WILMA OCCHIPINTI

E DIO DISSE LORO …

Furono date alla donna le ali della grande aquila (Apocalisse 12,14)


volo

La donna: l'altro necessario
Il dragone: figura del male
Il deserto: luogo di discernimento
Dal dibattito:
Sull'alterità e sulla divisione dei ruoli
Sulla misoginia di Paolo
Sul matrimonio
Sulla sessualità


L'introduzione di don Mirko Bellora

Furono date alla donna le due ali della grande aquila (Ap 12,14)
Veniamo da una cultura che ha spesso represso il corpo e ha oscurato e avvilito tutto quanto è carnale, corporeo, materiale, sessuale.
Il dualismo occidentale, che ha separato carne e spirito, corpo e anima, non ha permesso di instaurare una relazione armoniosa, serena, amorevole col corpo.
Ma ciò che è stato rinnegato tanto a lungo è ritornato con forza.
E oggi possiamo affermare senza incertezza con Xavier Lacroix: Il XX secolo è stato, per la coscienza cristiana, il grande secolo della riconciliazione col corpo e con il piacere.
Anzi, il culto del corpo è diventato piacevole e ovvio fino ad arrivare a una sua celebrazione enfatica e a una sua ossessiva tutela e cura.

Veniamo poi da una cultura che Nietzsche ha stigmatizzato così: La felicità dell'uomo si chiama "Io voglio", la felicità della donna si chiama "Egli vuole".
Oggi invece sta sempre più crescendo una nuova coscienza, in particolare nella coscienza cristiana si è arrivati a dire senza incertezza: Non c'è cristianesimo, non c'è festa dove la donna è oppressa
Essendo poi oggi l'8 marzo e ascoltando Diderot che consiglia: Quando si scrive delle donne bisogna intingere la penna nell'arcobaleno, ricordo con gioia un detto arabo: Gli uomini vedono la foresta le donne vedono gli alberi e le foglie. Ringrazio allora tutte le donne presenti a nome dei preti, dei mariti, dei maschi per questo sguardo profondo e attento sulle persone, sulle cose.
 
Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. (Gen 1,26) … Ho chiesto questa sera alla professoressa Wilma Occhipinti, dottore in teologia, scrittrice, che tra i suoi maestri ha avuto il nostro cardinale Carlo Maria Martini, una riflessione su quella meraviglia di Dio che è l'uomo e la donna, con una attenzione particolare alla donna.

