mito greco spodestare il Padre. Il
Figlio, invece, sceglie un’altra strada: "La risposta del
Figlio al possesso equiessenziale donato della divinità
non può essere che un eterno rendimento di grazie
(eucharistia) alla sorgente paterna, un rendimento così
disinteressato e senza calcolo alcuno quale era la donazione
prima del Padre. Emergendo da entrambi, quale loro
‘noi’ sussistente, respira il comune spirito
che a un tempo tenendo aperta la differenza (come essenza
dell’amore) la suggella e, quale l’unico Spirito di
entrambi, le serve da ponte"17.. La
chenosi, allora, la distanza è già presente nella
Trinità santa di Dio. Anzi, secondo von Balthasar, nella
"chenosi del cuore paterno nella generazione del Figlio sta
già incluso e superato ogni altro possibile dramma tra Dio
e un mondo, dal momento che ogni mondo può avere il suo
luogo soltanto all’interno della differenza del Padre e del
Figlio"18..
Ragionando per paradosso, perfino la distanza dell’inferno
è inclusa in questa distanza e separazione prima.
La chenosi seconda
In questo sguardo portato nell’eternità di Dio
abbiamo operato una prolessi, anticipando la volontà di
Dio di creare il mondo e la creatura razionale. Secondo il
prologo di Giovanni, la creazione avviene nel Figlio
perché, per von Balthasar, è un ulteriore dono
assolutamente gratuito e generoso del Padre al Figlio. Ma mentre
il Figlio risponde con l’eucarestia piena, con la totale
restituzione di se stesso, la creatura risponde con un no
inspiegabile: "Essa vuole essere di natura divina senza
partecipare alla divina personalità, che da sempre dona
questa natura divina"19.. In questa linea si possono intendere le
parabole del servo spietato (Mt 18,23-35) e dei talenti (Mt
25,14-30): in ambedue i casi i protagonisti, avendo ricevuto il
dono da Dio, si rifiutano poi di donarlo a loro volta.
Cosa succede in questo caso? Il no della creatura è
possibile per la generosità senza calcolo di Dio
Trinità. Nello stesso tempo, proprio perché
l’assenza di calcolo fa parte della natura di Dio è
indispensabile per la Trinità eliminare il trattenimento
egoistico da parte della natura. Siamo a un punto delicato nel
quale sono in gioco la libertà infinita e quella finita.
Scrive von Balthasar: nell’autodonazione totale di Dio
stava "la sua perfetta potenza e impotenza, la sua radicale
vulnerabilità, tutte cose inseparabili in Dio.
Perciò è necessario insieme dire che Dio
all’interno di sé tollera,
nell’inermità dell’amore assoluto, la
contraddizione contro questo amore e, nell’onnipotenza
dello stesso amore, non può e non vuole tollerarlo"20.. L’intera Trinità, dunque, vuole
eliminare la zizzania dell’egoismo, tuttavia il no della
creatura, la sua volontà di autonomia che si chiude al
ricevere e al dare, ha spazio solo all’interno del
sì del Figlio al Padre nello Spirito d’amore. Ne
nasce per il Figlio l’impegno a recuperare il sì
della creatura, un impegno che, vista la volontà di Dio di
rimanere fedele a se stesso e di rispettare la libertà
dell’uomo, prenderà la forma di un’ulteriore
chenosi o donazione. Il Figlio, dunque, si allontana dal Padre
alla ricerca della creatura guidato dallo Spirito d’amore
il quale, spingendolo costantemente al di più di amore,
diventa una legge rigorosa. Nella sua incarnazione, nel suo
cammino per il mondo egli è come il pastore che affronta
ogni difficoltà per trovare e riportare a casa la
pecorella smarrita. Ma non bisogna lasciarsi ingannare dal
contesto arcadico della parabola. A sottolineare l’asprezza
della missione del Figlio von Balthasar cita una parafrasi di
Péguy della parabola: Il buon pastore, che lascia le
novantanove pecore, se ne va con la speranza di ritornare e
portare all’ovile la pecorella smarrita, ma anche con una
profonda angoscia: la pecorella smarrita, il peccatore
vorrà ritornare con lui? Di qui la necessità che il
piano di Dio sia convincente. Di qui ancora la durezza dello
Spirito d’amore, perché solo l’amore è
credibile, solo nell’amore il Figlio può sperare di
riportare a casa la pecorella che si era allontanata.
