LO SPIRITO SANTO NELLA VITA CRISTIANA
Enzo Bianchi, priore di Bose
Lo Spirito Santo genera figli
Lo Spirito Santo prega nel cristiano
Lo Spirito Santo rende testimoni
Lo Spirito Santo porta i suoi doni
La divinizzazione
La vita cristiana è sì vita dei cristiani, ma innanzitutto
dovrebbe essere percepita come «vita in Cristo», così come l'espressione «vita
spirituale» andrebbe innanzitutto compresa come «vita nello Spirito
santo».Si tratta cioè di un cammino
alla sequela di Cristo, dietro a lui (opíso
autoû), seguendo le sue tracce (1Pt 2,21); e questo cammino, se è
obbediente e fedele sequela, è sempre anche cammino nello Spirito (Gal 5,16 e
25) che ci concede di avere per mezzo di Cristo, il Figlio, accesso, comunione
con Dio Padre (Ef 2,18).
Questo cammino, per ogni cristiano che abbia incontrato
l'Evangelo attraverso una conversione o sia giunto alla vita ecclesiale
attraverso una lenta maturazione cristiana, trova il suo principio nel battesimo, evento in cui l'uomo figlio
di Adamo è immerso nella morte di Cristo, coinvolto con lui per risuscitare a
vita nuova, quale nuova creatura, generata dallo Spirito Santo.
Sì, il cristiano è un uomo nuovo innanzitutto attraverso la fede, cioè attraverso l'adesione, il
legame che egli sente di vivere con Dio in verità: nel battesimo il cristiano
confessa di aderire al Signore, di attendere solo da lui la salvezza, accetta
di mettere la sua fiducia, la sua attesa in una presenza invisibile, ma viva e
vera e che lui sente in un'esperienza vitale. Questa fede è dono solo di Dio ed
è lo Spirito Santo che la genera nell'uomo: l'uomo è reso capace di ascoltare
Dio, di percepirne le parole e la volontà, di conoscerlo, di aderire a lui.
«Fides ex auditu»: è di fatto la prima caratteristica della vita cristiana …
Ma questa conoscenza di Dio che si instaura nel cristiano e che
è conoscenza del Dio vivente e di Gesù Cristo vivente ieri, oggi e sempre, di
Cristo risorto da morte, genera sempre attraverso le energie dello Spirito
santo la speranza: l'uomo conosce un télos, uno skopós della vita cristiana,
e dunque trova una ragione per vivere cristianamente e anche una ragione per
cui vale la pena morire, dare la vita.
Il Dio che precede, il Dio degli inizi e delle promesse è per il
cristiano il Dio dell'oltre, della fine e del compimento: questo Dio è «Amen!»,
è il «Sì» (cf. 2Cor 1,20) alla creazione, alla vita umana, alla storia, alla
salvezza, alla trasfigurazione di tutto il cosmo. Questa la speranza che non
delude e che permette nel cuore del cristiano la carità, l'agape! Sì, attraverso la fede e la speranza il credente
conosce di essere amato da Dio, amato passivamente, sperimenta di essere
preceduto dall'amore di Dio, di essere stato riconciliato con Dio mentre era ancora peccatore e nemico di Dio
stesso (cf.Rm 5,6 ss.).
Questa esperienza di amore, che è amore riversato nel cuore,
Spirito Santo effuso, abilita il cristiano a rispondere con l'amore a
quest'amore sempre proveniente. Senza possibilità di schizofrenia, egli ama
allora Dio e i fratelli, e così l'agape diventa
in lui fonte perché discendente da Dio, ma anche comandamento nuovo, cioè
responsabilità nei confronti del mondo, degli uomini.
Colui che ascolta, che accoglie la Parola di Dio (ascolto) e che giunge a conoscere Dio (gnôsis) aderendo a lui e sperando in
lui, è in grado di rispondere a Dio amandolo (amore). Dunque ama Dio con tutto
il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze, e di conseguenza ama il prossimo
suo come se stesso: questa la vita
cristiana! Ed è innanzitutto vita
creata e animata dallo Spirito Santo.