*****

La donna: l'altro necessario
Non parlerò della donna come anima e corpo: è una divisione di comodo per scaricare sul corpo, sulla carne, la responsabilità del male che la donna tutta intera compie. Donna, sta scritto, sii tutto intero davanti al tuo Dio. La divisione anima-corpo non fa parte della cultura ebraica, ma è soprattutto greca.
Parlerò della donna tutta intera come io mi sento, come voi vi sentite. Devo aggiungere che parlerò anche agli uomini. A partire dal passo dell'Apocalisse.
Spero questa sera di farvi volare sulle ali della grande aquila, ma non so se ci riuscirò.
E a partire da questo passo dell'Apocalisse prenderò in considerazione la donna, il dragone, il deserto.
Dice il testo: "E un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole … in preda alle doglie del parto". "E un altro segno apparve nel cielo: ecco, un dragone rosso vivo" che minaccia la donna
Diverse sono le interpretazioni date a questo testo .La donna è immagine della madre divina di un mito pagano, come Iside che partorisce Horus? È immagine astrologica della costellazione della vergine ai cui piedi si trova la costellazione del dragone? È figura del popolo di Israele, come la videro i profeti? È la "giovane donna che concepisce e partorisce un figlio" del testo di Isaia (7,14)? È figura della chiesa, vergine, feconda per opera di Dio e minacciata dal demonio?
Queste interpretazioni sono state prese in considerazione dai Padri della Chiesa e dai teologi. Tutte sono legittime. Ma, qui e ora, preferisco prendere in considerazione il termine donna nel suo più evidente significato. Il termine greco gunaika è la donna sposata o fidanzata, in relazione all'uomo, indica quindi l'altro dell'uomo, il partner necessario e prescinde dalla funzione di moglie e madre. Così come l'ha voluta il Creatore.
La relazione uomo-donna trova espressione significante anche nei primi due capitoli del Genesi.
Nel primo racconto della creazione, di ambiente sacerdotale, si dice: "Dio creò l'adam a sua immagine, maschio e femmina li creò". Solo dell'uomo si mette in risalto la differenziazione sessuale. Degli animali si dice: "Dio li creò secondo la loro specie". L'uomo e la donna, creati uguali ma differenziati, sono quindi sotto il segno dell'alterità reciproca.
Lo stesso concetto viene rafforzato nel secondo capitolo del Genesi, con il racconto di tradizione popolare della costola. Al rigore teologico dei sacerdoti, il popolo risponde con un midrash, un racconto per spiegare. In Gen 2,I8.20 si dice: "non è bene che l'adam sia solo, gli farò un aiuto che sia come contro lui". Dio crea allora gli animali, "ma per l'adam non si trovò un aiuto che stesse come contro lui". Per trovare un partner che sia uguale ma anche altro, Dio, dalla stessa carne dell'adam differenzia l'uomo e la donna, reciprocamente altri.
Ho tradotto letteralmente il termine ebraico ezer kenegdo, aiuto come contro lui, non nel significato di contrapposizione, ma di alterità. Da Girolamo alla Bibbia di Gerusalemme abbiamo continuato a tradurre, con un apprezzabile sforzo femminista ma con poca fedeltà al testo originale, l'ezer kenegdo con "aiuto simile a lui". Solo ultimamente la Nuovissima Versione dai Testi Originali ha tradotto con "un aiuto corrispondente" e la Traduzione dei Rabbini d'Italia con "un aiuto che sia come davanti a lui". Suggerisco, umilmente ma suggerisco: "un aiuto che sia l'altro di lui" (di non da lui che segnerebbe allontanamento, come mi fece notare padre David Turoldo).
Quindi, per rimediare alla solitudine dell'adam, non esiste altro modo che aprire una relazione tra uguali ma altri, di certo non tra simili. Di tutti gli esseri viventi solo l'uomo ha bisogno di un kenegdo, di qualcuno che gli stia davanti, ha bisogno dell'altro. Soltanto quando ha davanti a sé l'altro, l'adam trova la parola per un canto d'amore e per esprimere la consapevolezza della sua carne, delle sue ossa, percependo se stesso e il suo esserci davanti all'altro: "Questa finalmente è carne della mia carne, ossa delle mie ossa." Si potrebbe addirittura tradurre "carne più della mia carne, ossa più delle mie ossa". (La Bibbia inizia con un canto d'amore, termina con un altro canto d'amore: "Lo spirito dice alla sposa: vieni". In mezzo ci sta il Cantico dei Cantici. Questa sera non parlo del Cantico, ma quello che mi preme è mettere in risalto questa alterità reciproca, uomo–donna).
Nasce così la prima relazione interpersonale, chiamata a farsi paradigma di ogni incontro-confronto con l'altro per etnia, cultura, religione. Se sapremo avere un rapporto di rispetto della propria alterità nella alterità e nella reciprocità, noi saremo anche capaci di incontraci con il negro, con il teologo scomodo, con chi è altro per cultura, etnia e religione. Una relazione sotto il segno dell'alterità da accogliere e salvaguardare.
Scrive Lévinas: "La relazione con l'altro non annulla la distinzione, né instaura una totalità che integri l'io all'altro. In questo senso l'altro non può essere compreso né inglobato. Anche quando avessi legato l'altro a me attraverso la congiunzione e (io e l'altro), l'altro mi sta di fronte, ostile e amico, mio maestro e mio allievo. Egli rimane infinitamente trascendente, infinitamente straniero". (Totalità e infinito, Milano 1977, 257).
In queste parole, estremamente significative, io rivedo e rivivo il mio matrimonio. Non sono stata compresa, non sono stata inglobata, sono rimasta infinitamente trascendente, infinitamente straniera (ci ritroviamo noi donne no?), ostile e amico, mio maestro e allievo, l'uno e l'altro.
L'alterità non permette l'assimilazione dell'altro né il lasciarsi assimilare. Ma l'alterità non è nemmeno complementarietà: l'uno non è ciò che manca all'altro perché l'uomo e la donna non sono riconducibili a una totalità. Non fanno l'uno. Solo per convenzione formano la coppia. Di fatto fra i due è spalancata una differenza che nessuna tensione verso l'unità può recuperare. Questa è la realtà, il resto sono sogni, illusioni.
Vi racconterò un aneddoto in cui è coinvolto il vostro cardinale Carlo Maria Martini: una volta gli presentai un lavoro di esegesi biblica. Me lo guarda e poi mi dice: "Brava, hai fatto un buon lavoro, come avrebbe potuto farlo uno dei nostri studenti seminaristi". Ero l'unica donna che era entrata in un ateneo pontificio a studiare. "Ora che hai dimostrato di essere uguale, perché non provi a fare l'altro che manca?" Duro eh! Che cos'è la femminilità? È soltanto davanti al maschio che si ritaglia la femminilità, o non la si sa definire e circoscrivere da sola, così come non si può definire e circoscrivere la mascolinità, così come non si può definire e circoscrivere l'uomo. L'unica definizione giusta ed esatta è un participio futuro: creatura chiamata ad amare e conoscere Dio. Sbaglio citando il Concilio?
Quindi donna come l'altro necessario. La donna dell'Apocalisse è l'altro necessario. Gesù vuole la madre accanto a sé in quanto altra, partner. Il testo di Cana, nel vangelo di Giovanni, è significativo: ribadisce il ruolo di madre di Maria, ma il figlio la chiama: donna. Dice il testo: "C'era la madre di Gesù. Venuto a mancare il vino la madre di Gesù gli dice: non hanno più vino E Gesù rispose: che ho da fare con te, donna?… La madre dice ai servi: fate quello che vi dirà". (Gv 2,4ss). Giovanni insiste sulla madre, ma il figlio, in modo inconsueto ma non irriverente, la chiama donna. Il loro rapporto prescinde dalla funzione materna. Il figlio la vuole accanto a sé non perché facente funzione di madre, ma come partner necessario perché "non è bene che l'uomo sia solo".