E il Verbo si fece carne. Con questa espressione Giovanni
vuole sottolineare la vulnerabilità, la debolezza del
Figlio che, come vero capro espiatorio fa suo ogni peccato che
l’uomo gli scaglia addosso in proporzione al suo egoismo e
alla sua peccaminosità. Venne tra la sua gente, ma i
suoi non l’hanno accolto. Fin dall’inizio della
missione terrena l’orizzonte che gli sta davanti è
la morte. La predica del regno è appena iniziata (Mc 3,6)
che già si delibera sulla morte del Nazareno. E’ una
battaglia senza esclusione di colpo: "Dio venne nel mondo, ma un
muro di lance e di scudi si irrigidì a difesa. La sua
grazia cominciò a piovere gocce, ma il mondo si fece
gommoso e impenetrabile e le gocce scivolarono via"21.. La
discesa allora continua diritta fino alla morte per
"rappresentare l’impotenza della ribellione
nell’impotenza della sua obbedienza verso il Padre. Portare
alla luce la debolezza mortale di questa difesa disperata contro
Dio mediante la propria stessa debolezza mortale"22.. Ma
il calice della vertigine non è ancora giunto a
compimento. Il sangue versato sul Golgota deve colare nella terra
e scendere fino agli inferi. Al venerdì santo segue il
sabato quando Gesù non discende, né fa irruzione
negli inferi secondo la tradizione orientale, ma vi viene calato,
morto tra i morti, in una solidarietà inaudita. Ma il
passaggio attraverso gli inferi così come l’intera
passione è un evento trinitario. La distanza economica tra
il Padre e il Figlio sulla croce e negli inferi è il
corrispondente della donazione iniziale, della distanza creata
dalla chenosi prima. In altre parole, tutta la tenebra del dolore
è avvolta nella gioia dell’amore di cui è
dimostrazione, anche se il dolore è il più grande
che sia mai stato sofferto. Ed è questa la via al Padre,
la resurrezione, l’abbraccio del Padre al Figlio che ha
attraversato ogni deformità caotica.
La resurrezione, dunque, per von Balthasar è un evento
eminentemente trinitario, un abbraccio d’amore cui nessuno
è presente, ma di cui ai discepoli è consentito di
vedere gli effetti. Il Figlio intronizzato alla destra del Padre
può ora inviare il suo Spirito nella cui testimonianza
acquistano immediato significato sostituzione vicaria, pro nobis,
comunione dei santi estesa anche ai morti prima di Cristo,
eucarestia, vita della Chiesa, Israele per le genti, Chiesa per
Israele.
La struttura dell’opera
Questa è la grande azione di Dio, il teodramma collocato
al centro della storia di cui rivela significato e direzione.
E’ questa la teologia della storia di von Balthasar, il
senso recuperato all’esistenza del mondo e alla durata del
tempo attraverso lo sguardo coraggioso lanciato all’interno
della vita trinitaria.
L’azione di Dio ha dunque il primato su ogni altra
considerazione, tuttavia come l’incarnazione del Figlio
è preceduta dalla lunga preparazione di creazione ed
alleanza, così prima di arrivare alla Teodrammatica
23. vi è Gloria a dimostrare la
sapienza, la grandezza e lo svolgersi pedagogico del piano di
Dio. Parimenti dopo l’azione salvifica di Dio vi è
una nuova logica nel mondo; meglio il mondo ha la luce per
riconoscere la logica del creato e la logica portata da Cristo.
Cominciamo da Gloria. Von Balthasar preferisce iniziare dalla
visione invece che dalla dimostrazione razionale della
rivelazione di Dio perché dimostrare è per von
Balthasar un verbo pericoloso. Fraintendendo questo verbo la
tradizione cristiana si è affannata ad accavallare nei
secoli prove su prove con il risultato di rendere poco visibile
l’azione di Dio. Fedele alla sua ispirazione originaria il
teologo svizzero vuole invece operare un’apocalisse,
togliere il velo perché tutti possano vedere il piano
d’amore di Dio. Ed ecco Gloria che può essere
definita la "trattazione della bellezza (gloria) teologica della
rivelazione"24.. Questa trattazione chiamata anche estetica
teologica avviene seguendo due movimenti:
-
L’estetica come dottrina della percezione
della forma del Dio che si rivela.
-
L’estetica come dottrina
dell’incarnazione della gloria di Dio e della elevazione
dell’uomo alla partecipazione di questa gloria25..
