LA PAROLA DELLA CROCE
Franco Giulio Brambilla
Un testo
per iniziare
Il segreto della croce di Gesù
Lo spettacolo della croce: la
conversione dello sguardo
Gli avvenimenti della fine: la
lettura del segno
Il segreto della croce: l'icona del mistero di
Dio
Il gesto di
Gesù
Il volto di Dio
La verita dell'uomo
Con il dito di Giovanni nel cuore di Dio
Un testo per iniziare
Mi sia concesso iniziare questa meditazione
teologica con un brano tratto da un piccolo volumetto, che
è un gioiello per comprendere la "Parola della croce", una
parola così difficile e inquietante per l'uomo d'oggi,
tanto che egli cerca di occultarla o rimuoverla:
La meraviglia credente e la meraviglia
incredula
Bisogna dunque fare attenzione che Dio, in Gesù,
sceglie non una qualunque morte, ma questa morte: la morte del
crocifisso.
C'è un senso di questa meraviglia, dunque, da ricuperare
di fronte a questa affermazione che può diventare banale.
Gesù è morto per noi, ma che sia morto crocifisso
non è una cosa puramente accidentale! Cè un senso
di meraviglia da ricuperare di fronte alla morte crocifissa di
Gesù. Ma la meraviglia è un pochino sempre a doppio
esito: c'è la meraviglia che vuol capire, che si lascia
educare a capire.
Quando Mosè vede il roveto ardente nel deserto, dice:
"Voglio avvicinarmi e vedere che cosa è questo". Vuole
capire quello che vede. Oppure, nel c. 53 di Isaia, dove si parla
di Yahwè, il coro a un certo punto domanda: "Chi mai
avrebbe creduto? Noi l'avremmo considerato come un malfattore e
invece...". Questo modo di reagire è il modo di meraviglia
che vuol capire, che si lascia educare a capire.
E c'è invece la meraviglia che non nasce
dall'intelligenza, cioè dalla volontà dell'uomo di
capire, di piegarsi e di incontrare la verità o comunque
ciò che gli si manifesta: ma è la meraviglia della
ragione, che conduce a misurare questa cosa secondo il metro che
sono io.
Questa meraviglia conduce all'incredulità e al rifiuto,
mentre la prima conduce all'ammirazione, si lascia educare
dall'avvenimento, si lascia piegare.
Possiamo fare la storia, allora, di fronte alla morte di
Gesù non "in qualunque modo" ma alla morte scelta, la
morte di croce, possiamo, dicevo, fare la storia di questa
complessa meraviglia che ha due possibili esiti.
Il primo esito possibile è quello dell'intelligenza che
si lascia educare a capire e quindi alla fine crede e dice: non
avrei mai pensato questa cosa.
Il secondo è la meraviglia che dice: devo misurare io le
cose come sono e, misurandole, cioè prendendo me come
metro della cosa, dico: o questa cosa sta nel mio metro o non ci
sta, e alla fine la rifiuta.
[Cfr. G.Moioli, La Parola della Croce,
Milano, Glossa, 1994]
Questo duplice atteggiamento attraversa il nostro
sguardo e il nostro cuore dinanzi alla croce di Gesù. Alla
fine sembra oscurarsi il significato autentico del morire di
Gesù, della sua singolarissima morte, su cui si
riflettono le nostre croci o i nostri processi di
liberazione, i nostri dolori e le nostre resistenze alla
sofferenza ingiusta. Ma tutto ciò non può
costituire un accesso sicuro al senso autentico del morire di
Gesù. Non è la nostra croce, la nostra sofferenza
che illumina quella di Gesù, ma semmai è l'inverso.
La morte di Gesù non si risolve in una alternativa tra la
sofferenza e la gioia, tra la morte e la vita: se essa non viene
vista nel suo rapporto con Dio e nel rapporto con noi uomini
peccatori viene oscurata nella sua singolarità.