Il nostro testo dell'Apocalisse ci dice che è una donna splendente che sta partorendo un figlio, un inedito di Dio. Ed è un segno, una realtà misteriosa che esprime il nuovo che ha da nascere. Si capisce allora l'attacco del dragone.
 

Il dragone: figura del male
Ma chi è il dragone-serpente-satana-diavolo e perché minaccia la donna?
In nessun altro testo del Nuovo Testamento è così evidente che i quattro nomi sono sinonimi e indicano il demonio. È "l'antico serpente, quello che viene chiamato satana, diavolo, quello che inganna". (Ap 12,9). Il suo colore è rosso come il sangue versato perché "fin dall'inizio è omicida" (Gv 3,8). È il principe di questo mondo (Gv 12,31; 14,31; 16,11). A lui appartengono i regni, il potere.
 
Appare raramente nell'Antico Testamento. Satana è denominativo del verbo satan, essere nemico. È un termine giuridico ed indica l'accusatore in tribunale (il nostro Pubblico Ministero). Come dice von Rad: "Ha l'apparenza di un personaggio letterario per descrivere una situazione di male" (von Rad, Grande Lessico del Nuovo Testamento, II, 924). Nel libro di Giobbe fa parte dei figli di Dio ed accusa Giobbe: egli è giusto perché Dio gli ha dato benessere e figli. Dio consegna Giobbe a satana. Giobbe, perduto tutto quello che aveva, arriva a maledire il giorno in cui è nato. L'intervento di satana scatena la divisione in Giobbe: è diviso da se stesso ed è lontano da Dio.
É satana che spinge David al censimento del popolo (1Cr 21,1). David vuole ostentare il proprio potere: su quanti comanda David? Il castigo di Dio arriva implacabile: la peste sugli israeliti. Ne morirono settantamila. L'intervento di satana scatena in David l'ansia di potere, il delirio d'onnipotenza. Satana divide e fa impazzire.