Se ci
poniamo in ascolto della Parola di Dio contenuta nelle sante Scritture, di
questo Spirito che anima la vita del credente noi possiamo individuare alcune
azioni nel cuore del cristiano: azioni che, se trovano tutto predisposto, se
incontrano l'assenso del credente, portano il «frutto dello Spirito» (Gal 5,22)
e conducono a una tale pienezza la vita del cristiano da renderlo «partecipe
della natura divina» stessa (cf. 2Pt 1,4).
Lo Spirito Santo genera figli
La prima azione dello Spirito Santo che scende nel cuore del
cristiano è azione creazionale: egli
genera l'uomo a figlio di Dio. Lo Spirito Santo è «sperma di vita» (cf. 1Gv 3,9
e Ireneo di Lione) che entrando nell'uomo, crescendo e sviluppandosi crea una
nuova vita, quella filiale. I padri della chiesa amavano dire che si diventa
«figli nel Figlio», ma Ireneo ha audacemente affermato che si diventa il Figlio
stesso di Dio. Certamente l'espressione
paolina «adozione filiale» e quindi «figli adottivi» (cf. Rm 8,15; 9,4; Gal
4,5; Ef 1,5) risulta inadeguata e sviante. Diventare figli di Dio non è
diventarlo attraverso una finzione giuridica, ma significa diventare figli in
modo più profondo rispetto alla stessa generazione fisica, quella da carne e
sangue. Infatti è evento di creazione:
«non puro suono verbale come le adozioni umane, esso non dà solo l'onore del
nome … E’ vera nascita, vera comunione con l'Unigenito nella realtà, non solo nominalmente:
è comunione di sangue, di corpo, di vita e stabilisce un vincolo più stretto e
più connaturalmente profondo della filiazione fisica» (Nicola Cabasila).
Questa nascita a figlio di Dio compiutasi grazie allo Spirito
santo, instaura un nuovo uomo: non c'è più infatti l'uomo naturale (psychikós), ma un uomo spirituale (pneumatikós) che conosce e comprende le
cose dello Spirito e ha il pensiero (noús)
di Cristo (cf. 1Cor 2,14-16).
In quest'azione dello Spirito Santo andrebbe colta maggiormente
la sua qualità femminile-materna perché egli agisce, si comporta come una
madre, e non a caso i simboli che lo evocano (la colomba, l'acqua) sono
materni, colti nella loro capacità generativa… Generato dal Padre nello Spirito
santo, il cristiano è nutrito dal «latte spirituale» (1Pt 2,2) dello Spirito e
impara a chiamare Dio con il nome di «Abba, Padre!» (Rm 8,15; Gal 4,6) e a
riconoscere Gesù come un fratello. Spirito materno, dunque, che gestisce la
conversione (gestazione, gravidanza), partorisce la nuova vita battesimale
(nascita), fa crescere in grazia e santità (allattamento) e, come una madre,
consola sulle sue ginocchia chi è nel pianto (cf. Is 66,12-13).
D'altronde il cristiano riconosce di essere diventato figlio di
Dio proprio dalla capacità immessa in lui dallo Spirito Santo di chiamare Dio
«Abba, Padre» (Gal 4,6), «dal coraggio (parresía)
di chiamare Dio "Padre"» (Basilio).
Dall'orfanità l'uomo passa alla filialità, e nel cuore del
cristiano «si diffonde quel primo e sommo dono che noi chiamiamo grazia e che è come vita nuova…, che si
espande nella rete della psicologia umana con impulsi d'azione facile e forte
che chiamiamo doni e la riempie di effetti spirituali stupendi che chiamiamo
frutti dello Spirito Santo» (Paolo VI).
Dio diventa più presente nel cristiano di quanto il cristiano lo
sia a se stesso e diventa possibile l'intimità
tra Dio e l'uomo. Così il cristiano diventa dimora di Dio, tempio dello
Spirito Santo (1Cor 3,16; Rm 8,9 e Gv 14,16-17), e in questo tempio che è il
suo corpo il cristiano è abilitato ad essere sacerdote e vittima in
una liturgia che è la sua vita stessa: egli infatti, proprio grazie alla
potenza dello Spirito Santo, offrirà la sua stessa vita come sacrificio vivente
gradito a Dio (Rm 12,1).