Per questo cerchiamo di cogliere il morire di Gesù nella
sua originaria radice teologica, non presupponendo già un
volto di Dio determinato, non presumendo di sapere già che
cosa sia giustizia e misericordia, sofferenza e croce, amore e
dedizione.
Il segreto della croce di Gesù
In questo modo siamo posti dinanzi all'evento della
morte di Gesù: ci aiuta in questo senso il brano centrale
della Passione secondo Luca:
Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone
di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso
la croce da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una gran
folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano
lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne,
disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma
piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni
nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non
hanno generato e le mammelle che non hanno allattato.
Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai
colli: Copriteci!
Perché se trattano così il legno verde, che
avverrà del legno secco? ».
Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per
essere giustiziati.
Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero
lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra.
Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non
sanno quello che fanno».
Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte. Il
popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo:
«Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il
Cristo di Dio, il suo eletto». Anche i soldati lo
schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e
dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te
stesso». C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi
è il re dei Giudei.
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei
tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!».
Ma l'altro lo rimproverava: Neanche tu hai timore di Dio e sei
dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché
riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha
fatto nulla di male». E aggiunse: «Gesù,
ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli
rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel
paradiso».
Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece
buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del
tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran
voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio
spirito». Detto questo spirò.
Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio:
«Veramente quest'uomo era giusto». Anche tutte le
folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto
era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto. Tutti i
suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che
lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi
avvenimenti (Lc 23, 26?49).
Dinanzi a questo "spettacolo" - come l'ha definito
Luca - ci sorgono tre domande: Con quali occhi ci è
concesso di contemplare lo spettacolo della croce? Con quali
segni siamo introdotti alla testimonianza definitiva? Chi
incontriamo nello spettacolo della croce? La prima domanda
è sugli occhi, cioè sullo sguardo con cui
possiamo cogliere la croce di Gesù. La seconda domanda
è sugli avvenimenti, cioè su quei segni che
ci permettono di cogliere la morte di Gesù, come morte di
croce. La terza domanda ci introduce al mistero del volto di
Dio rivelato nella croce di Gesù.
Lo spettacolo della croce: la conversione dello
sguardo.
Possiamo iniziare mettendoci nella condizione
spirituale dei discepoli, quella sera del Venerdì santo.
Proviamo a indovinare le loro domande e insieme anche le nostre.
Come è possibile comprendere la croce di Gesù? E'
sufficiente la compassione di fronte al dolore innocente del
giusto, basta proiettarvi il peso e la pena delle nostre
sofferenze? E' possibile guardare alla croce di Gesù solo
con lo sguardo triste di fronte all'enigma della morte, solo con
la speranza delusa di chi aveva creduto in un grande ideale, di
chi aveva sperato in un progetto di vita sorprendente? E'
possibile vedere la croce di Gesù solo come il riflesso
delle nostre malvagità, soltanto con la domanda, acuta e
dolorosa, su questo Dio, lontano e terribile, che vuole la morte
del Figlio? E' possibile contemplare la croce di Gesù solo
come il luogo del fallimento del suo messaggio, delle sue parole
stupende e affascinanti, dei suoi colloqui tenerissimi ed
esigenti, dei suoi incontri sempre risolutori, del suo sguardo
insostenibile che trafigge il cuore e cambia la vita? In una
parola, è possibile che tutto sia finito? E' possibile che
tutto sia precipitato nel nulla? Poniamoci alla sera di quel
Venerdì santo, con l'animo e la mente storditi, con la
sensazione del vuoto lasciato da Lui, dalla sua parola, dalla sua
pretesa di essere non uno dei tanti profeti, ma Colui che chiama
in modo irresistibile e inconfondibile, che continua ad offrire
comunione! Poniamoci alla sera di quel Venerdì santo per
sperimentare la nostalgia della sua parola che ci invita a
fidarci di Dio, anzi che per prima ci ha testimoniato come ci si
affida a Dio, come si può lasciare nelle mani di Dio la
propria pretesa, la propria vita, il proprio progetto.
