IL CORPO E LO SPIRITO
I LINGUAGGI DELLA CORPOREITA'
don Giuseppe Grampa


Dai tabù del passato alla 'facilità' di oggi
I molteplici linguaggi della corporeità
1."Io non ho un corpo, sono il mio corpo"
2. Corpo: linguaggio della relazione
3. Corpo e interazione sociale
4. Corporeità e invenzione sociale
5. Corpo e simbolo
Un’etica per il corpo
Il corpo, la sessualità: bisogni e desideri


L'esperienza della corporeità è certamente decisiva nella condizione umana. In particolare nella vita coniugale dove fondamentale è l'esperienza dell'amore nella comunione delle persone e dei corpi: "i due saranno una sola carne"(Gen 2,24).L'amore coniugale è un amore profondamente segnato dalla comunione corporea.
Ma l'intera nostra esistenza è profondamente segnata dalla struttura corporea, soprattutto le nostre relazioni o i nostri blocchi comunicativi. Per questo vogliamo riflettere sul corpo come espressione dell'intera persona, del mio io nella sua apertura verso...
Il corpo è un valore grande e per questo è importante come ne usiamo. Si comprende così la preoccupazione della Chiesa, una preoccupazione che talvolta è viene giudicata unilaterale, e le sue indicazioni per i nostri comportamenti che riguardano il corpo. Anche se queste indicazioni sono sovente contestate, esse costituiscono l'aiuto che la Chiesa ci offre per vivere con serietà questa realtà così importante. Infatti il corpo umano è ben più di una macchina delicata e complessa. Per questo non basta un corso di 'educazione sessuale' come insieme di informazioni, di istruzioni per l'uso. Dobbiamo apprendere i linguaggi della corporeità. Il corpo parla e parla secondo una molteplicità di linguaggi.
 

Dai tabù del passato alla 'facilità' di oggi

Ci lasciamo alle spalle una visione prevalentemente negativa del corpo - prigione dell'anima, pesante zavorra materiale, sede di bassi istinti... - mentre oggi il corpo è oggetto di cura talvolta ossessiva. Ci lasciamo alle spalle una considerazione della sessualità legata esclusivamente alla procreazione per una pratica sessuale sganciata da essa. Tale cambiamento comporta un valore e un pericolo. Il valore è la considerazione positiva del corpo, il pericolo è la 'facilità', la banalizzazione. L'estrema facilità dei rapporti può essere l'anticamera della superficialità. E' bene che siano caduti i 'tabù', le ossessioni ma, come vedremo, "il corpo è più del mio corpo". E' una realtà ricca di molteplici significati da non banalizzare. Per questo occorre imparare a vivere la propria corporeità e sessualità come un impegno con se stessi, con l'altra persona, non solo come un gioco piacevole e disimpegnato.
Il corpo decide della persona, per questo non dobbiamo deprimere la corporeità come appendice secondaria, peggio ingombrante. Tutto ciò che è uscito dal gesto creatore di Dio è buono; nel corpo di una donna ha preso carne il Figlio di Dio; il nostro corpo è destinato alla risurrezione.
Per questo, giustamente, i gesti di violenza contro il corpo, in particolare il corpo della donna o la tortura sono gravissimi: in gioco è la dignità di quella persona. Per questo alcune donne hanno difeso fino alla morte l’integrità del loro corpo da chi voleva usare loro violenza: in gioco non era solo il loro corpo ma la loro dignità di donne e di cristiane. Avevano ben capito queste parole di Paolo: "Vi esorto a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo, a Dio gradito, è questo il vostro culto spirituale" (Rom 12,1) e ancora: "Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo...O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo?" (1Cor 6,15.19)
Non mancano oggi orientamenti di pensiero che sottraggono la vita corporea e in particolare la sessualità al giudizio assiologico o di valore.
Un primo orientamento nega il nesso corpo-etica: quello di due psicanalisti francesi, Gilles Deleuze e Felix Guattari hanno costruito una teoria del desiderio in aperta rottura con la comprensione che del desiderio è stata elaborata nel pensiero occidentale a partire da Platone. Bisognerebbe superare l'idea tradizionale di desiderio come mancanza, inguaribile ferita dell'anima che, necessariamente, sospinge l'uomo a tornare alla sua origine. Bisogna invece, rovesciare l'impianto platonico: pensare che il desiderio venga per primo e non sia l'effetto di una mancanza, pensare che il desiderio sia interamente positivo e non ambivalente. Il centro della proposta di questi autori sta in una affermazione: "Se il desiderio produce, esso produce il reale. Se il desiderio è produttivo esso può esserlo nella realtà e di realtà". Quindi il desiderio non è effetto di una mancanza, la nostalgia di una realtà assente, bensì una potenza attiva, una unità produttiva. Il desiderio se non è mancanza, non è orientato verso un termine particolare; il desiderio è disorientato. la sfera del desiderio non deve essere quindi sottoposta ad alcun criterio di valore che non sia appunto la desiderabilità di un determinato comportamento.
In un secondo modo è possibile negare il nesso corpo-etica: attraverso il capovolgimento del rapporto corpo-valori. Se i significati e i valori procedono dal corpo, dal basso, a partire dalla desiderabilità, diviene precario e soggettivo qualsiasi criterio. Un'etica normativa e non meramente convenzionale diviene improponibile. Le attuali difficoltà a proporre criteri etici soprattutto nella sfera del proprio vissuto corporeo confermano il nostro rilievo.
E' certo possibile, arrestandosi alla superficie di tale rivendicazione del corpo e del primato del desiderio, concludere ad un giudizio sostanzialmente edonistico. E' questo, purtroppo, l'atteggiamento più diffuso e francamente 'moralistico'.
Ritengo, invece, sia possibile leggere nell'insistenza sulla dignità corporea una esigenza più profonda che, con Emmanuel Mounier potremmo formulare così: "Il mio corpo è più del mio corpo". La rivendicazione del proprio corpo, la sua gelosa custodia, potrebbe nascondere un valore prezioso ed eticamente rilevante: la paura di essere ridotti a pura corporeità. Positivamente, la difesa della dignità corporea potrebbe essere il richiamo ad una integralità dell'amore, ove la vita del corpo non vuole consumarsi nella mera immediatezza, ma vuole esprimere una universalità che la costituisce e la supera: attraverso la difesa del proprio corpo si esprimerebbe, allora, l'amore come esperienza di una relazione assoluta. Ha scritto Hegel: "Un animo puro non si vergogna dell'amore, ma si vergogna che sia incompleto; l'amore si rimprovera che vi sia ancora un potere, ancora un alcunché di ostile che ne impedisce il compimento".
 