Nel Nuovo Testamento il diavolo appare nei momenti decisivi della vita di Gesù: all'inizio, nelle tentazioni che vedremo, e alla fine nel rinnegamento di Pietro e nel tradimento di Giuda.

Ma perché satana attenta alla donna? È un rapporto conflittuale fin dalle origini. Leggiamo in Genesi: il serpente "il più astuto di tutti gli animali" (3,1) spinge la donna alla disobbedienza. Per questo viene maledetto da Dio: "Porrò ostilità fra te e la donna e tra gli eredi tuoi e quelli della donna. Essi ti schiacceranno il capo e tu li assalirai al tallone" (3,15). La contrapposizione con la donna si trasferisce su ogni nato di donna.

Ma se consideriamo satana figura della situazione di male in cui l'umanità vive per il peccato del primo uomo e di tutti gli uomini, compresa me, allora possiamo dire che la tensione è tra l'uomo e la situazione di peccato in cui nasce. Per questo nel nostro testo, il piccolo nato di donna viene attaccato dal demonio, così il piccolo Mosè nei confronti del faraone, così il piccolo Gesù nei confronti di Erode. Non è satana, ma è chi detiene il potere ad aver paura di ogni nato di donna in quanto nuovo, inedito. Ogni situazione di peccato non vuole cambiamenti, non accetta nascite se non quelle programmate, magari clonate, non sopporta processi di crescita se non quelli conosciuti, stabiliti, recintati. Per questo la donna abitata da un figlio è una minaccia: porta il nuovo e questo disturba.


Il deserto: luogo di discernimento
Dio porta in salvo la donna sulle ali della grande aquila nel deserto. Lontano dalla vita pubblica, il deserto è luogo della solitudine, della riflessione, delle scelte. Ha il suo punto di riferimento obbligato nei quaranta anni di esodo degli israeliti. Dopo la schiavitù, il deserto è il luogo dell'incontro con Dio, dell'alleanza, della legge, ma anche dell'infedeltà (il vitello d'oro). Tutto avviene nel deserto, perché un gruppo di fuoriusciti scelga di farsi popolo e popolo di Dio. Quindi, deserto come luogo del discernimento e della scelta.

Così anche per Gesù. Dopo aver ricevuto il battesimo da Giovanni Battista si reca nel deserto e vi rimane per quaranta giorni. Qui fa le sue scelte rispondendo a satana che gli prospetta: "Se sei figlio di Dio fa diventare pane queste pietre", ottenendo così potere sugli uomini ai quali dà il benessere. E ancora satana: "Se sei figlio di Dio, buttati dal pinnacolo del tempio. Gli angeli di Dio ti salveranno", ottenendo potere sugli uomini perché li stupirà, esibendosi. Com'è attuale questa tentazione! E ancora satana: "Ti darò potere su i tutti regni della terra se mi adorerai". Inequivocabili le risposte di Gesù: non accetta nessuno dei tre poteri perché "non di solo pane vive l'uomo", "non tenterai il Signore tuo Dio", "adorerai solo il Signore".

Anche la donna dell' Apocalisse nel deserto è chiamata a riflettere e a fare scelte. Fino a "un cielo nuovo, una terra nuova", quando ritroverà il suo splendore "preparata come una sposa per il suo sposo" (Ap 21,1.2).
 
Qui e ora: alle prese con una situazione di peccato, stiamo trascorrendo i nostri quaranta giorni nel deserto della riflessione, delle scelte, delle decisioni. Quali scelte?
Nel presentare un lavoro di esegesi biblica, il più eminente dei biblisti, che oggi è una vostra eminenza, mi scartò l'ultimo foglio sul quale avevo tirato delle conclusioni, avevo dato un'interpretazione del testo esaminato. Mi disse: "Tu indichi soltanto i sensi vietati. Fare esegesi significa garantire ciò che il testo vuol dire e basta. L'interpretazione spetta a una comunità che prega".
Quindi mi limito a porre, a voi e a me, delle domande.
 
