IL CORPO E LO SPIRITO
I LINGUAGGI DELLA CORPOREITA'
don Giuseppe Grampa
Dai tabù del passato alla 'facilità' di oggi
I molteplici linguaggi della corporeità
1."Io non ho un corpo, sono il mio corpo"
2. Corpo: linguaggio della relazione
3. Corpo e interazione sociale
4. Corporeità e invenzione sociale
5. Corpo e simbolo
Un’etica per il corpo
Il corpo, la sessualità: bisogni e desideri
L'esperienza della corporeità è certamente decisiva nella
condizione umana. In particolare nella vita coniugale dove fondamentale è
l'esperienza dell'amore nella comunione delle persone e dei corpi: "i due
saranno una sola carne"(Gen 2,24).L'amore coniugale è un amore
profondamente segnato dalla comunione corporea.
Ma l'intera nostra esistenza è profondamente segnata dalla
struttura corporea, soprattutto le nostre relazioni o i nostri blocchi
comunicativi. Per questo vogliamo riflettere sul corpo come espressione
dell'intera persona, del mio io nella sua apertura verso...
Il corpo è un valore grande e per questo è importante come
ne usiamo. Si comprende così la preoccupazione della Chiesa, una preoccupazione
che talvolta è viene giudicata unilaterale, e le sue indicazioni per i nostri
comportamenti che riguardano il corpo. Anche se queste indicazioni sono sovente
contestate, esse costituiscono l'aiuto che la Chiesa ci offre per vivere con
serietà questa realtà così importante. Infatti il corpo umano è ben più di
una macchina delicata e complessa. Per questo non basta un corso di 'educazione
sessuale' come insieme di informazioni, di istruzioni per l'uso. Dobbiamo
apprendere i linguaggi della corporeità. Il corpo parla e parla secondo una
molteplicità di linguaggi.
Dai tabù del passato alla 'facilità' di oggi
Ci lasciamo alle spalle una visione prevalentemente negativa
del corpo - prigione dell'anima, pesante zavorra materiale, sede di bassi
istinti... - mentre oggi il corpo è oggetto di cura talvolta ossessiva. Ci
lasciamo alle spalle una considerazione della sessualità legata esclusivamente
alla procreazione per una pratica sessuale sganciata da essa. Tale cambiamento
comporta un valore e un pericolo. Il valore è la considerazione positiva del
corpo, il pericolo è la 'facilità', la banalizzazione. L'estrema facilità dei
rapporti può essere l'anticamera della superficialità. E' bene che siano
caduti i 'tabù', le ossessioni ma, come vedremo, "il corpo è più del mio
corpo". E' una realtà ricca di molteplici significati da non banalizzare.
Per questo occorre imparare a vivere la propria corporeità e sessualità come
un impegno con se stessi, con l'altra persona, non solo come un gioco piacevole
e disimpegnato.
Il corpo decide della persona, per questo non dobbiamo
deprimere la corporeità come appendice secondaria, peggio ingombrante. Tutto
ciò che è uscito dal gesto creatore di Dio è buono; nel corpo di una donna ha
preso carne il Figlio di Dio; il nostro corpo è destinato alla risurrezione.
Per questo, giustamente, i gesti di violenza contro il corpo,
in particolare il corpo della donna o la tortura sono gravissimi: in gioco è la
dignità di quella persona. Per questo alcune donne hanno difeso fino alla morte
l’integrità del loro corpo da chi voleva usare loro violenza: in gioco non
era solo il loro corpo ma la loro dignità di donne e di cristiane. Avevano ben
capito queste parole di Paolo: "Vi esorto a offrire i vostri corpi come
sacrificio vivente, santo, a Dio gradito, è questo il vostro culto
spirituale" (Rom 12,1) e ancora: "Non sapete che i vostri corpi
sono membra di Cristo...O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito
Santo?" (1Cor 6,15.19)
Non mancano oggi orientamenti di pensiero che sottraggono la
vita corporea e in particolare la sessualità al giudizio assiologico o di
valore.
Un primo orientamento nega il nesso corpo-etica: quello di
due psicanalisti francesi, Gilles Deleuze e Felix Guattari hanno costruito una
teoria del desiderio in aperta rottura con la comprensione che del desiderio è
stata elaborata nel pensiero occidentale a partire da Platone. Bisognerebbe
superare l'idea tradizionale di desiderio come mancanza, inguaribile ferita
dell'anima che, necessariamente, sospinge l'uomo a tornare alla sua origine.