I molteplici linguaggi della corporeità

Tentiamo, allora, di leggere i molteplici linguaggi della corporeità:

come un ricco linguaggio espressivo dell'integralità della persona;
come linguaggio della relazione;
come espressione della sua capacità di creare storia;
come funzione di invenzione sociale;
come forma simbolica.

Tale lettura della corporeità è condizione previa rispetto alla successiva indicazione etica. L'antico principio scolastico: "Operari sequitur esse", l'agire scaturisce dall'essere, risulta decisivo. Una indicazione etica che non scaturisca dalla struttura della persona non può che essere estrinseca e moralistica. Il nesso corpo-etica esige allora la ricognizione previa della corporeità e del suo dinamismo personale.
 

1."Io non ho un corpo, sono il mio corpo"

Questa formula si presta bene ad esprimere quel carattere 'integrale' che deve avere la persona, integralità che non valorizza il corpo a scapito della persona, ma neppure deprime la corporeità come appendice secondaria, peggio ingombrante. Si tratta qui di ricuperare l'insegnamento della tradizione ebraico-cristiana circa l'unità della persona, l'uomo come struttura unitaria. E' noto che la Bibbia ha una visione profondamente unitaria dell'uomo. Questo non significa che la Bibbia ignori il fatto che l'uomo abbia diversi elementi costitutivi, diverse 'parti' , ma l'intenzione fondamentale dei racconti biblici di creazione è quella di sottolineare che l'uomo, creato da Dio, è un tutto e le sue varie parti sono solo espressione di questa totalità. La Bibbia usa tre termini:

nephes (anima) l'immagine è quella del soffio, segno di vita. Il soffio è inseparabile dal corpo che fa vivere, indica il modo in cui la vita si manifesta. Non è quindi da opporre al corpo.
basar (corpo, carne)
nel senso che l'uomo si esprime mediante questa carne. Considerato da questo punto di vista, l'uomo si distingue da Dio il quale non è carne. Si esprime così la condizione di materialità, di fragilità, di precarietà dell'uomo.
ruah (spirito)
nel senso che coloro che sono mossi da Dio sono animati da tale spirito. Questo termine è l'espressione nell'uomo di ciò che è da Dio.