Nella relazione primaria uomo-donna, questa riesce a tutelare e a far esprimere l'alterità di cui l'uomo è portatore ed essere così modello di ogni altra relazione interpersonale?
E, in questa prospettiva, la donna ha consapevolezza della responsabilità enorme nei confronti dei figli e del futuro dell'umanità che può essere migliore se è positivo il rapporto con il partner?
É preparata ad affrontare, anche con strategie politiche, il futuro dei figli perché possano crescere e raggiungere lo shalom, la pienezza di vita e volare sulle ali della grande aquila? Per alzarsi in volo e non strisciare nella mediocrità.
 
Ancora un riferimento biblico: 2002 anni fa due donne, abitate da un figlio, si incontrano per solidarietà reciproca. Non parlano di bambini da curare, o forse ne parlano ma poco. Una, Elisabetta, esprime la prima professione di fede: riconosce il Signore nel ventre di Maria. L'altra, inusitatamente, annuncia, alto e solenne come farebbe un rabbino, il programma di Dio citando le antiche Scritture riservate agli uomini e che lei non avrebbe dovuto conoscere. Di questo programma se ne assume le responsabilità per quel tanto che le compete. Non accetta solo un figlio dal padre scomodo, ma si assume anche la responsabilità, con il figlio e nel figlio, di attuare le grandi cose di Dio per gli uomini. Era una donna che volava sulle ali della grande aquila.
Una pista di lavoro anche per noi? Forse è da prendere in considerazione uscendo dalle sicurezze da recinto: la maternità non può circoscriverci, non può rinchiuderci in una riserva indiana. Il figlio chiede anche un programma politico per il suo futuro, quindi prepariamoci e diamoci da fare.

Chiudo con un testo di Lévinas che può aiutarci a volare come aquile e non come polli, a restare in terra ma a guardare, sognare, sperare, attuare il cielo: "Io tento di non presentare la relazione con l'altro come un attributo della mia sostanzialità, ma al contrario come il fatto della mia destituzione, della mia deposizione (proprio nel senso della deposizione di un sovrano). E mi percepisco davanti all'altro vulnerabile, disarmato. Se non si pone ciò, allora ci rassegniamo al mondo della rivincita della guerra, dell'affermazione prioritaria dell'io. Un mondo nel quale siamo tutti alterati" (Di Dio che viene all'idea, Milano 1983, l07).
 
Dal dibattito:

Sull'alterità che non è complementarità
Io credo che Dio gioisca quando nella coppia incontra i due, non la "mela intera", perché ogni uomo è un universo a sé. Quando si è felici insieme non si è trovato la propria metà ma l'altro, l'altro tutto intero. Ogni stella è stella, ogni stella non è quello che manca all'altra stella, è la pluralità.
Occorre guardare all'altro, all'altra come a uno, a una e non come a quello che ci manca. Altrimenti non riusciremo a comprendere l'altro, l'altra.
Tutto ciò è complicato, tant'è vero che Paolo lo chiama "il grande sacramento": l'altro fa parte a sé e rimane infinitamente straniero, infinitamente trascendente.
Se si cerca la metà che ti completa, allora l'altro diventa, come dice Lévinas, parte della mia sostanzialità, l'altro mi serve per definire me. Con l'altro non costituisci l'intero: tu sei già un intero, cerca il tuo intero!
 
Sulla divisione dei ruoli
Sono contraria all'esaltazione dei ruoli, perché sono contraria ai ruoli. Non dimentichiamoci che è esattamente dopo il peccato che si spezza l'unità fra i due. Non è un caso che l'uomo si appropria del nome che li conteneva entrambi, l'adam, e diventa Adamo: perde l'articolo e diventa il nome proprio del primo uomo e da padrone impone alla donna il nome di Eva, rinchiudendola in un ruolo, la madre. Lui è il lavoratore, lei è la madre. La divisione è già compiuta: la divisione è una situazione di peccato che va risolto.
L'importante è che i due ruoli non siano divisi, ma che siano due ruoli distinti, distinti ma non separati, uniti ma non confusi.
 