Perché Dio non è un destino oscuro, un despota
duro, ma il Padre amabile, anche quando egli scompare
dall'orizzonte della nostra esistenza, quando sembra allontanarsi
dai nostri desideri, quando pare chiedere alla nostra
libertà uno sforzo supremo. Come è amara quella
sera, come è vuoto e lacerante quel sabato, quando - come
dice il poeta - quella Parola che aveva zittito la nostra
chiacchiera si è concentrata nel grido che dà
l'ultimo respiro, s'è fatta silenzio e interminabile
vuoto!
E ora ripensiamo al testo del vangelo di Luca. Si tratta di una
cronaca di quella sera? E' il resoconto di quell'avvenimento?
Sì certamente, i fatti riportati sono veri, le poche
notizie scarne ed essenziali sono plausibili: alcune donne
elevano il loro lamento funebre, i soldati si dividono quella
veste tessuta da mani esperte, due malfattori sono crocifissi
assieme, lo scherno dei soldati mentre aspettano la fine, la
sfida dei capi e la curiosità della gente, l'arsura e la
sete di Gesù, lo sconvolgimento degli elementi naturali,
il grido di Gesù morente, il commento stupito di un
centurione romano, il ritorno pensoso della folla. Ma ora
rileggiamo il testo così come lo scrive Luca: esso
è attraversato come da una luce, diventa un evento
parlante, uno spettacolo ai nostri occhi, lo spettacolo della
croce, come croce di Gesù. Il fatto della morte di
Gesù diventa la parola della croce (1 Cor 1,18),
cioè diventa un fatto che è un annuncio e un
annuncio attraverso un evento. Dice Bruno Maggioni commentando la
frase finale (v. 48) del brano:
la croce è la grande icona, la memoria fissa
del credente, lo spettacolo dal quale non si deve mai staccare lo
sguardo. Theoria (spettacolo) non indica un'immagine
ferma, ma un dramma in svolgimento. E' uno spettacolo che occorre
vedere e rivedere, penetrare, scrutare e ripensare. E' il grande
dramma, l'unico che vale la pena di vedere perché illumina
tutti gli altri.
E' uno sguardo - aggiungiamo noi - già
attraversato dalla luce della risurrezione. Esso, da un lato,
è attraversato dalla luce abbagliante della Pasqua, ci
mostra il perdono di Dio, la sua riconciliazione, la
ricongiunzione del malfattore nell'oggi del paradiso, lo
squarciarsi del luogo della presenza di Dio. E, d'altro lato,
l'evangelista colora gli avvenimenti con un linguaggio di
confessione, perchè rivela la nostra povertà nel
tempo della ultima tribolazione («Figlie di Gerusalemme...
piangete su voi stesse e sui vostri figli»), dimostra il
nostro orgoglio inconsapevole («Padre perdona loro
perché non sanno quello che fanno!»), svela
l'insensatezza della nostra sfida e del nostro rifiuto («Se
sei tu il Cristo, scendi dalla croce»), suscita il
riconoscimento del giusto e insieme della nostra ingiustizia
(«Gesù ricordati di me quanto entrerai nel tuo
Regno»), ci spinge alla confessione delle nostre colpe
(«se ne tornavano percuotendosi il petto») e da
ultimo riconosce la identità di Gesù, quella del
giusto di Dio («veramente quest'uomo era
giusto!»).
Ecco lo spettacolo della croce: mentre ci fa riconoscere la morte
di Gesù come il luogo del perdono, rivela noi a noi stessi
come gli indifferenti, i distanti, coloro che rifiutano o sfidano
Dio, ci mostra di che pasta siamo fatti; ma insieme ci spinge a
riconoscere la morte di Gesù che consegna se stesso al
Padre, ci trasforma in coloro che si battono il petto, chiedono
il perdono, si dichiarano colpevoli, confessano la colpa, si
aprono all'oggi della salvezza. Ecco la conversione del cuore che
è ad un tempo condizione e frutto della contemplazione
della croce. Ecco lo sguardo che ha plasmato quel vedere credente
che trae origine dalla risurrezione di Gesù. E che cosa ci
dice questo sguardo che mentre rimedita il dramma della croce,
affida la propria libertà a quel sapere di Dio che la
morte di Gesù rivela? Siamo qui rimandati ai segni del
morire di Gesù.