Bisogna invece, rovesciare l'impianto platonico: pensare che il desiderio venga
per primo e non sia l'effetto di una mancanza, pensare che il desiderio sia
interamente positivo e non ambivalente. Il centro della proposta di questi
autori sta in una affermazione: "Se il desiderio produce, esso produce il
reale. Se il desiderio è produttivo esso può esserlo nella realtà e di
realtà". Quindi il desiderio non è effetto di una mancanza, la nostalgia
di una realtà assente, bensì una potenza attiva, una unità produttiva. Il
desiderio se non è mancanza, non è orientato verso un termine particolare; il
desiderio è disorientato. la sfera del desiderio non deve essere quindi
sottoposta ad alcun criterio di valore che non sia appunto la desiderabilità di
un determinato comportamento.
In un secondo modo è possibile negare il nesso corpo-etica:
attraverso il capovolgimento del rapporto corpo-valori. Se i significati e i
valori procedono dal corpo, dal basso, a partire dalla desiderabilità, diviene
precario e soggettivo qualsiasi criterio. Un'etica normativa e non meramente
convenzionale diviene improponibile. Le attuali difficoltà a proporre criteri
etici soprattutto nella sfera del proprio vissuto corporeo confermano il nostro
rilievo.
E' certo possibile, arrestandosi alla superficie di tale
rivendicazione del corpo e del primato del desiderio, concludere ad un giudizio
sostanzialmente edonistico. E' questo, purtroppo, l'atteggiamento più diffuso e
francamente 'moralistico'.
Ritengo, invece, sia possibile leggere nell'insistenza sulla
dignità corporea una esigenza più profonda che, con Emmanuel Mounier potremmo
formulare così: "Il mio corpo è più del mio corpo". La
rivendicazione del proprio corpo, la sua gelosa custodia, potrebbe nascondere un
valore prezioso ed eticamente rilevante: la paura di essere ridotti a pura
corporeità. Positivamente, la difesa della dignità corporea potrebbe essere il
richiamo ad una integralità dell'amore, ove la vita del corpo non vuole
consumarsi nella mera immediatezza, ma vuole esprimere una universalità che la
costituisce e la supera: attraverso la difesa del proprio corpo si esprimerebbe,
allora, l'amore come esperienza di una relazione assoluta. Ha scritto Hegel: "Un
animo puro non si vergogna dell'amore, ma si vergogna che sia incompleto;
l'amore si rimprovera che vi sia ancora un potere, ancora un alcunché di ostile
che ne impedisce il compimento".
I molteplici linguaggi della corporeità
Tentiamo, allora, di leggere i molteplici linguaggi della
corporeità:
come un ricco linguaggio espressivo dell'integralità della
persona;
come linguaggio della relazione;
come espressione della sua capacità di creare storia;
come funzione di invenzione sociale;
come forma simbolica.
Tale lettura della corporeità è condizione previa rispetto
alla successiva indicazione etica. L'antico principio scolastico: "Operari
sequitur esse", l'agire scaturisce dall'essere, risulta decisivo. Una
indicazione etica che non scaturisca dalla struttura della persona non può che
essere estrinseca e moralistica. Il nesso corpo-etica esige allora la
ricognizione previa della corporeità e del suo dinamismo personale.
1."Io non ho un corpo, sono il mio corpo"
Questa formula si presta bene ad esprimere quel carattere
'integrale' che deve avere la persona, integralità che non valorizza il corpo a
scapito della persona, ma neppure deprime la corporeità come appendice
secondaria, peggio ingombrante. Si tratta qui di ricuperare l'insegnamento della
tradizione ebraico-cristiana circa l'unità della persona, l'uomo come struttura
unitaria. E' noto che la Bibbia ha una visione profondamente unitaria dell'uomo.
Questo non significa che la Bibbia ignori il fatto che l'uomo abbia diversi
elementi costitutivi, diverse 'parti' , ma l'intenzione fondamentale dei
racconti biblici di creazione è quella di sottolineare che l'uomo, creato da
Dio, è un tutto e le sue varie parti sono solo espressione di questa totalità.
La Bibbia usa tre termini:
nephes (anima) l'immagine è quella del soffio, segno
di vita. Il soffio è inseparabile dal corpo che fa vivere, indica il modo in
cui la vita si manifesta. Non è quindi da opporre al corpo.
basar (corpo, carne) nel senso che l'uomo si esprime
mediante questa carne. Considerato da questo punto di vista, l'uomo si
distingue da Dio il quale non è carne. Si esprime così la condizione di
materialità, di fragilità, di precarietà dell'uomo.
ruah (spirito) nel senso che coloro che sono mossi da
Dio sono animati da tale spirito. Questo termine è l'espressione nell'uomo di
ciò che è da Dio.
