CIO' CHE SALVA E' LO SGUARDO
Negli sguardi di Gesu' la speranza ritrovata
Bruno Maggioni
Lo sguardo di Gesù
Oltre che dal suo modo di parlare e di agire, un uomo lo si conosce anche dal suo modo
di guardare. La profondità dello sguardo rivela l'ampiezza dello spirito. Gesù vede gli
uccelli e i fiori, e vi scorge l'amore del Padre e lo stupido affannarsi degli uomini.
Scorge i bambini che giocano sulla piazza e ne fa una parabola. Vede il lavoro del contadino
e pensa al Regno di Dio. Il seminatore, il seme che cresce sotto le zolle, il piccolo seme
che diventa un grande albero, il grano e la zizzania... per Gesù anche le cose più semplici
e abituali, rinviano alla meraviglia del Regno di Dio. Il suo sguardo è poetico e religioso,
avvolgente e appassionato.
Analizzerò questo sguardo di Gesù a partire in particolare dal Vangelo di Luca.
Con i farisei
Il primo testo di Luca che mi ha colpito è l'episodio che conclude le controversie di Gesù
con i Giudei sul sabato, sul perdono dei peccati, sul digiuno, in cui alla fine si racconta
che: «Un sabato entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. Ora c'era là un uomo che aveva
la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva
di sabato» -i farisei hanno sempre un brutto sguardo che vuole cogliere in fallo- «allo
scopo di trovare un capo di accusa contro di lui. Ma Gesù era a conoscenza dei loro pensieri
e disse all'uomo che aveva la mano paralizzata: «Alzati e mettiti nel mezzo!». Gesù vuol
dare pubblicità al gesto. «L'uomo, alzatosi, si mise nel punto indicato. Poi,Gesù disse loro:
«Domando a voi: è lecito in giorno di sabato fare del bene o del male, salvare una vita o
perderla?"». E' una domanda interessante alla quale questa gente non risponde. E volgendo
tutto intorno lo sguardo su di loro, disse all'uomo: «Stendi la mano!». Egli lo fece e la
mano guarì. Ma essi furono pieni di rabbia e discutevano fra di loro su quello che avrebbero
potuto fare a Gesù» (Luca 6,6-11).
Questo è il primo sguardo di Gesù che mi ha colpito: un Gesù che guarda intorno. Immagino quel
suo sguardo con una certa severità, perché chi gli ha fatto quella domanda è ipocrita e vuole
tendergli un tranello. Lo sguardo di Gesù è uno sguardo di bontà, come vedremo, ma anche di severità.
Con la vedova di Naim
Il racconto lucano della risurrezione del figlio della vedova di Naim (7,11-17) è disseminato
di particolari che hanno tutti un profondo significato, non semplicemente lo scopo di abbellire
e commuovere. Il ragazzo morto è il figlio unico di una donna vedova. All'entrata della città
Gesù si imbatte - si direbbe per caso («avvenne») - nel suo funerale. Gesù è accompagnato dai
suoi discepoli e il feretro è seguito da molta gente. Così il miracolo è compiuto davanti
a molti testimoni. Luca scrive: «E avendola vista il Signore provò compassione per lei e disse:
"Non piangere"». Gesù, vede e prova compassione per la madre e le dice di non piangere.
L'iniziativa è interamente sua, completamente gratuita. La madre non gli chiede nulla,
semplicemente mostra piangendo il proprio dolore. Il sentimento che spinge Gesù è dunque
la compassione, e viene espresso con un verbo che fa riferimento all'amore materno, al grembo.
Si tratta di un sentimento profondo e partecipe, umanissimo. Gesù guarda e si lascia coinvolgere
dal dolore della donna, prescindendo da ogni valutazione di merito. Chi è quella donna? Che cosa
ha fatto per meritarsi un così grande miracolo? Nulla è detto e nulla si deve aggiungere. Gesù ha
visto, ha intuito il dolore di una vedova per la perdita dell'unico figlio, e questo gli è bastato
per intervenire.
C'è chi vede e passa oltre, come il sacerdote e il levita nella parabola del samaritano. C'è chi
vede, si avvicina, si fa partecipe, si prende a carico la situazione: così il samaritano, che è Gesù.