Lo Spirito Santo prega nel cristiano
Il primo frutto dell'inabitazione dello Spirito nel cuore del
cristiano è la preghiera. Infatti, lo
Spirito insegna maternamente al cristiano a chiamare Dio «Abba, Padre» con
gemiti ineffabili prima ancora che il cristiano prenda veramente coscienza del
grido che sale dal suo profondo, prima ancora che prenda coscienza della sua
capacità di pregare (Rm 8,26-27).
Sì, maestro interiore della preghiera, lo Spirito inizia il
cristiano all'ascolto della parola di Dio da lui sempre accompagnata, e porta a
poco a poco a dire Amen al Padre in
Cristo.
Il cristiano innalzerebbe certamente domande da sé, perché
queste lo abitano in quanto umano, ma nella sua debolezza non saprebbe a chi
indirizzarle e cosa chiedere in esse: questo rende necessario l'agire dello
Spirito Santo che fa sentire la presenza viva di Dio e mette nel cristiano il
desiderio di Dio, perché lo Spirito è lui stesso invocazione, lode,
preghiera. Come l'olio dell'unzione
penetra e impregna il corpo, lo Spirito Santo riempie il nostro cuore, lo
impregna dell'atmosfera divina, lo rende ricettivo, gli toglie la callosità (sklerokardía), gli concede di pulsare
in pienezza, crea l'ambiente del tempio dove avviene la preghiera, l'incontro,
la comunione tra il credente e Dio stesso. Non è forse lo Spirito Santo il
desiderio di Dio in Dio (cf. 1Cor 2,10-11) che, immesso nel nostro cuore,
diventa desiderio di Dio in noi più forte del nostro stesso desiderio?
Così il cristiano cerca nello Spirito la sua pienezza facendo
una liturgia interiore in cui innalza a Dio salmi, inni e cantici spirituali
ispirati dallo Spirito stesso (cf. Ef
5,18-20; Col 3,16-17). Questo è il vero culto cristiano in Spirito e verità (Gv
4,24) annunciato da Gesù come autentica via d'accesso a Dio nei tempi
escatologici, liturgia al Padre nello Spirito Santo celebrata attraverso il
Figlio (Ef 2,18). Diventa allora così
forte l'unione tra cristiano e Dio che non si può più dire dove in essa termini
l'opera umana e dove cominci l'azione di Dio, perché l'azione di Dio diventa
azione del cristiano giustificato dalla giustizia di Dio, non dalla propria
(cf. Rm 4,6).
Pregare nello Spirito Santo come raccomanda l'apostolo Giuda (Gd
20), pregare senza interruzione come raccomanda Paolo (Ef 6,18 e 1Ts 5,17),
significa allora essere costantemente in epiclesi, in invocazione dello Spirito
e simultaneamente capaci, nello Spirito, di dire Amen a Dio. Allora è possibile da questo intimo ed essenziale
dinamismo che scaturiscano cammini diversi di preghiera, quanti sono i credenti
che pregano perché comunque, se diverse e molteplici sono le forme, uno solo è
lo Spirito che invoca Dio e a lui consente.
In questo senso si può dire che l'azione dello Spirito, sempre
all'opera in un cuore che sa ascoltare (lev
shomea': 1Re 3,9), rende il cristiano preghiera. Così testimonia Isacco il
Siro: «Quando lo Spirito stabilisce la sua dimora nell'uomo, questi non può più
smettere di pregare, perché lo Spirito non cessa di pregare in lui: dorma o
vegli, la preghiera non cessa in lui; mangi o beva, dorma o lavori, il profumo
della preghiera esala spontaneamente dal suo cuore: ormai questo cristiano non
fa più preghiera in ore determinate, ma prega in ogni momento».
Il cristiano, mai isolato ma sempre membro del corpo di Cristo
nella sua chiesa santa, unisce dunque la sua voce alla voce della sposa che con
lo Spirito invoca: «Vieni, Signore!» (Ap 22,17). Epiclesi che causa la
pentecoste, mai evento racchiuso nel passato, ma sempre evento attuale in ogni
eucaristia, in ogni liturgia, in ogni celebrazione sacramentale, in ogni
comunità cristiana.
All'inizio della preghiera c'è lo Spirito Santo che fa pregare e
alla fine della preghiera c'è sempre lo Spirito Santo, perché in verità egli è
l'oggetto dell'invocazione, egli è «quelle cose migliori tra le cose buone» che
bisogna domandare e che il Padre concede, come ha detto Gesù stesso (cf.