All’estetica nella prima accezione sono
dedicati, oltre al primo i due volumi degli stili e i due volumi
della metafisica. All’estetica come dottrina
dell’incarnazione della gloria di Dio sono dedicati i
volumi 6 e 7 dedicati rispettivamente all’Antico e al Nuovo
Testamento. Il volume più originale è certamente il
primo in cui partendo dal concetto di bello e di forma von
Balthasar sottolinea il legame tra l’evidenza soggettiva
(fides qua creditur) e l’evidenza oggettiva (fides quae
creditur).»Le parole che tentano di esprimere il bello,
ruotano in primo luogo attorno al mistero della forma e della
specie. Formosus proviene da forma, speciosus da species.
Immediatamente si pone però la questione sul "grande
splendore che irraggia dall’intimo" e rende speciosa la
specie: splendor. Nello stesso istante si ha la specie e
ciò che irraggia da essa facendola preziosa e degna di
essere amata"26.. Questa impostazione permette di superare il
dualismo scolastico tra natura e grazia (qui si può
certamente notare l’influsso di de Lubac e della cosiddetta
nouvelle Théologie) e di recuperare l’antica
dottrina dei sensi spirituali. Lo splendore della fede è
colta dall’occhio della fede; le parole della Scrittura e
della tradizione sono percepite dall’udito abituato a
cogliere accordi e consonanze. Vi sono poi i due volumi degli
stili: 12 monografie teologiche dedicate ad altrettante figure
della tradizione cristiana in cui insieme ai teologi figurano
soprattutto letterati e poeti. Per von Balthasar Ireneo,
Agostino, Dionigi, Anselmo, Bonaventura, Dante, Giovanni della
Croce, Pascal, Hermann, Solov’ev, Hopkins e Péguy
colpiti dalla gloria della rivelazione di Dio hanno generato
degli stili che rappresentano "una luce chiarificatrice e
formativa nei secoli della civiltà cristiana"27..
Come il teologo precisa non si tratta di costruire una estetica
teologica moltiplicando le citazioni dai diversi autori, ma di
cogliere ogni volta il centro, il punto di cristallizzazione e
formazione di un’opera. "Il modo in cui la forma teologica
si costruisce intorno a questo centro della visione originaria
determina che cosa e quanto del Kebod si sia calato in questa
forma conseguendo con ciò corpo e fisionomia"28.. Nei
due volumi von Balthasar si conferma grande letterato e
interprete che mirava non tanto ad analisi filologicamente
ineccepibili, quanto a cogliere lo stile, la forma viva dei
singoli autori. Al confronto appaiono più frastagliati i
due volumi dedicati alle figure della filosofia, mentre
nuovamente avvincenti appaiono i volumi conclusivi dedicati alla
manifestazione della gloria, della deità e santità
di Dio nell’Antico come nel Nuovo Testamento. Essi peraltro
rendono pienamente conto del titolo di un’operetta
programmatica di von Balthasar (Solo l’amore è
credibile) e danno un contenuto nuovo e genuino al concetto
di Gloria. "Solo in Gesù Cristo, e in ultima analisi solo
nella sua assoluta obbedienza spintasi fino alla croce e
all’inferno si rivela che cosa è la gloria di Dio
nella sua (buona) verità"29..
Contemporaneamente è questo il passaggio dalla rivelazione
della gloria alla presentazione dell’azione buona di Dio di
cui abbiamo già parlato nel precedente paragrafo. Per
rendere conto del suo carattere di avvenimento von Balthasar
ricorre alla terminologia teatrale, al concetto di teatro del
mondo sulla cui scena Dio opera la sua grande azione o dramma cui
invita a partecipare anche l’uomo che da spettatore diventa
coattore.
L’ultima parte della trilogia tratta del vero alla luce
della rivelazione divina. Il primo volume tratta della
verità del mondo, la verità della natura e
dell’uomo, una verità che nel suo ultimo fondamento
rinvia a Dio. Nella rivelazione, tuttavia, Dio si rivela come
Logos, Parola del Padre incarnata per opera dello Spirito e da
Lui accompagnato nella vita, nell’azione salvifica, nella
sofferenza (vol. II); chi potrebbe tuttavia comprenderlo se non
ci fosse lo Spirito della verità (vol. III) che ci
introduce nella sua verità e in tal modo nel suo rapporto
col Padre? Questo rapporto peraltro è la destinazione
finale dell’universo e della creatura chiamata a vedere e a
partecipare. L’inferno, come per Sartre, è la
chiusura a questa luce. Il Figlio, tuttavia, nel suo Spirito
d’amore fa di tutto per far vedere e risplendere la gloria
del Padre: "Così si resterà all’affermazione
che noi vediamo apparire attraverso la gloria del Figlio
l’abisso della gloria di amore dell’invisibile Padre,
e questo nella doppia figura dello Spirito Santo l’amore,
mentre noi, come nati dallo Spirito, esistiamo nel fuoco
dell’amore, in cui Padre e Figlio si incontrano, e in tal
modo, insieme con lo Spirito, siano al tempo stesso i testimoni e
glorificatori di questo amore"30..