Con il fariseo e la peccatrice
Il lettore non fatica ad accorgersi che l'episodio - che si legge in Luca 7,36 ss. - intende
porre a confronto due modi diversi di guardare. Di fronte alla stessa donna e allo stesso gesto,
il fariseo vede la peccatrice e basta, Gesù invece scorge in lei il pentimento, la riconoscenza
e l'amore. Perché questa differenza?
Lo sguardo del fariseo è (doppiamente) deformato, e per questo è del tutto incapace di scorgere
il gesto della donna nella sua verità. Egli si lascia condizionare dal fatto che quella donna è
una peccatrice: legge il suo gesto - quel gesto singolo e preciso - partendo da un giudizio
generale già precostituito. E inoltre il fariseo è convinto che un maestro non debba lasciarsi
avvicinare da una donna di malaffare. Prigioniero di un condizionamento nel contempo religioso
e culturale che lo acceca, il fariseo non vede quello che Gesù vede. Anche Gesù sa che quella
donna è una peccatrice, ma questo sapere non gli impedisce di comprendere che quel gesto va in
senso contrario: esprime amore. Libero da schemi e da giudizi già fatti, stabili, Gesù è in
grado di cogliere il gesto nella sua singolarità e, quindi, la donna nella sua verità: non
solo capace di molti peccati, ma anche di molto amore.
Lo sguardo del ricco fariseo non esprime accoglienza, né apre alla speranza, non libera la
donna ma l'imprigiona nel suo passato, quasi identificando la sua persona con la sua condizione
di peccatrice: è una peccatrice, non è capace di fare altro, e tutte le sue azioni debbono essere
guardate con sospetto! Invece lo sguardo di Gesù - lo sguardo di Dio! - esprime accoglienza,
offre stima e fiducia, e non identifica la donna - né la sua persona né le sue intenzioni -
con la sua condizione di peccatrice. E così le offre la gioiosa possibilità di cominciare, una vita nuova.
Con Zaccheo
Nell'episodio della conversione di Zaccheo (Luca 19, 1-10) si intrecciano tre sguardi.
Zaccheo desidera vedere Gesù e - essendo piccolo di statura - si arrampica su un albero per
vederlo passare. Il suo desiderio di vedere non è pura curiosità. Esprime una ricerca, anche
se ancora iniziale e, forse, confusa e incerta.
Gesù alza lo sguardo per vedere Zaccheo e per farsi invitare a casa sua, un bellissimo gesto di
accoglíenza, non di giudizio. Lo sguardo di Gesù non si arresta alle apparenze: Zaccheo è un
pubblicano ed è ricco. Un caso difficile per il Vangelo. Ma lo sguardo di Gesù è penetrante e
scorge l'insospettata disponibilità di Zaccheo. Anche un ricco può essere disponibile alla
salvezza. A Zaccheo bastano lo sguardo di Gesù e il suo invito per convertirsi.
Anche i farisei vedono, ma il loro sguardo è del tutto deformato: «A quella vista, tutti
mormoravano». La profondità dello sguardo dipende dalla limpidezza e dalla libertà del cuore.
Al Tempio
Il vangelo di Luca (20,45 - 21,4) traccia due quadri contrapposti efficacissimi, in qualche
modo conclusivi del ministero pubblico di Gesù: il comportamento degli scribi e il comportamento
di una vedova povera: la vera e la falsa religiosità. 1 discepoli sono invitati a confrontarsi e
a riconoscersi. Osservando il via vai del tempio, Gesù vede i dottori della legge che hanno lunghe
vesti con sopra ricamate le parole della legge. Si mettono bene in vista, hanno diritto ai primi
posti, pregano a lungo. Sono uomini che sfruttano la posizione che occupano e la stima del
popolo per la loro vanità. Parlano continuamente di Dío, ma in realtà pensano al loro onore.
E come se ciò non bastasse sfruttano la povera gente, che pure si rivolge a loro per essere
aiutata («divorano le case delle vedove»). Gesù non rimprovera direttamente gli scribi. Si
rivolge ai discepoli perché non cedano al loro fascino. Sono stimati, accettati e seguiti
dalla popolazione. Il discepolo, invece, non deve lasciarsi incantare da loro. Gesù vuole
che assumano un atteggiamento critico nei loro confronti. Li ritengono i modelli da seguire,
il discepolo deve invece guardarsene.