In sintesi, i tre termini indicano l'uomo tutt'intero visto
da angolature differenti.
L'antropologia cristiana, nutrita da questa vena ebraica,
dovette misurarsi nei primi secoli cristiani con due posizioni pericolose
perché compromettevano l'unità della persona. Si trattava della posizione
neo-platonica e di quella manichea.
Criticando il neo-platonismo e il suo primato dell'anima come
frammento della sostanza divina, preesistente quindi all'unione con il corpo, il
pensiero cristiano ha acquisito la certezza che l'anima è una realtà creata,
non divina, non preesistente. Con la critica al manicheismo, la coscienza
cristiana rifiuta l'esistenza di due principi uno buono e uno cattivo. La
materia non è il male, principio negativo nel quale è imprigionata l'anima,
frammento del divino. La coscienza cristiana rivendica la bontà del corpo e
della intera realtà creata. Queste due idee--l'anima è realtà creata, non
divina e il corpo è realtà positiva--sono il presupposto per concepire l'uomo
come unità. Infatti, se l'anima fosse divina e preesistente, ogni unione con il
corpo sarebbe accidentale. Così se il corpo fosse realtà cattiva sarebbe
inconcepibile la sua creazione da parte di Dio e quindi sarebbe impossibile
pensare l'uomo, creatura di Dio, come corporeo.
Il pensiero cristiano ha ricevuto dalla Rivelazione l'idea
della creazione dell'uomo da parte di Dio con la conseguente verità circa la
risurrezione del corpo. Facendo leva su questa certezza ha potuto superare
neo-platonismo e manicheismo. Il dato specificamente cristiano non è la
duplicità né la triplicità degli elementi, ma piuttosto l'unità, e questo a
partire dall'atto creatore.
Ricordiamo un altro episodio significativo nella storia dei
difficili sforzi per comprendere l'unicità della persona. Si tratta della
controversia scoppiata sul finire del XIII secolo e che portò alla condanna di
Tommaso d'Aquino da parte dell'arcivescovo di Oxford, Giovanni Peckham. Tommaso
affermava che l'anima intellettiva è l'unica forma sostanziale dell'uomo,
quindi non è solo il principio per cui l'uomo conosce intellettivamente, ma
anche ciò per cui l'uomo ha una determinata configurazione fisica. In tal modo
veniva fortemente sottolineata l'unità dell'uomo in tutti i suoi aspetti. Gli
avversari di Tommaso, partendo dalla constatazione che nell'uomo si danno
molteplici funzioni, talune addirittura simili a quelle degli animali, esigevano
che a tali diverse funzioni corrispondessero diverse forme sostanziali. In altri
termini, la dottrina tomista di un'unica forma sostanziale era considerata una
pericolosa novità. E' ben vero che il Concilio di Vienne, nel 1312, ribadirà
l'unità dell'uomo, ma la coscienza cristiana è stata negativamente segnata da
questa difficoltà a riconoscere pienamente l'unità dell'uomo.
Alla luce di questa comprensione ebraico-cristiana della
corporeità, risulta infondato il sospetto nei confronti della verità cristiana
sulla corporeità. La corporeità è infatti dimensione intrinsecamente
costitutiva della persona come tale. Se la corporeità decide della persona,
allora non si dà relazione corporea che non coinvolga la dignità personale, la
promuova o la svilisca.
2. Corpo: linguaggio della relazione
La corporeità è la sede in cui si costituisce il rapporto
io-tu. Vanno infatti di pari passo lo sviluppo del corpo sessuato e la capacità
di relazione, l'uscita dal narcisismo. Il corpo, nella sua maturazione sessuale,
dispiega una capacità di apertura verso l'altro; la sessualità come agente
della crescita dell’io verso una autentica capacità di apertura. Sessualità
e sviluppo dell'io sono profondamente correlati e la maturazione della
personalità globale è sottesa e sospinta dalla istanza sessuale. La
corporeità sessuata è davvero il fondamentale luogo umano ove la persona
cresce e si matura aprendosi ad un rapporto oblativo. Nietzsche ha affermato che
il 'tu' è parola più originaria dell’io. E' appunto aprendosi nella
relazione al 'tu' che il mio 'io' realizza la propria identità. Si riconosce
all'opera di Freud del 1905,Tre Saggi sulla teoria della sessualità, un
ruolo pionieristico nella comprensione della corporeità e della sessualità. La
sessualità come dimensione permanente e dinamica della personalità e non
semplicemente come una componente fissata in modo pressoché definitivo
nell'adolescenza.