In sintesi, i tre termini indicano l'uomo tutt'intero visto da angolature differenti.
L'antropologia cristiana, nutrita da questa vena ebraica, dovette misurarsi nei primi secoli cristiani con due posizioni pericolose perché compromettevano l'unità della persona. Si trattava della posizione neo-platonica e di quella manichea.
Criticando il neo-platonismo e il suo primato dell'anima come frammento della sostanza divina, preesistente quindi all'unione con il corpo, il pensiero cristiano ha acquisito la certezza che l'anima è una realtà creata, non divina, non preesistente. Con la critica al manicheismo, la coscienza cristiana rifiuta l'esistenza di due principi uno buono e uno cattivo. La materia non è il male, principio negativo nel quale è imprigionata l'anima, frammento del divino. La coscienza cristiana rivendica la bontà del corpo e della intera realtà creata. Queste due idee--l'anima è realtà creata, non divina e il corpo è realtà positiva--sono il presupposto per concepire l'uomo come unità. Infatti, se l'anima fosse divina e preesistente, ogni unione con il corpo sarebbe accidentale. Così se il corpo fosse realtà cattiva sarebbe inconcepibile la sua creazione da parte di Dio e quindi sarebbe impossibile pensare l'uomo, creatura di Dio, come corporeo.
Il pensiero cristiano ha ricevuto dalla Rivelazione l'idea della creazione dell'uomo da parte di Dio con la conseguente verità circa la risurrezione del corpo. Facendo leva su questa certezza ha potuto superare neo-platonismo e manicheismo. Il dato specificamente cristiano non è la duplicità né la triplicità degli elementi, ma piuttosto l'unità, e questo a partire dall'atto creatore.
Ricordiamo un altro episodio significativo nella storia dei difficili sforzi per comprendere l'unicità della persona. Si tratta della controversia scoppiata sul finire del XIII secolo e che portò alla condanna di Tommaso d'Aquino da parte dell'arcivescovo di Oxford, Giovanni Peckham. Tommaso affermava che l'anima intellettiva è l'unica forma sostanziale dell'uomo, quindi non è solo il principio per cui l'uomo conosce intellettivamente, ma anche ciò per cui l'uomo ha una determinata configurazione fisica. In tal modo veniva fortemente sottolineata l'unità dell'uomo in tutti i suoi aspetti. Gli avversari di Tommaso, partendo dalla constatazione che nell'uomo si danno molteplici funzioni, talune addirittura simili a quelle degli animali, esigevano che a tali diverse funzioni corrispondessero diverse forme sostanziali. In altri termini, la dottrina tomista di un'unica forma sostanziale era considerata una pericolosa novità. E' ben vero che il Concilio di Vienne, nel 1312, ribadirà l'unità dell'uomo, ma la coscienza cristiana è stata negativamente segnata da questa difficoltà a riconoscere pienamente l'unità dell'uomo.
Alla luce di questa comprensione ebraico-cristiana della corporeità, risulta infondato il sospetto nei confronti della verità cristiana sulla corporeità. La corporeità è infatti dimensione intrinsecamente costitutiva della persona come tale. Se la corporeità decide della persona, allora non si dà relazione corporea che non coinvolga la dignità personale, la promuova o la svilisca.
 