Nel cortile del tempio, nel quale avevano accesso anche le donne, erano allineate le ceste
nelle quali venivano gettate le monete. Probabilmente gli offerenti dovevano dichiarare al
sacerdote in servizio l'entità del dono e lo scopo per cui l'offrivano. Gesù vede molti ricchi
che fanno laute offerte e vede una povera vedova che offre poche monete, tutto quanto possiede.
E' su di lei che Gesù richiama l'attenzione dei discepoli con parole che il Vangelo riserva per
gli insegnamenti più importanti: «In verità vi dico ... ». Gesù ha trovato un gesto autentico
e vuole che i discepoli lo imparino. Ciò che l'ha colpito non è soltanto l'assenza di ostentazione,
ma soprattutto la totalità del dono: quella vedova non ha dato il superfluo (cioè quello che avanza
dopo aver garantito la propria vita entro ampi margini di sicurezza), ma «tutto quello
che aveva... per vivere».
Con Pietro nel cortile del sinedrio
Nel cortile del sommo sacerdote Pietro ha ripetutamente rinnegato Gesù. In questo contesto
Luca introduce un particolare bellissimo: «Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro»
(22,61a). Voltatosi: Gesù dunque, non ha visto Pietro per caso, ma si è voltato appositamente
per guardarlo. Del resto, anche il verbo emblepein che Luca utilizza, non dice un generico
vedere, ma un guardare con sguardo attento. Si può vedere qualcosa anche casualmente e
distrattamente. Emblepein, però, dice sempre un vedere con intenzione: non come quando
semplicemente un oggetto ti si presenta davanti, ma come quando sei tu che volgi gli occhi per osservarlo.
Lungo il racconto il nome di Gesù non compare mai, né sulle labbra dei personaggi, né sulla
penna dell'evangelista. Certo di lui si parla dall'inizio alla fine, ma la sua presenza è
sempre nascosta nel pronome lui (autos). Qui invece compare improvvisamente, da protagonista,
capovolgendo l'intera scena: con la sua comparsa il peccato si trasforma in pentimento. Luca
non fa nulla per collegare questo tratto al resto della narrazione. Non crea alcuna premessa
per introdurlo. Ha lasciato Gesù dentro il palazzo, e ora lo presenta nel cortile, incamminato
in una direzione dalla quale per guardare Pietro deve voltarsi. All'evangelista non occorre
alcuna premessa, perché la sua intenzione non è di scrivere una pagina di cronaca. Gesù è il
«Signore» (cosi lo chiama Luca), titolo che alla comunità credente ricorda che Gesù è vivo e
presente, qui e ora, fra i suoi. Non è più il canto del gallo che suscita il ricordo della parola che salva
(Luca usa l'espressione «parola del Signore»), ma lo sguardo di Gesù. E' il Signore direttamente
che suscita il ricordo e fa nascere il pentimento. Nel ricordo della sua parola, lui stesso
si fa presente: Luca vuol dire questo alla sua comunità, approfittando dell'episodio del
rinnegamento di Pietro. Ciò non significa che questo tratto non sia storico. Può esserlo
certamente. Tuttavia l'evangelista lo racconta in modo da scioglierlo dai limiti di un
accadimento chiuso nel suo passato.
Il verbo, a cui Luca ricorre per significare il ricordo di Pietro, non equivale al semplice
far tornare alla mente un fatto, o una parola, del passato, ma a un ricordo che ripensa e
comprende. Nel nostro caso Pietro non solo si ricorda della parola di Gesù; la ripensa
comprendendone l'intenzione che prima gli era sfuggita. Lo sguardo rivolto a Pietro è
il secondo gesto di Gesù che Luca introduce nel racconto della passione. Il primo è quando
riattacca l'orecchio al servo del sommo sacerdote colpito dalla spada di un discepolo (22,51b).
Sono due gesti che più di molte parole esprimono la prontezza e la totalità del perdono.
Lo sguardo del discepolo
Fin qui lo sguardo di Gesù rivolto ad altri. Ora lo sguardo del discepolo, dell'uomo verso Gesù.
Nella sinagoga
Nel capitolo 4 di Luca si parla di Gesù nella sinagoga di Nazareth. Qui Gesù si fa dare
il libro del profeta Isaia e vi legge le parole: «Lo Spirito del Signore... mi ha mandato
per portare la lieta notizia ai poveri, per liberare i prigionieri... e annunciare un anno
di grazia del Signore». Dopo che Gesù ha letto e ha arrotolato il volume, «gli occhi di
tutti erano ben fissi su di lui». Gesù non commenta nulla, ma il passo che ha letto è
chiarissimo, non ha bisogno di commenti. Gesù dice: «Questa parola oggi si è compiuta».