Mt 7,11 e Lc 11,13).
Nel cuore del cristiano lo
Spirito Santo che inizia ad esprimersi come istinto di vita, a poco a poco, col
crescere della capacità di pregare, diventa Spirito che toglie ogni paura e
angoscia e fa gridare con parresia:
«Abba, Padre» (Rm 8,15 e Gal 4,6).
Lo Spirito Santo rende testimoni
Il cristiano fatto figlio di Dio e dimora dello Spirito Santo
appare ricolmo di Spirito Santo (pléres
pneúmatos: Lc 4,1) e mosso, spinto da lui (Mc 1,12). Lo stesso suo nome,
«cristiano» (At 12,26), derivato da Cristo, fa di lui un unto, un messianico,
un «seguace della via» (At 9,2; 19,9.23; 24,14.22) perché «cammina secondo lo
Spirito» (Gal 5,25).
La promessa di Gesù è stata: «Voi mi sarete testimoni e io mando
su di voi colui che il Padre mio ha promesso … potenza dall'alto» (Lc
24,48-49), e anche nel vangelo di Giovanni le parole di Gesù indicano che lo
Spirito abilita innanzitutto alla testimonianza (Gv 15,26-27).
Questo avviene con una serie di energie dispiegate dallo
Spirito: egli innanzitutto, come «compagno inseparabile» della Parola, dona la
parola di Dio al cristiano e gli permette di accoglierla quale veramente è:
parola di Dio, anche se detta dagli uomini (cf. 1Ts 2,13), anche se contenuta
nelle Scritture (2Tm 3,16) o nella parola letta nella chiesa (Ap 1,3). Suo
compito preciso è soprattutto rendere «vita» la parola del Signore (Gv 6,63), è
ricordare le parole di Gesù (Gv 14,26), è insegnare, diventare il maestro interiore riguardo a tutte le
cose del Padre. Lo Spirito Santo che scende nello spirito del cristiano, che
apre la sua mente all'intelligenza delle Scritture (Lc 24,45) risuscita la
lettera morta delle Scritture in Parola del Signore perché l'anágnosis diventi anámnesis, cioè ciò che è stato detto nei tempi
passati venga ricordato in modo vivo ed efficace nell'oggi. La stessa dinamica
pasquale dello Spirito Santo che ha risuscitato Gesù, risuscita la parola e fa
dell'ascoltatore cristiano un testimone e un servo della Parola. «Dove c'è la
parola, là c'è lo Spirito Santo, sia in chi ascolta sia in chi evangelizza»,
scriveva Lutero; e dove c'è il servizio della parola (diakonía toû lógou: At 6,4), c'è anche la diakonia toû pneúmatos (2Cor 3,8).
Nel tempo che va dalla resurrezione di Gesù fino alla parusia,
il tempo dei gojim e della chiesa (Lc
21,24 e Ap 11,2), è lo Spirito Santo il grande protagonista della
testimonianza, così come lo è dell'evangelizzazione e della missione. Egli
parla ancora oggi alle chiese - e andrebbe ascoltato con attenzione e vigilanza
escatologiche (Ap 2,7.11.17 ecc.) - e fa parlare nelle chiese e al mondo i
testimoni di Cristo risorto che di lui sono ricolmi. E infine, in questo agire
testimoniale dello Spirito, non può essere dimenticato il frutto decisivo: il martirio.
Il martire è l'opera per eccellenza dello Spirito Santo, una vera epifania
della sua vita e della sua potenza. E non solo lo Spirito Santo parla nel
cristiano perseguitato che non deve né temere né prepararsi una difesa (Mt
10,19-20 e Lc 12,12), ma rende capace il cristiano di testimoniare la realtà
della resurrezione di Gesù. Nella chiesa antica i cristiani non ricorrevano ad
argomenti apologetici come la tomba vuota o le apparizioni di Gesù per
annunciare la sua resurrezione, ma mostravano la verità di questo evento
attraverso il martirio. Dicevano che Gesù era il Signore non confessandolo a
voce, ma mostrando che soltanto lui regnava su di loro nella vita e nella
morte. Tertulliano poteva perciò consolare i condannati al martirio ricordando
loro che lo Spirito Santo era il loro allenatore
nel combattimento (Ai martiri III)
e sarebbe stato premio e gloria perché lo Spirito Santo è il Regno di Dio
stesso. Oggi che «la chiesa è diventata nuovamente chiesa di martiri, essa vive
la sua pentecoste rinnovata perché dove c'è il martire, là c'è lo Spirito di
Dio che riposa su di lui (1Pt 4,14) e si manifesta in tutta la sua potenza».