Gli avvenimenti della fine: la lettura del
segno
La seconda domanda riguarda i segni che ci
introducono al senso della morte di Gesù. Essa può
essere formulata con un semplice interrogativo: come
Gesù ha vissuto gli avvenimenti della fine? come ha
spiegato la sua morte prevedibile? E' la domanda più
difficile, che esigerebbe di passare in rassegna tutti gli
avvenimenti della fine. Noi ci limitiamo a scegliere quello
più emblematico, che in qualche modo li riassume tutti.
Infatti, c'è un momento (oltre ai gesti e ai detti
profetici di Gesù) dove questa domanda trova una
spiegazione luminosa: è l'ultima cena. Nel contesto di una
comunione particolarmente intima con i suoi, Gesù offre la
comunione ultima e definitiva al regno di Dio, attraverso il
corpo dato e il sangue versato, cioè attraverso la sua
persona, proprio quando è prevedibile che egli venga tolto
di mezzo in modo violento. Egli propone un gesto sconvolgente in
cui sembra venir meno quello che è donato. L'ultima cena
allora, prima di lasciarci un gesto in sua memoria, spiega il
lato oscuro della croce. Forse proprio qui si ritrova l'abisso
ineffabile di come Gesù ha compreso e spiegato la sua
morte: il morire di Gesù, e il morire di croce, è
il luogo di una dedizione incondizionata di sé, di una
solidarietà assoluta che si realizza precisamente nel non
far valere che egli è il Messia. Gesù lascia nelle
mani di Dio la sua identità, perché sa che Dio
è il Padre suo. E dice ai suoi discepoli che continueranno
ad entrare in comunione con il mistero di Dio anche in questo
modo così oscuro. Gesù non fa valere in questo
mondo, davanti agli uomini, il suo amore e la sua carità
neppure con il pretesto di essere il Figlio unico, la lascia
nelle mani di Dio e si espone ad essere frainteso e rifiutato
dagli uomini. Guardate l'eucaristia di Gesù: lì
c'è un amore senza condizioni, neppure la condizione che
sia accolto come l'amore di Dio. Con la morte di croce,
prefigurata nel gesto della cena, egli mostra che il Regno di Dio
si realizza superando tutti gli schemi, secondo un disegno che
solo il Padre conosce. Possiamo così condudere che, nella
morte, Gesù rende chiaro e completo il significato
salvifico di tutta la sua vita.
Il segreto della croce: l'icona del mistero di
Dio
A partire dal senso che Gesù ha attribuito
alla sua morte può essere data la risposta alla terza
domanda: qual è il senso profondo della morte di
Gesù? La morte di croce contiene un segreto che non
può essere rinchiuso in una pura descrizione storica,
cioè nel semplice sguardo sulla scorza degli eventi.
Possiamo esprimere i tre aspetti che definiscono il senso
profondo del morire di croce così:
Il gesto di Gesù.