Oggi dice il compimento. In realtà il racconto va avanti e parla di un rifiuto. I nazaretani
hanno rifiutato Gesù: il compimento è il rifiuto. Volevano buttarlo giù dal precipizio del
tempio, ma Gesù, «passando in mezzo a loro, se ne andava». Il verbo usato è all'infinito.
E' il Signore che se ne va: l'ultima parola non è il rifiuto, l'ultima parola è il Signore risorto.
Beati gli occhi che vedono
Gesù, al capitolo 10, 23 di Luca, dice rivolto ai discepoli: «Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete».
Nel contesto si racconta la caduta di Satana: è un bel vedere! Satana è caduto, Satana è vinto.
E' vero che Satana è ancora attivo nel mondo, ma è vinto! Quindi, sembra dire Gesù, non aver paura,
vigila, ma non aver paura perché Satana può sembrare incrollabile come la statua di Nabucodonosor,
ma in realtà ha i piedi d'argilla. Noi crediamo in Gesù Cristo che ha vinto persino Satana!
(e se questo è vero, non si dovrebbero fare chissà quali cose per liberarsi da Satana:
acqua santa, preghiere, litanie che non finiscono più... basterebbe ricordare Gesù Cristo!).
Gesù dice che solo il Padre conosce il Figlio e solo il Figlio conosce il Padre: una conoscenza
esclusiva ma non escludente, aperta a coloro ai quali il Figlio la voglia rivelare. Il mistero
di Dio si dischiude ai tuoi occhi: ecco l'altra cosa, per cui si deve dire: «Beati gli occhi
che vedono quello che voi vedete». Gesù poi ringrazia il Padre perché, anziché rivelare queste
cose ai grandi, le rivela ai piccoli: Dio ci spiazza sempre... non è come pensi tu!
Queste sono le tre realtà che devi guardare: Satana è vinto, il mistero di Dio si dischiude
ai tuoi occhi, la rivelazione è per i piccoli. Se non le capisci, se non le vedi, non puoi
capire e vedere niente. Anche se, come vedremo dopo, la Croce, la Passione di Gesù ci faranno
capire e vedere ancora di più.
Il vedere di Erode
Nei testi della Passione, che sono bellissimi, intanto c'è il vedere di Erode (Luca 23, 8-11).
Erode desiderava vedere Gesù, perché sperava di vedere qualche prodigio fatto da lui, come
se Gesù fosse un saltimbanco. Che povero desiderio quello di Erode! Di fronte a lui Gesù non
dice una parola, né compie un gesto: un bellissimo modo di reagire a uno sguardo sciocco.
Lo spettacolo della Croce
Questo è il punto che devi guardare proprio come un gufo, per vedere oltre le apparenze,
per vedere la luce in qualcosa che ti sembra buio come la notte.
Siamo alla contemplazione della grande memoria cristiana: la Croce. La Croce vista e
compresa non attraverso i nostri occhi deboli e spesso distratti, ma attraverso lo sguardo
penetrante dei primi testimoni.
Luca, a conclusione del racconto della Croce, scrive: «Tutte le folle che erano accorse
a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto»
(Luca 23,48). Spettacolo, in greco theoria. Theoria non indica un'immagine ferma, ma un dramma
in svolgimento. E' uno spettacolo che occorre vedere e rivedere (theorein, dice ancora Luca),
penetrare, scrutare e ripensare. E' il grande dramma, l'unico che vale la pena di vedere,
perché illumina tutti gli altri.
Ce lo ricorda anche Giovanni, a conclusione di tutto il racconto della crocifissione:
«Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Giovanni 19,37). Mi sembra una definizione
della Chiesa, il popolo di coloro che guardano colui che è stato trafitto. Le stesse parole
di Gesù: «Quando sarò innalzato attirerò tutti a me» (Giovanni 12,32) dicono che la Croce
è il centro dell'universalità, il luogo dell'incontro.
Anche nell'Apocalisse troviamo scritto: «Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà, anche quelli
che lo trafissero, e tutte le nazioni della terra si batteranno il petto per lui» (Apocalisse 1, 7).
Alla luce di tutte queste affermazioni di rara bellezza, si comprende subito che la Croce,è
la grande icona, la memoria fissa del credente, lo spettacolo dal quale non si deve mai staccare lo sguardo.