Studiando le fasi evolutive della sessualità, Freud ha
collegato lo spostamento della forza erogena dalle diverse zone corporee con lo
sviluppo dell'io, mostrando così il passaggio da una concezione della pulsione
sessuale come soddisfazione auto-erotica a strumento di comunicazione con
l'altro.
E' questa una dimensione nuova e importante. Se in passato,
nel cerchio della famiglia patriarcale, questo rapporto interpersonale era
obbiettivamente secondario e come sommerso dal prevalere delle funzioni
riproduttive, oggi la fine della famiglia allargata e l'enfasi sulla coppia
possono condurre ad una comprensione ridotta della stessa corporeità. In
particolare non va dimenticata la dimensione di interazione sociale che inerisce
alla corporeità.
3. Corpo e interazione sociale
Il corpo non è solo sede di una relazione fortemente
personalizzante; il corpo è altresì sede di una funzione e responsabilità
sociale. Dentro il vissuto della propria corporeità sessuata sta inscritta la
responsabilità a trasmettere la vita, a creare storia, oltre i confini della
consanguineità. Certo, in passato, questa dimensione procreativa della
sessualità è stata tanto accentuata da lasciare nell'ombra ogni altro valore,
in particolare quello della relazionalità interpersonale. Così la gestione
della sessualità era quasi totalmente sottratta alla libera scelta e
determinata secondo criteri meramente procreativi. A tale unilaterale
sottolineatura della funzione riproduttiva si è reagito separando l'esercizio
della sessualità dalla sua vocazione alla fecondità. Ma non si può negare che
la sessualità comporti una responsabilità procreativa. L'antropologia ha
studiato il costituirsi delle società, l'origine dei rapporti sociali e ha
individuato in una legge fondamentale, quella dello scambio (scambio dei beni,
dei messaggi, delle donne) la legge che assicura la crescita dei rapporti
sociali. In particolare per quello che riguarda lo scambio delle donne,
l'antropologia ha individuato una regola fondamentale - la proibizione
dell'incesto - come regola ad un tempo biologica e culturale che assicura il
superamento dei vincoli di consanguineità e quindi l'istituzione di nuovi
rapporti. L'emergere della socialità è legata a questa regola inscritta nella
stessa struttura corporea e che assicura appunto la creazione di nuova
socialità e quindi di storia. Anche il testo biblico, nella sua prima pagina,
riporta questa regola, con il comando all'uomo di rompere i legami di
consanguineità per andare verso la donna e così dare vita alla storia umana.
Questo aspetto della corporeità completa la precedente
dimensione di relazionalità, di personalizzazione grazie al rapporto con
l'altro, mediante il richiamo all'insopprimibile funzione di costruzione di
socialità inscritta nella nostra struttura corporea.
4. Corporeità e invenzione sociale
Rovesciando le analisi tradizionali di impianto marxista,
Herbert Marcuse ha individuato nella trasformazione del ruolo del corpo,
dell'uso che di esso si fa nella società, il punto di partenza per riformulare
il rapporto dell'uomo e della donna con la società. Fino a quando noi resteremo
imprigionati nella insensatezza di questo fondamentale gesto, non potremo dare
vita, sul piano sociale, a nessuna alternativa. L'intuizione che sta dietro a
questa tesi è che l'energia più efficace di cui l'uomo dispone è precisamente
questa esperienza del proprio corpo. In altri termini, solo creando una 'nuova
base biologica', una nuova esperienza della propria corporeità, solo liberando
la propria corporeità dalla banalizzazione alla quale è spesso sottoposta,
sarà possibile creare nell'uomo una nuova capacità di invenzione storica.
L'interesse della teoria marcusiana sta nell'utilizzo delle teoria di Freud e
Marx. Nella nostra civiltà il principio di realtà al quale bisogna piegare la
pulsione sessuale è il principio della prestazione produttivistica. In tale
assetto non vi è più spazio per una libera espansione dell'istinto: le energie
vengono convogliate unicamente nel rapporto di immediatezza corporea, cioè di
pura genitalità. La repressione della sessualità, cioè il suo uso puramente
genitale sarebbe la forma più sottilmente repressiva in atto nelle nostre
società. Non più la semplice repressione della sessualità, anzi l'incitamento
a goderne, ma riducendola a pura genitalità. Da questa analisi Marcuse prende
l'avvio per proporre una liberazione dell'uomo che cominci dalla liberazione
della propria sessualità, nella persuasione che tale forza, liberata dallo
sfruttamento meramente genitale, possa investire beneficamente l'intera
personalità umana e il campo delle sue attività. Si tratterebbe di spingere
l'eros verso una simbolizzazione non repressiva. Il senso di questa tesi
marcusiana sta nell'intendere il corpo come un grande dispositivo simbolico.