Il dono incondizionato di sé è il modo
con cui Gesù vive la sua morte, e chiede che così
sia compresa. La morte di Gesù ci dice che Gesù
è completamente rivolto verso il Padre, affidato in
modo radicale a Lui, anche e soprattutto nel momento in cui
sembra precisamente messa in discussione la sua missione, la
connessione tra il suo messaggio e la sua persona (cfr l'agonia
nel Getsemani). Egli non fa valere se stesso neppure col pretesto
di essere il rappresentante ultimo della verità di Dio, ma
si affida in radicale abbandono al Padre suo, assumendo e
portando persino la violenza ed il rifiuto peccaminoso degli
uomini. E' proprio tale rifiuto che genera la morte di
Gesù. E' come se noi dicessimo: se c'è Dio - in tal
modo pensano i capi del popolo, ma forse anche Giuda, e in misura
diversa gli altri, la gente, il popolo, le donne, i discepoli,
Pietro, noi stessi - non può agire così, non
può abbandonare Gesù, non può non sostenere
la sua pretesa, deve dar ragione a Gesù, deve confermare
lo stile della sua missione... Il rifiuto di Dio si colloca
allora nel cuore della sua manifestazione. Noi non vogliamo
accettare Dio così come è in se stesso, come si
rivela, vogliamo quasi insegnare il mestiere a Dio. Ma questo non
pone in crisi il disegno di Dio, non lo mette in
difficoltà, così che Dio debba ripensarlo e
rifarlo. Dio comprende, perdona, salva dal di dentro il nostro
stesso rifiuto e la nostra negazione. Egli non scambia il nostro
rifiuto e il nostro peccato con l'innocenza di Gesù,
"facendo pagare" a Lui ciò che dovremmo pagare noi. Come
è pericoloso questo linguaggio di scambio! Il Padre,
assume il nostro rifiuto, lo porta su di sè; mandandoci il
Figlio, viene Egli stesso come il Padre suo e ci perdona, ci
guarisce, ci abbraccia, ci fascia le ferite, ci raggiunge
là a Gerico, dove ci siamo cacciati lontani da Lui, dove
lo abbiamo rifiutato perché ci eravamo costruiti una
maschera di Dio!
Il volto di Dio.
Allora la verità e la vita stessa di Dio a
cui Gesù si affida, manifesta la figura ultima del
mistero di Dio che comunica se stesso in modo insuperabile
proprio nel morire di Gesù. La verità di Dio
consiste nel comunicarsi, mediante il dono incondizionato di
Gesù, agli altri: la verità di Dio è la
verità stessa della carità di Dio, apparsa in
Gesù. In tal modo la dedizione senza condizioni con cui
Gesù si affida al Padre rivela una donazione del
Padre a Gesù, con cui comunica la sua vita stessa,
donandoci il suo bene più prezioso: il Figlio suo. E che
cosa non ci darà insieme con Lui? Per questo con fine
intuizione gli evangelisti ricordano lo scindersi del velo del
Tempio, che nascondeva il luogo della presenza di Dio, il Santo
dei santi. La invocazione nostalgica del salmo: (Sal 27[26], 8),
la struggente attesa di Israele di vedere il volto di Dio, di
entrare nell'intimità della sua alleanza, viene ora
svelata sul volto sfigurato di Gesù morente, proprio nel
momento e nell'evento che è il frutto del suo più
radicale rifiuto.
La verita dell'uomo.