2. Corpo: linguaggio della relazione

La corporeità è la sede in cui si costituisce il rapporto io-tu. Vanno infatti di pari passo lo sviluppo del corpo sessuato e la capacità di relazione, l'uscita dal narcisismo. Il corpo, nella sua maturazione sessuale, dispiega una capacità di apertura verso l'altro; la sessualità come agente della crescita dell’io verso una autentica capacità di apertura. Sessualità e sviluppo dell'io sono profondamente correlati e la maturazione della personalità globale è sottesa e sospinta dalla istanza sessuale. La corporeità sessuata è davvero il fondamentale luogo umano ove la persona cresce e si matura aprendosi ad un rapporto oblativo. Nietzsche ha affermato che il 'tu' è parola più originaria dell’io. E' appunto aprendosi nella relazione al 'tu' che il mio 'io' realizza la propria identità. Si riconosce all'opera di Freud del 1905,Tre Saggi sulla teoria della sessualità, un ruolo pionieristico nella comprensione della corporeità e della sessualità. La sessualità come dimensione permanente e dinamica della personalità e non semplicemente come una componente fissata in modo pressoché definitivo nell'adolescenza.
Studiando le fasi evolutive della sessualità, Freud ha collegato lo spostamento della forza erogena dalle diverse zone corporee con lo sviluppo dell'io, mostrando così il passaggio da una concezione della pulsione sessuale come soddisfazione auto-erotica a strumento di comunicazione con l'altro.
E' questa una dimensione nuova e importante. Se in passato, nel cerchio della famiglia patriarcale, questo rapporto interpersonale era obbiettivamente secondario e come sommerso dal prevalere delle funzioni riproduttive, oggi la fine della famiglia allargata e l'enfasi sulla coppia possono condurre ad una comprensione ridotta della stessa corporeità. In particolare non va dimenticata la dimensione di interazione sociale che inerisce alla corporeità.
 

3. Corpo e interazione sociale

Il corpo non è solo sede di una relazione fortemente personalizzante; il corpo è altresì sede di una funzione e responsabilità sociale. Dentro il vissuto della propria corporeità sessuata sta inscritta la responsabilità a trasmettere la vita, a creare storia, oltre i confini della consanguineità. Certo, in passato, questa dimensione procreativa della sessualità è stata tanto accentuata da lasciare nell'ombra ogni altro valore, in particolare quello della relazionalità interpersonale. Così la gestione della sessualità era quasi totalmente sottratta alla libera scelta e determinata secondo criteri meramente procreativi. A tale unilaterale sottolineatura della funzione riproduttiva si è reagito separando l'esercizio della sessualità dalla sua vocazione alla fecondità. Ma non si può negare che la sessualità comporti una responsabilità procreativa. L'antropologia ha studiato il costituirsi delle società, l'origine dei rapporti sociali e ha individuato in una legge fondamentale, quella dello scambio (scambio dei beni, dei messaggi, delle donne) la legge che assicura la crescita dei rapporti sociali. In particolare per quello che riguarda lo scambio delle donne, l'antropologia ha individuato una regola fondamentale - la proibizione dell'incesto - come regola ad un tempo biologica e culturale che assicura il superamento dei vincoli di consanguineità e quindi l'istituzione di nuovi rapporti. L'emergere della socialità è legata a questa regola inscritta nella stessa struttura corporea e che assicura appunto la creazione di nuova socialità e quindi di storia. Anche il testo biblico, nella sua prima pagina, riporta questa regola, con il comando all'uomo di rompere i legami di consanguineità per andare verso la donna e così dare vita alla storia umana.
Questo aspetto della corporeità completa la precedente dimensione di relazionalità, di personalizzazione grazie al rapporto con l'altro, mediante il richiamo all'insopprimibile funzione di costruzione di socialità inscritta nella nostra struttura corporea.
 

4. Corporeità e invenzione sociale

Rovesciando le analisi tradizionali di impianto marxista, Herbert Marcuse ha individuato nella trasformazione del ruolo del corpo, dell'uso che di esso si fa nella società, il punto di partenza per riformulare il rapporto dell'uomo e della donna con la società. Fino a quando noi resteremo imprigionati nella insensatezza di questo fondamentale gesto, non potremo dare vita, sul piano sociale, a nessuna alternativa. L'intuizione che sta dietro a questa tesi è che l'energia più efficace di cui l'uomo dispone è precisamente questa esperienza del proprio corpo. In altri termini, solo creando una 'nuova base biologica', una nuova esperienza della propria corporeità, solo liberando la propria corporeità dalla banalizzazione alla quale è spesso sottoposta, sarà possibile creare nell'uomo una nuova capacità di invenzione storica. L'interesse della teoria marcusiana sta nell'utilizzo delle teoria di Freud e Marx. Nella nostra civiltà il principio di realtà al quale bisogna piegare la pulsione sessuale è il principio della prestazione produttivistica. In tale assetto non vi è più spazio per una libera espansione dell'istinto: le energie vengono convogliate unicamente nel rapporto di immediatezza corporea, cioè di pura genitalità. La repressione della sessualità, cioè il suo uso puramente genitale sarebbe la forma più sottilmente repressiva in atto nelle nostre società. Non più la semplice repressione della sessualità, anzi l'incitamento a goderne, ma riducendola a pura genitalità. Da questa analisi Marcuse prende l'avvio per proporre una liberazione dell'uomo che cominci dalla liberazione della propria sessualità, nella persuasione che tale forza, liberata dallo sfruttamento meramente genitale, possa investire beneficamente l'intera personalità umana e il campo delle sue attività. Si tratterebbe di spingere l'eros verso una simbolizzazione non repressiva. Il senso di questa tesi marcusiana sta nell'intendere il corpo come un grande dispositivo simbolico. C'è una solidarietà tra il mio corpo e l'intera realtà. Se riesco a liberare la mia esperienza corporea, io divento quella nuova 'base biologica', quel nuovo soggetto umano capace di porsi di fronte all'intera realtà in atteggiamento diverso, liberante appunto. Proprio quest'ultima tesi ci suggerisce un passo ulteriore.
 