C'è una solidarietà tra il mio corpo e l'intera realtà. Se riesco a liberare
la mia esperienza corporea, io divento quella nuova 'base biologica', quel nuovo
soggetto umano capace di porsi di fronte all'intera realtà in atteggiamento
diverso, liberante appunto. Proprio quest'ultima tesi ci suggerisce un passo
ulteriore.
5. Corpo e simbolo
La nostra lettura della corporeità ci ha portati sempre più
a fondo; dall'uscita dal narcisismo alla creazione di una relazione
interpersonale, abbiamo scoperto che il corpo è sede di una responsabilità
sociale e storica, fino a riconoscere che una liberazione della corporeità è
condizione per una prassi storica di liberazione.
Sappiamo, dalla storia delle religioni, come la corporeità
sia sovente intesa come apertura al sacro. La tradizione ebraica che ha
fortemente reagito alla diffusa sacralità legata alla natura, ai ritmi
biologici e alla procreazione, non ha però rinunciato ad istituire un nesso
analogico tra l'esperienza dell'amore umano anche nella sua valenza sessuale e
il divino. Soprattutto i profeti, pur così fermi nel rifiutare la
compromissione di Dio con i riti della fecondità naturale, descrivono la
relazione tra Dio e il popolo in termini sponsali. Osea, nella sua stessa
vicenda coniugale, manifesta la fedeltà incrollabile di Dio al popolo infedele
( cfr. 1,2; 3,1). Così anche Geremia (2,2) ed Ezechiele (16,23). Pensiamo al
Cantico dei Cantici: l'amore umano chiave per illustrare l'amore di Dio per il
suo popolo. Anche il Nuovo Testamento non è estraneo a questa lettura simbolica
della corporeità e della sessualità umana. Gesù ricorre al linguaggio dei
profeti quando rimprovera l'infedeltà con le parole: "Generazione malvagia
e adultera" (Mt 12,39). Anche il Regno viene presentato col simbolismo
delle nozze (Mt 22,1). Lo Sposo è Gesù stesso (Gv 3,29; 2Cor 11,2).
Fondamentale il testo di Ef 5,22-33 e in particolare il v.32: "Questo
mistero (l'unione coniugale dell'uomo e della donna) è grande, io lo dico in
rapporto a Cristo e alla Chiesa". Paolo invita a vivere il rapporto
sponsale secondo la stessa logica di dedizione incondizionata che Cristo rivela
nel suo rapporto con la Chiesa. Prezioso è soprattutto l'uso del termine 'mistero'.
L'unione dell'uomo e della donna è mistero, ovvero partecipa del mistero che,
secondo il linguaggio di Paolo, indica Cristo stesso. Quindi l'unione dell'uomo
e della donna partecipa del mistero, ovvero del disegno di salvezza che in
Cristo ci è stato rivelato.L'esperienza dell'amore umano con la sua valenza
corporea, manifesta quindi una carica simbolica.
Possiamo ricorrere ad un altro testo, il mito platonico
dell'origine delle differenze sessuali.L'essere umano originario è una realtà
sferica, senza divisioni sessuali. E' per l'invidia degli dei che questa
struttura di totalità viene divisa. Nascono così le due metà e l'uomo e la
donna vagano alla ricerca della parte mancante. In questa ricerca sono sospinti
da Amore che appunto è medico, perché tende a ricostruire la parte mancante.
In tale contesto Platone definisce l'uomo come 'simbolo dell'umano', appunto
frammento che porta in sé l'appello a ricostituire l'interezza. Per questo
l'amore, nella sua autenticità più profonda, porta in sé la ricerca di un
senso assoluto.
Possiamo allora dire che quando due esseri si cercano nel
rapporto d'amore, la loro ricerca è 'figurativa'. Abbiamo infatti la
consapevolezza che la nostra corporeità è inserita in una rete di forze i cui
timbri cosmici sono ormai dimenticati ma non cancellati, che la vita è assai
più che la vita, più della semplice lotta per la sopravvivenza. Di questo
mistero l'esperienza del corpo ci rende partecipi.