Osserviamo ora con attenzione i tratti principali di questo spettacolo.
Uno spettacolo pubblico - E' anzitutto, uno spettacolo pubblico, che si svolge davanti
a tutti: non solo davanti al discepolo e alla madre ( e poi a tutti i credenti che «guarderanno»),
ma anche davanti alla folla accorsa e davanti ai semplici passanti. La ragione della sua
condanna - precisa Giovanni - era scritta in tre lingue: tutti potevano leggerla. Uno spettacolo,
dunque, che si svolge di fronte alla Chiesa e di fronte al mondo. Uno spettacolo pubblico che
vuole restare pubblico.
Uno spettacolo sorprendente - E' uno spettacolo che sorprende, persino scandalizza, ma proprio la
ragione del suo scandalo è per il credente la ragione della sua bellezza. Sorprende (o scandalizza)
doppiamente. Perché racconta di uno «sconfitto» che invece è un «vittorioso». La Croce dovrebbe
avere due facce: da una parte il Crocifisso e dall'altra il Risorto. Una faccia dà senso all'altra.
Sorprende, inoltre, perché si tratta di uno spettacolo in cui appare tutta la malvagità dell'uomo,
che non esita a condannare l'innocente; ma nel contempo appare tutta la profondità e l'ostinazione
del perdono di Gesù. La malvagità dell'uomo non annulla la solidarietà di Gesù verso l'uomo. Il
perdono di Dio, svelato dalla Croce, è la suprema garanzia della vita e della storia, ed è la
prima ragione della speranza. Il peccato non è la realtà ultima, perché superato dal perdono di
Dio. Il dramma della Croce ti fa assistere all'arroganza della menzogna che sembra più forte della
verità. Sulla Croce vedi un innocente sconfitto e trafitto. E questo deve spingerti a vedere il male
con sguardo serio. La Croce insegna che il male c'è, che la malvagità esiste, e che occorre vederla,
scoprirla, denunciarla, ammetterla. Il credente guarda il male con sguardo serio e preoccupato.
Ma la Croce è anche uno spettacolo in cui si scorge il perdono.
Racconta una storia ebraica, che quando Dio decise di creare il mondo, non riusciva a farlo
stare in piedi, non stava ritto, cadeva e ricadeva, una volta, due volte. Allora Dio, accanto
al mondo, creò il perdono e il mondo stette ritto.
Se il mondo continua, è perché Dio ci perdona tutte le mattine e tutte le sere, e il Cristo
in Croce è rivelazione di questo perdono. Se dunque la Crocifissione è uno spettacolo serio
perché mostra la malvagità, è ancor più uno spettacolo lieto perché mostra il perdono.
Per questo il discepolo di Gesù è capace di uno sguardo insieme serio e sereno.
Uno spettacolo che converte - Il dramma della Croce è uno spettacolo che converte. Le folle
accorrono, guardano, comprendono e si battono il petto. Lo spettacolo della Croce capovolge
la vita. Osservandolo comprendi che la tua vita deve assomigliare alla vita di quel Crocifisso
che, rifiutato, ama e perdona, e non rompe la solidarietà con chi lo rifiuta. Comprendi che la
strada della vita non può essere che il dono.
L'Apocalisse e tutta la meditazione dei primi cristiani ci fanno capire che il dramma del
Cristo morto e risorto non è un semplice momento della storia, un lampo che improvvisamente
l'ha attraversata. E' sì un lampo, un breve arco di storia, che però ha illuminato tutta la
storia: è la chiarezza, il senso che cercavi, la radice della speranza di cui avevi bisogno,
il libro sigillato che si è finalmente aperto. Guardando lo spettacolo del Crocifisso, comprendi
che la storia, che, spesso pare non avere né capo né coda, ha in realtà un preciso destino.
Uno spettacolo pericoloso - E va detto, infine, che si tratta di uno spettacolo pericoloso.
Pericoloso per il mondo che viene giudicato. Di fronte al Crocifisso il mondo si vede smascherato
nella sua menzogna, e si arrabbia e reagisce e colpisce. Ma pericoloso anche per il credente,
perché ormai non può più fare a meno di camminare lungo la strada che corre il rischio della
solitudine e del martirio.