5. Corpo e simbolo

La nostra lettura della corporeità ci ha portati sempre più a fondo; dall'uscita dal narcisismo alla creazione di una relazione interpersonale, abbiamo scoperto che il corpo è sede di una responsabilità sociale e storica, fino a riconoscere che una liberazione della corporeità è condizione per una prassi storica di liberazione.
Sappiamo, dalla storia delle religioni, come la corporeità sia sovente intesa come apertura al sacro. La tradizione ebraica che ha fortemente reagito alla diffusa sacralità legata alla natura, ai ritmi biologici e alla procreazione, non ha però rinunciato ad istituire un nesso analogico tra l'esperienza dell'amore umano anche nella sua valenza sessuale e il divino. Soprattutto i profeti, pur così fermi nel rifiutare la compromissione di Dio con i riti della fecondità naturale, descrivono la relazione tra Dio e il popolo in termini sponsali. Osea, nella sua stessa vicenda coniugale, manifesta la fedeltà incrollabile di Dio al popolo infedele ( cfr. 1,2; 3,1). Così anche Geremia (2,2) ed Ezechiele (16,23). Pensiamo al Cantico dei Cantici: l'amore umano chiave per illustrare l'amore di Dio per il suo popolo. Anche il Nuovo Testamento non è estraneo a questa lettura simbolica della corporeità e della sessualità umana. Gesù ricorre al linguaggio dei profeti quando rimprovera l'infedeltà con le parole: "Generazione malvagia e adultera" (Mt 12,39). Anche il Regno viene presentato col simbolismo delle nozze (Mt 22,1). Lo Sposo è Gesù stesso (Gv 3,29; 2Cor 11,2). Fondamentale il testo di Ef 5,22-33 e in particolare il v.32: "Questo mistero (l'unione coniugale dell'uomo e della donna) è grande, io lo dico in rapporto a Cristo e alla Chiesa". Paolo invita a vivere il rapporto sponsale secondo la stessa logica di dedizione incondizionata che Cristo rivela nel suo rapporto con la Chiesa. Prezioso è soprattutto l'uso del termine 'mistero'. L'unione dell'uomo e della donna è mistero, ovvero partecipa del mistero che, secondo il linguaggio di Paolo, indica Cristo stesso. Quindi l'unione dell'uomo e della donna partecipa del mistero, ovvero del disegno di salvezza che in Cristo ci è stato rivelato.L'esperienza dell'amore umano con la sua valenza corporea, manifesta quindi una carica simbolica.
Possiamo ricorrere ad un altro testo, il mito platonico dell'origine delle differenze sessuali.L'essere umano originario è una realtà sferica, senza divisioni sessuali. E' per l'invidia degli dei che questa struttura di totalità viene divisa. Nascono così le due metà e l'uomo e la donna vagano alla ricerca della parte mancante. In questa ricerca sono sospinti da Amore che appunto è medico, perché tende a ricostruire la parte mancante. In tale contesto Platone definisce l'uomo come 'simbolo dell'umano', appunto frammento che porta in sé l'appello a ricostituire l'interezza. Per questo l'amore, nella sua autenticità più profonda, porta in sé la ricerca di un senso assoluto.
Possiamo allora dire che quando due esseri si cercano nel rapporto d'amore, la loro ricerca è 'figurativa'. Abbiamo infatti la consapevolezza che la nostra corporeità è inserita in una rete di forze i cui timbri cosmici sono ormai dimenticati ma non cancellati, che la vita è assai più che la vita, più della semplice lotta per la sopravvivenza. Di questo mistero l'esperienza del corpo ci rende partecipi.
La tradizione ebraica ha sempre visto proprio nell'esistenza corporea l'immagine e la somiglianza con il Creatore; in essa, infatti, segnata dalla sessualità, si dispiega la gioia e la gratuità del suo amore.
 