Come acqua zampillante che attira a sé, così lo Spirito, nel
cuore del martire, dice: «Vieni al Padre!» (Ignazio di Antiochia).
Lo Spirito Santo porta i suoi doni
Lo Spirito Santo presente nel cuore del cristiano lo è con tutta
la sua pienezza, le sue energie distinte, quale policroma, variopinta sapienza
di Dio (cf. Ef 3,10). Questa presenza però non impone ma, come l'amore,
innanzitutto offre; nel cristiano lo Spirito dice: «Tutto ciò che è del Padre è
anche tuo; dunque tutto è tuo… ricevi, accogli, riconosci il dono,
distribuisci, dilata, ridona il dono stesso affinché tutto sia koinonía tra Dio e gli uomini». Doni
infiniti quelli dello Spirito Santo: infatti «agisce nella mente dando
l'intelligenza, agisce nel cuore dando l'amore, agisce in tutto il corpo dando
la vita, agisce nelle singole membra dando la forza: l'intelligenza contro
l'ignoranza, l'amore contro l'egoismo, la vita contro la morte, la forza contro
la debolezza».
In Isaia (11,1-2) lo Spirito di Dio che agisce sul Messia si
manifesta innanzitutto con i doni (sei nel TM, sette nei LXX e quindi nella
Vulgata), doni diversi, distinti, che caratterizzano la fonte come unica, il
soggetto come unico, mentre diverse sono le distribuzioni, le operazioni, le
manifestazioni: così interpreterà Paolo questi carismi donati alla chiesa per
l'utilità comune (1Cor 12,4 ss.). Essi sono molti, sono copiosi, sono sempre
donati dal Signore, soprattutto se vengono richiesti nella preghiera, ma
certamente appartengono all'essenza della chiesa stessa. Vanno discreti, riconosciuti, ordinati e
compaginati perché siano a utilità comune di tutti i credenti e siano a
servizio della comunione di tutto il corpo che è corpo reale di Cristo nella
storia. L'apostolo Paolo torna più
volte su questo tema dei carismi esortando le differenti chiese in cui questi
appaiono in modi diversi… Tra questi doni alcuni, secondo l'apostolo, sembrano
essere essenziali per la vita della chiesa: ad esempio, il dono
dell'apostolato, della profezia e della didaskalía;
altri sembrano poter essere anche assenti dalla chiesa senza attentare alla
sua vita, ma tutti sono doni, tutti da riconoscersi per non «contristare» (Ef
4,30) o «spegnere lo Spirito Santo» (1Ts 5,19), tutti motivo di ringraziamento
a Dio… Certamente tra tutti i doni eccelle l'agape, condizione necessaria
perché i doni siano doni dello Spirito Santo (1Cor 13,1-3). Questa è la via migliore (1Cor 12,31) da
percorrere dal cristiano che vuole la comunione e l'edificazione della chiesa
nell'unità.
Sì, lo Spirito Santo non è solo pioggia di doni alla comunità
cristiana, ma è anche ordinamento della chiesa, compaginazione di tutto
l'edificio. Sempre il dono è particolare, fatto a un battezzato ripieno di
Spirito Santo, ma sempre è per l'utilità comune senza possibilità di
concorrenza, di invidia, di gelosia. Agostino ricorda a questo proposito: «Se
ami, ciò che possiedi non è poca cosa! Se tu ami l'unità, tutto ciò che in essa
è posseduto da qualcuno è posseduto anche da te! Bandisci l'invidia e sarà tuo
ciò che è mio, e se io bandisco l'invidia sarà mio ciò che tu possiedi.