La conclusione, mi pare, è che il cristiano è tutto l'opposto di un discepolo tranquillo che
scivola giorno dopo giorno nella banalità e nell'annoiata osservanza di alcuni doveri religiosi.
E', invece, attore di un dramma, che proietta al di fuori: al di fuori del mondo, perché propone
di vivere secondo una logica del tutto diversa dalla logica mondana; al di fuori di se stessi,
perché propone un'esistenza che alla conservazione di sé preferisce il dono di sé; e al di fuori
anche della propria comunità, perché anche la comunità deve - se vuole davvero porsi alla sequela
del proprio Signore - aprirsi al mondo e farsi universale.
La derisione -La morte in croce di Gesù, secondo Luca, è corale, diversa da come la raccontano
Marco, Giovanni o Matteo. Ai piedi della croce c'è anche il popolo, per cui Luca prova simpatia.
Accanto ai capi che deridono Gesù, ai soldati che deridono Gesù, c'è anche il popolo a guardare,
come si guarda a uno spettacolo, a qualcosa che si sta svolgendo (theorein). Il popolo sta a
guardare e vede un crocifisso che perdona, che muore perdonando. Chi è ai piedi della croce lo deride.
Perché? Cosa fa ridere vedendo un crocifisso? Fa ridere la contraddizione che ti pare di scorgere
in Gesù, un Gesù crocifisso che ha detto di saper distruggere il tempio e riedificarlo e che ora
non è capace di scendere dalla croce. Che ha detto di essere figlio di Dio, ma il Padre non viene
a salvarlo per dimostrare che dice il vero. Il Figlio di Dio non può essere abbandonato così! Fa
ridere un'altra contraddizione: ha salvato gli altri e ora non è capace di salvare se stesso,
possiede la potenza di salvare gli altri, ma non la usa per sé. In fondo è derisa proprio questa
grandezza, questa diversità di Gesù che salva gli altri e non se stesso, che non usa la potenza
per scendere dalla croce, che non si impone con la potenza, ma solo perdona. La grandezza di
Gesù è derisa perché chi lo guarda non è disposto a cambiare l'idea di Dio. Lo spettacolo della
croce fa cambiare idea di Dio: Dio non è come tu pensi, non è rivelato dalla potenza, ma dall'amore
e dal rispetto della libertà.
Lo sguardo del centurione - Si parla anche di un centurione che, visto Gesù morire in quel modo,
disse: «Veramente quest'uomo era giusto» (Luca 23,47). E' uno sguardo diverso da quello dei
farisei, dei capi e dei soldati. Il centurione ha intuito qualcosa proprio nella morte di Gesù,
nel punto che sembrava più buio. Ha visto qualcosa di grandioso perché aveva uno sguardo diverso,
una disponibilità diversa.
I discepoli di Emmaus
Lo sguardo che riconosce Gesù risorto è in una bellissima pagina che racconta la storia dei
discepoli di Emmaus (Luca 24,13-35).
In questa pagina il problema non è tanto come trovare il risorto, ma come riconoscerlo.
Il risorto è lì che cammina con i discepoli, ma loro non lo vedono, non lo riconoscono.
Come riconoscere la presenza del risorto?
Nella parte iniziale del racconto, quando lo sconosciuto si avvicina ai due discepoli e si
intromette nel loro dibattito, si dice che «non l'hanno riconosciuto, perché i loro occhi
erano incapaci di riconoscerlo». Perché incapaci? Perché non avevano gli strumenti per vederlo.
Ma quali strumenti?
Più avanti, invece, quando arrivano a Emmaus e Gesù spezza il pane, i loro occhi si aprono.
Perché? Che cosa hanno capito che ha aperto loro gli occhi? Quando hanno aperto gli occhi Gesù
è scomparso, perché quando si sono capite le cose da capire, non servono più gli occhi.
Torniamo a chiederci perché i loro occhi erano incapaci di vedere, di capire, di riconoscerlo:
perché non hanno capito la Croce. La condizione essenziale per riconoscere il Risorto è la
comprensione della Croce, che a sua volta richiede l'intelligenza delle Scritture.
Il racconto dei discepoli è molto chiaro: vi si legge che Gesù ha detto parole efficaci, ha
fatto cose potenti, che è stato un Messia... ma poi è subentrata la croce che ha fatto perdere
loro la speranza. Non la speranza in Gesù profeta: questa è rimasta perché i profeti molte
volte sono stati sconfitti. Loro però, come tutti, aspettavano un Messia che avrebbe posto fine
agli innocenti colpiti, ai profeti martiri, che avrebbe capovolto le cose... invece è venuto ed è
stato crocifisso. Quíndi non può essere il Messia. Sono crollate le loro speranze, perché non
hanno capito che la croce non era contraria alla potenza di Gesù, alla presenza di Dio in Gesù.