Un’etica per il corpo

Abbiamo esplorato il ricco linguaggio della corporeità; anche per il corpo vale il rilievo aristotelico a proposito dell'essere: si dice in molti modi. Ritrovare questa varia espressività del corpo è condizione necessaria per la costruzione di un'etica della corporeità che esprima e aiuti a realizzare la ricchezza della persona. In questo modo potremo arginare quella che sembra essere oggi la patologia più diffusa. E' quella che indicherei come 'caduta nell'indifferenza', nella banalità. Molti fattori hanno reso possibile questo pericolo; l'abolizione di qualsiasi distanza negli anni della formazione adolescenziale, la conquista da parte della donna di una libertà fin qui privilegio esclusivo dell'uomo: in breve, tutto ciò che rende facile e alla mano l'incontro rischia altresì di favorirne la perdita di significato. A questo si aggiunga la applicazione sempre più estesa dei metodi e dei criteri propri delle scienze a quel singolare 'oggetto' che è l'uomo. L'applicazione all'uomo del modello di conoscenza proprio delle scienze non è senza conseguenze per la comprensione dell'uomo stesso. Dobbiamo invece imparare a
distinguere ciò che può essere ridotto mediante misura, analisi, formalizzazione, che cosa nella realtà si presta a questo tipo di indagine e che cosa invece non può essere trattato semplicemente come un dato da sottoporre a leggi. L'uomo sta infatti al confine tra l'ambito dell'oggettività e della soggettività. Può essere oggetto di scienza - di qui l'importanza appunto delle scienze umane - ma è sempre colui che fa scienza, è soggetto di scienza, mai totalmente riducibile ad oggetto, sempre 'altrove' rispetto alla presa oggettivante della scienza.
Ecco perché lo sviluppo delle scienze umane non cancella, anzi suscita la domanda etica. La risposta a tale domanda dovrà essere trovata nell'ascolto del linguaggio del corpo.
 

Il corpo, la sessualità: bisogni e desideri

L'itinerario che abbiamo percorso ci ha portati a scoprire che il corpo non è solo una macchina stupenda e delicata, insieme di organi, espressioni di bisogni fisici, materiali. La persona è tutt'uno, corpo e anima inseparabilmente. Un medico racconta il caso di un bimbo che rifiutava di nutrirsi con il biberon dal momento che la madre aveva dovuto interrompere l'allattamento a seguito di una malattia. Solo mettendolo a contatto con un indumento impregnato dell'odore della madre si riuscì a nutrire quel bimbo.
Possiamo dire che quel bimbo--ogni essere umano--non si nutre solo del latte materno ma della madre, del suo contatto fisico, del suo profumo. Mancando questa relazione con la madre il bimbo arriva a rifiutare il cibo fino a compromettere la sua sopravvivenza. Analogo il caso della anoressia, cioè di quei ragazzi/e che rifiutano di nutrirsi perché cercano altro, soprattutto una migliore qualità di rapporti umani, familiari. Si può arrivare a mettere in pericolo la vita se mancano ragioni, significati per vivere. Davvero l'essere umano è una unità corpo-anima.
Per questo la sessualità è una dimensione non solo del corpo umano ma della persona umana, non è cosa, funzione, meccanismo separato dalla persona. Ecco perché è triste, prima ancora d'essere moralmente negativo, un esercizio della corporeità-sessualità sganciato dall'impegno della persona con l'altra persona.
E vorrei concludere evocando una esperienza dura eppure decisiva che, credo, tutti noi abbiamo avuto la grazia di vivere. Quando i medici dicono che non c'è più niente da fare e che dobbiamo semplicemente rassegnarci alla morte di una persona cara, noi sappiamo invece che c'è ancora molto da fare: possiamo tenere la mano, accarezzare la mano, stringere la mano di chi si incammina verso la morte quasi a voler infondere sicurezza perché vinca la solitudine e la paura di quelle ore ultime. Quel semplice gesto trasmette attraverso il corpo una singolare comunicazione, un messaggio di compagnia, di condivisione, di speranza.

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