L'invidia separa, la carità unisce». Il
dono dello Spirito Santo diventa doni nella
vita spirituale del cristiano, manifestazioni dello Spirito che certamente si
inverano nella propria vocazione e sono dati per la compaginazione sinfonica
della chiesa…
La divinizzazione
Abbiamo cercato di meditare sulla vita cristiana e sull'azione
dello Spirito Santo che ne è creatore e animatore, ma qual è lo scopo di questa
kénosis attuata dallo Spirito
sull'umanità raccolta, attirata da Dio Padre intorno al Figlio, sua Parola
vivente? Le sante Scritture dicono questo télos
in modi diversi: parlano di redenzione, salvezza e dunque di destinazione
al regno di Dio, alla vita eterna, alla comunione trinitaria. L'occidente ha assunto e commentato in vari
modi questo scopo della vita cristiana, mentre l'oriente con molta audacia ha
preferito parlare di théosis, di
divinizzazione. La parola biblica fondamento di questo linguaggio è quella che
troviamo nella Seconda lettera di Pietro: «La potenza di Dio ci ha fatto dono
di ogni bene mediante la conoscenza di colui che ci ha chiamati con la sua
gloria e la sua potenza ci ha donato beni grandissimi e preziosi perché
diventaste partecipi della natura divina» (hína
ghénesthe theías koinonoì phýseos: 2Pt
1,3-4).
Quest'azione che ci rende divini, che ci fa Dio, che ci divinizza,
da Atanasio in poi è soprattutto attribuita allo Spirito Santo. «Per la potenza
che dimora nell'uomo la divinizzazione inizia già sulla terra, la creatura è
trasfigurata e il regno di Dio è cominciato» (Giovanni Paolo Il, Orientale Lumen 6). Atanasio è l'autore
della felice espressione «Dio è diventato sarcoforo
perché l'uomo diventi pneumatoforo» e
proprio lui ha insistito su questo protagonismo dello Spirito Santo nella vita
cristiana. Egli scrive: «Se diventiamo partecipi dello Spirito, ci uniamo a Dio
già in vita». E ancora: «Per mezzo dello Spirito Santo noi tutti diventiamo
partecipi di Dio … partecipiamo alla natura divina attraverso la partecipazione
allo Spirito Santo … perché lo Spirito divinizza quelli in cui è presente».
Questa rivelazione appare sempre abbagliante, eppure questo è lo scopo della
vita cristiana: diventare Dio per grazia attraverso le energie dello Spirito
santo che ci fa figli nel Figlio! Questo d'altronde, secondo tutta la
patristica orientale, è lo scopo dell'incarnazione: Dio si è fatto uomo perché
l'uomo possa diventare Dio…
Solo il Verbo è Figlio di Dio per natura, ma lo Spirito Santo
abitando in noi fa di noi dei figli per partecipazione, figli che vivono della
stessa vita di Dio vincitore del peccato e della morte: «Lo Spirito stesso è la
vita di quelli che partecipano di lui» (lreneo).
Oh luce, troppa luce! Il cristiano a questo punto sente tutto il
suo corpo, la sua carne, la sua psiche cristificata: non è più lui che vive, ma
Cristo che vive in lui. Questo cristiano in cui le energie dello Spirito Santo
sono energie di divinizzazione all'opera ha i sentimenti di Cristo stesso (Fil
2,1), agisce e parla, si comporta come il Figlio stesso di Dio, a tal punto che
il mondo vede in lui un'icona della trasfigurazione. In lui già inizia a
operare la resurrezione, la vita eterna, plasmando il volto e trasfigurandolo
con la luce della bellezza eterna e divina…
Come il corpo del Signore fu glorificato sul monte, trasfigurato
nella gloria di Dio e nella luce infinita, così il corpo del peccato viene
trasfigurato e splende come un bagliore, perché sta scritto: «Ho dato loro la
gloria che tu mi hai dato, o Padre» (Gv 17,22); e come innumerevoli ceri si
accendono a un solo fuoco, così i corpi membra di Cristo saranno il corpo di
Cristo: la nostra natura umana è trasfigurata nella pienezza della Divinità
diventando intieramente fuoco e luce…
E la chiesa? Grazie allo Spirito essa diventa interamente
comunione dei santi e alle cose sante, diventa colomba, cioè sposa ripiena di carità, di amore, dunque di Spirito
santo che è l'amore tubante sempre: «Vieni, Signore Gesù»! Oh colomba, sposa
pronta per lo Sposo, umanità in Dio!

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