La tradizione ebraica ha sempre visto proprio nell'esistenza
corporea l'immagine e la somiglianza con il Creatore; in essa, infatti, segnata
dalla sessualità, si dispiega la gioia e la gratuità del suo amore.
Un’etica per il corpo
Abbiamo esplorato il ricco linguaggio della corporeità;
anche per il corpo vale il rilievo aristotelico a proposito dell'essere: si dice
in molti modi. Ritrovare questa varia espressività del corpo è condizione
necessaria per la costruzione di un'etica della corporeità che esprima e aiuti
a realizzare la ricchezza della persona. In questo modo potremo arginare quella
che sembra essere oggi la patologia più diffusa. E' quella che indicherei come
'caduta nell'indifferenza', nella banalità. Molti fattori hanno reso possibile
questo pericolo; l'abolizione di qualsiasi distanza negli anni della formazione
adolescenziale, la conquista da parte della donna di una libertà fin qui
privilegio esclusivo dell'uomo: in breve, tutto ciò che rende facile e alla
mano l'incontro rischia altresì di favorirne la perdita di significato. A
questo si aggiunga la applicazione sempre più estesa dei metodi e dei criteri
propri delle scienze a quel singolare 'oggetto' che è l'uomo. L'applicazione
all'uomo del modello di conoscenza proprio delle scienze non è senza
conseguenze per la comprensione dell'uomo stesso. Dobbiamo invece imparare a
distinguere ciò che può essere ridotto mediante misura,
analisi, formalizzazione, che cosa nella realtà si presta a questo tipo di
indagine e che cosa invece non può essere trattato semplicemente come un dato
da sottoporre a leggi. L'uomo sta infatti al confine tra l'ambito
dell'oggettività e della soggettività. Può essere oggetto di scienza - di qui
l'importanza appunto delle scienze umane - ma è sempre colui che fa scienza, è
soggetto di scienza, mai totalmente riducibile ad oggetto, sempre 'altrove'
rispetto alla presa oggettivante della scienza.
Ecco perché lo sviluppo delle scienze umane non cancella,
anzi suscita la domanda etica. La risposta a tale domanda dovrà essere trovata
nell'ascolto del linguaggio del corpo.
Il corpo, la sessualità: bisogni e desideri
L'itinerario che abbiamo percorso ci ha portati a scoprire
che il corpo non è solo una macchina stupenda e delicata, insieme di organi,
espressioni di bisogni fisici, materiali. La persona è tutt'uno, corpo e anima
inseparabilmente. Un medico racconta il caso di un bimbo che rifiutava di
nutrirsi con il biberon dal momento che la madre aveva dovuto interrompere
l'allattamento a seguito di una malattia. Solo mettendolo a contatto con un
indumento impregnato dell'odore della madre si riuscì a nutrire quel bimbo.
Possiamo dire che quel bimbo--ogni essere umano--non si nutre
solo del latte materno ma della madre, del suo contatto fisico, del suo profumo.
Mancando questa relazione con la madre il bimbo arriva a rifiutare il cibo fino
a compromettere la sua sopravvivenza. Analogo il caso della anoressia, cioè di
quei ragazzi/e che rifiutano di nutrirsi perché cercano altro, soprattutto una
migliore qualità di rapporti umani, familiari. Si può arrivare a mettere in
pericolo la vita se mancano ragioni, significati per vivere. Davvero l'essere
umano è una unità corpo-anima.
Per questo la sessualità è una dimensione non solo del
corpo umano ma della persona umana, non è cosa, funzione, meccanismo separato
dalla persona. Ecco perché è triste, prima ancora d'essere moralmente
negativo, un esercizio della corporeità-sessualità sganciato dall'impegno
della persona con l'altra persona.
E vorrei concludere evocando una esperienza dura eppure
decisiva che, credo, tutti noi abbiamo avuto la grazia di vivere. Quando i
medici dicono che non c'è più niente da fare e che dobbiamo semplicemente
rassegnarci alla morte di una persona cara, noi sappiamo invece che c'è ancora
molto da fare: possiamo tenere la mano, accarezzare la mano, stringere la mano
di chi si incammina verso la morte quasi a voler infondere sicurezza perché
vinca la solitudine e la paura di quelle ore ultime. Quel semplice gesto
trasmette attraverso il corpo una singolare comunicazione, un messaggio di
compagnia, di condivisione, di speranza.

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