Se immagini che Dio è il potente, non riesci ad ammettere che Gesù sulla croce è il Figlio di Dio.
Ma se hai capito che la vita di Gesù non è stata una manifestazione di potenza, nonostante qualche
miracolo, comunque segno e rimando a qualcosa d'altro, allora puoi riconoscere nel Crocifisso
il Risorto. Ai due discepoli sfugge la continuità fra il profeta potente e il Messia crocifisso.
Ma il modo di guardare la Croce deve radicalmente cambiare: la Croce non contraddice, la Croce
conferma; la Croce non è la smentita della speranza, ma il suo fondamento.
Se Gesù ha vissuto la dedizione per rivelare Dio, l'amore per gli altri per rivelare Dio, sulla
croce è il compimento, non la smentita: se non capisci questo, tu non riconoscerai mai il Signore
nella tua vita e nella vita degli altri, perché andrai a cercarlo in luoghi sbagliati, dove c'è
potenza. Ma dove c'è potenza non c'è, o c'è ben poco, di Dio, c'è solo la pelle di Dio.
La realtà profonda di Dio è un'altra, è l'amore. Se non capisci questo dove vai a cercare Dio?
Non tocca a Gesù cambiare il volto, bensì ai discepoli cambiare lo sguardo. Occorre un nuovo
modo di guardare ciò che già prima si è visto. Il Risorto rimane necessariamente uno straniero
se non si entra - attraverso la comprensione delle Scritture - nella verità del Crocifisso. Il
Risorto rimane nascosto se non si comprende il Crocifisso.
Sulla croce è il compimento: Gesù si è donato tutto e qui compie il segno, il segno che
indica la sua identità. La carta di identità di Gesù Cristo terreno e di Gesù Cristo risorto,
Signore del cielo e della terra, ha un contrassegno fisso: la dedizione, il servizio. Vuoi
incontrare il risorto? Là dove c'è il servizio. Vuoi essere segno del risorto? Nel servizio.
Vuoi sperimentare la vicinanza di Dio? Nella dedizione, nel pane spezzato.
La fractio panis (cioè la dedizione) è sempre la modalità riconoscibile della presenza del
Signore: è la modalità del Crocifisso, del Risorto e del Signore glorioso presente nella
Chiesa. E' questo il tratto che fa riconoscere il Signore.
Io credo che anche in Paradiso, nell'aldilà, avremo la sorpresa di vedere un Figlio di Dio,
un Cristo che credevamo di andare finalmente a servire e invece sarà ancora lui a servire noi.
E' questa la vera identità di Gesù. E' troppo bello!
Io cito sempre il mio vecchio parroco della Brianza che ci portava alla Madonna del Bosco, a
Caravaggio, ma una volta all'anno, immancabilmente, ci portava al Cottolengo. Era geniale!
Perché lì vedi la presenza di Dio: nel servizio e nell'amore. Andate pure dove volete, andate
anche al Santo Sepolcro, però ricordate che l'angelo ha detto alle donne: «Cercate Gesù? Non è
qui». Infatti il sepolcro era vuoto. Andate là, nel luogo dell'amore e della dedizione e
vedrete Dio. Cristo risorto e pane spezzato.
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La lampada del tuo corpo è l'occhio. Se il tuo occhio è tenebroso, tu sei nelle tenebre,
non perché il mondo è oscuro, ma perché il tuo occhio si è spento. Quindi curiamo gli occhi.
Sta a vedere che forse il mondo è brutto perché continuiamo a dire che è brutto e basta e
non vediamo invece la luce che c'è, la presenza di Dio che c'è, per cui non sappiamo più che cosa fare.
I capitoli:
Lo sguardo di Gesù
Con i farisei
Con la vedova di Naim
Con il fariseo e la peccatrice
Con Zaccheo
Al Tempio
Con Pietro nel cortile del sinedrio
Lo sguardo del discepolo
Nella sinagoga
Beati gli occhi che vedono
Il vedere di Erode
Lo spettacolo della croce
I discepoli di Emmaus
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