L’inizio di Gloria è come uno squillo di
tromba: "La nostra parola iniziale si chiama bellezza…
Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il
vecchio mondo era incapace di intendersi, ma la quale ha preso
congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi"31.. La bellezza di cui von Balthasar vuole
parlare, tuttavia, è l’azione buona di Dio,
l’azione disinteressata del Padre che senza calcolo si dona
al Figlio, l’azione gratuita del Figlio che si restituisce
interamente al Padre nello Spirito d’amore, e nella
pienezza del tempo in donazione totale prende le vie del mondo e
stabilisce la sua tenda tra gli uomini. La bellezza di Dio nasce
dal dramma della sua donazione, è splendore a lode della
sua gloria. Il dramma, peraltro, si svolge sul teatro del mondo
non solo perché tutti gli uomini possano vederlo, ma
perché tutti vi possano partecipare. Con un gioco di
parole perché tutti da Schauspieler (spettatori) possano
diventare Mitspieler (attori). Per operare questo passaggio viene
riversato nei cuori lo Spirito di verità che fa
comprendere la rivelazione del Padre mediante il Figlio. E’
questo il movimento interno dell’opera di von Balthasar, un
movimento tutto sommato semplice che l’autore sapeva ogni
volta arricchire con il contributo di strumenti e voci sempre
nuove. Egli ha così composto una sinfonia occidentale in
cui letteratura, filosofia, musica, teologia sono chiamate tutte
ad esaltare la gloria di Dio che si dona e donandosi si
rivela.
Va anche detto, in conclusione, che von Balthasar era in grado di
parlare della teologia della bellezza bellamente, che la sua
trilogia, nonostante le riserve critiche e le inevitabili
cadute32., è un monumento della teologia
cattolica del ‘900. Allo stesso tempo essa già
introduce al pensiero postmoderno e alla teologia del 2000 come
una prodigiosa riserva di intuizioni, di anticipazioni e di
asserti che ancora attendono di essere sviluppati e valorizzati a
livello di pensiero quanto di esperienza credente (teologia della
santità).
NOTE:
1
I 7 volumi di Gloria così come l’intera
trilogia (in 15 volumi) di Gloria, Teodrammatica,
Teologica sono pubblicati in Italia da Jaca Book.
2
Hans Urs von Balthasar, La mia opera ed Epilogo, Jaca
Book, Milano 1994, p. 49.
3
Cfr. al riguardo il volume di Pierangelo Sequeri Il musicale
nell’estetica teologica di Hans Urs von Balthasar,
Glossa, Milano 1955, che presenta anche due famosi scritti
musicali di von Balthasar.
4
Charles Péguy, Oeuvres en Prose, Parigi 1957, p.
998 s.
5
Hans Urs von Balthasar, Studi laicali, volume 36 di
Gloria, Jaca Book, Milano 1976, p. 381.
6
Le Mystère de la Charité de Jeanne
d’Arc, Club du meuilleur Livre 1956, p. 44.
7
Ibid.
8
Op. cit., pp. 357-259.
9
Oeuvres en prose, a cura di M. Péguy, Parigi 1959,
pp. 192-193.
10 Oeuvres poétiques
complètes, p. 800.
11 Op. cit., pp. 813ss.
12 Gloria III, p. 417s.
13 Ibid. p. 435.
14 H. Urs von Balthasar, La
teologia di Karl Barth, Jaca Book, Milano 19852,
p. 189.
15 Op.cit., p. 193.
16 Teodrammatica, 4, p.
301.
17 Teodrammatica 4, p.
301s.
18 Ibid., p. 304.
19 Ibid., p. 306.
20 Ibid., p. 306.
21 Hans Urs von Balthasar, Il
cuore del mondo, Piemme, Casale 1994, p.28.
22 Ibid., p. 29.
23 Teologia della storia,
Morcelliana, Brescia 1964.
24 Gloria 1, p. 24.
25 Gloria 1, p. 110.
26 Gloria 1, p. 12.
27 Gloria, vol. 2, p.3.
28 Gloria 2, p. 4.
29 Gloria 7, p. 221.
30 Teologica 3, p. 354.
31 Gloria 1, p. 10.
32 Cfr. al riguardo il mio Hans
Urs von Balthasar pp. 340-345 e P.A. Sequeri, Lo sviluppo
dell’idea musicale, cit.
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