Poiché, come abbiamo visto, l'affidarsi di
Gesù avviene nell'ambito di un violento e radicale rifiuto
di Dio, ecco che la donazione del Padre a Gesù e in
Gesù a noi è il "luogo" del perdono, della
riconciliazione, che supera dal di dentro lo stesso rifiuto di
Dio e tutte le forme che lo rappresentano: la non-comunione,
l'abbandono, il tradimento, la solitudine, la violenza e alla
fine la stessa morte. Proprio per la densità simbolica,
con cui il gesto radicale d'amore di Gesù rivela e
comunica l'inaudita potenza del povero e indifeso amore del
Padre, la morte di Gesù rappresenta il luogo della
universale riconciliazione. Con Gesù il Padre ci ha
dato tutto se stesso, la sua stessa vita, lasciandola in
balìa del tradimento, dell'abbandono, della morte violenta
e della sopraffazione di noi uomini. Per questo Gesù muore
per noi, nel duplice senso di "a causa" del nostro peccato e di
"a vantaggio" nostro. Assumendo e portando il nostro rifiuto, lo
riconcilia nel luogo stesso dove noi abbiamo chiuso le porte a
Dio, e lo trascende nel suo gesto d'amore incondizionato. Forse
solo qui, in punta di piedi, può essere posta la domanda,
su cui invece noi abbiamo spesso costruito interminabili
discorsi. Perché era necessaria la sofferenza, l'inaudito
dolore a cui Gesù si è sottomesso? Dio non poteva
salvarci in un modo più diretto, meno violento, non poteva
condonarci tutto, senza la croce del Figlio? Perché la
passione e la morte di Gesù? Perché una morte
così? A queste domande formidabili non si può
rispondere che balbettando. Certo possiamo notare che Gesù
ci riconcilia non perchè soffre, ma mentre
soffre. La sofferenza non è una scelta di Dio, ma una
conseguenza del rifiuto e della negazione degli uomini. E
tuttavia la sofferenza non è solo il "luogo" della
riconciliazione (un "mentre"), ma anche il "modo" della sua
attuazione (il "come"). La sofferenza, il dolore, la croce, sono
il prodotto del nostro rifiuto di Dio, la conseguenza della
negazione da parte della nostra libertà. E il Padre con
Gesù vi passa attraverso (e lo Spirito li tiene uniti
nella massima separazione), supera il peccato dal di dentro,
ricupera la libertà nel suo punto più intimo. Dio
non ci salva automaticamente, non ci guarisce con un tocco di
bacchetta magica, non mette una pietra sopra. Egli ricupera la
libertà facendola ritornare a ritroso, e noi sappiamo
quanto è faticoso questo ritorno! Egli ci offre un dono
che è un perdono, e noi sappiamo che una liberazione
autentica non solo spezza le catene, ma toglie anche le cause che
le hanno prodotte. Essa toglie il male fin nel cuore dell'uomo,
fin nelle profondità di tutta l'umanità, dal primo
uomo fino alla fine dei tempi.
Con il dito di Giovanni nel cuore di Dio.
Resta un'ultima domanda: come la croce diventa
perdono e riconciliazione anche per noi oggi?
La morte di Gesù (nel contesto della Pasqua) plasma,
rinnova, ricrea gli atteggiamenti spirituali ed i comportamenti
pratici del credente. Mediante l'opera dello Spirito, che agisce
in noi (attraverso i gesti ecclesiali e sacramentali), la nostra
esperienza assume i contorni di Gesù. Infatti, il morire
di Gesù, rivelando la verità di Dio come amore
incondizionato, porta contemporaneamente a compimento la ricerca
dell'uomo circa la verità della sua esistenza e il
desiderio della sua libertà. L'uomo è tutto questo:
ricerca del vero e desiderio del bene, ma quando si chiude,
quando pretende di essere egli stesso la misura del vero e del
bene, lo spettacolo e la forza della croce di Gesù lo
riportano continuamente al volto autentico di Dio, lo
"giustificano" dinanzi a Lui. Solo così l'apertura alla
verità di Dio e l'aprirsi della libertà al
desiderio del bene, ritrovano "la" realizzazione - gratuita e
libera, mediante lo Spirito - dell'esistenza terrena. In essa ci
conformiamo alla Pasqua di Cristo, reintegrandoci
dall'alienazione del peccato e orientando la nostra
libertà al suo destino filiale Questo è il dono
dello Spirito, questa è la figura della fede e della
libertà castiana: essere e vivere nella comunione a Colui
che mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20).
Perciò la figura del morire di Gesù è la
forma concreta e insuperabile in cui si rivela il volto di Dio e
la verità profonda della libertà umana,
perché ne è la vita in pienezza. Tale figura non
può essere rappresentata come un simbolo universale e come
un'idea o una legge separabile dalla storia di Gesù.
Pertanto la nostra libertà deve tornare continuamente a
Lui, può affidarsi con fede per comprenderne la misura e
il senso.
Con il dito di Giovanni, nel cuore del mistero della Pasqua, in
silenzio adorante e con incondizionato amore!

|