Sulla misoginia dell'apostolo Paolo
Non esiste la misoginia di Paolo, è una invenzione dei preti! Avendo dovuto allontanare, per disciplina ecclesiastica e non per parola di Dio la donna, bisognava che questa donna fosse demonizzata, fosse svalorizzata si sono quindi lette le parole di Paolo non correttamente.
Quando in Paolo leggiamo "Le donne tacciano nell'assemblea", dobbiamo sapere che in realtà Paolo adopera un verbo greco che va tradotto con chiacchierare: "Le donne non devono chiacchierare nelle assemblee" … è diverso! Chi di voi è entrato in una sinagoga vede gli uomini che stanno sotto e leggono la Torah e vede le donne sopra che parlano di cosa hanno preparato per pranzo, del vestito del bambino … A loro non importa niente di quello che sta succedendo giù perché la Torah non è fatta per loro. É come se Paolo dicesse: "Non chiacchierate e, se non sapete di che cosa stanno parlando, fatevi istruire dai vostri mariti": La sua è una premura verso le donne.
In Paolo leggiamo poi "La donna abbia (e qui la colpa dei preti emerge in modo eclatante) il velo sul capo, abbia il capo coperto in segno di sottomissione". Il termine greco usato da Paolo è "exousìa", autorità. Ho cercato (altro esercizio di esegesi fattomi fare dal vostro cardinal Martini) tutte le volte che il termine exousìa appare nella Bibbia, sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento: l'exousìa è sempre esercitata in attivo e non subita. In oriente una donna che si rispetta ha il capo coperto, una donna col capo coperto non si tocca. Ciò che Paolo vuole dire è "La donna abbia autorità sul capo e possa così parlare". É proprio il contrario di ciò che abbiamo sempre pensato.
Paolo ha avuto bisogno di donne, le donne hanno evangelizzato con lui, le donne sono state discepole, ha dato tantissimo spazio alle donne. Basta leggere i saluti della Lettera ai Romani dove ci sono tante donne che lui ringrazia per aver lavorato con lui: le chiama addirittura apostole.
Con questo non rivendico assolutamente nessuno spazio femminile nella gerarchia, cioè, in conclusione, non voglio questo sacerdozio. Perché non ho questa vocazione e al sacerdozio ci si arriva solo per vocazione, e perché correrei il grosso rischio di assimilarmi a un universo che è stato fino ad oggi soltanto maschile, cioè il rischio di perdere la mia alterità e di diventare simile a un maschio, commettendo un reato di lesa umanità, perché l'umanità ha bisogno di me in quanto altra.
 
Sul matrimonio
Come nel Cantico dei Cantici: cercarsi, scegliersi, trovarsi, "vieni amato mio", ma subito dopo "fuggi come piccolo di cerbiatto, ritorna alla tua libertà". Questo è il matrimonio: due uni che si scelgono. Duro e faticoso, ma ne vale la pena.
Occorre sempre lasciare spazio perché l'altro possa esprimere l'alterità che si porta dentro. Con il marito ma anche con i figli: occorre essere capaci di fare un passo indietro perché l'altro cresca, abbia spazio; occorre cercare sempre la pienezza di vita per l'altro. E allora, in modo misterioso, lo ritrovi per te.
I matrimoni falliscono non per le due alterità che si incontrano, nel rispetto ciascuno dell'alterità dell'altro, caso mai i matrimoni falliscono proprio per il contrario, perché uno dei due o tutti e due non riconoscono nell'altro gli stessi propri diritti. Il matrimonio è questo riconoscersi come altri eppur convivere.
Se conoscessi tutto di mio marito non lo amerei! C'è una parte di lui che tu non conosci ed è per questo che lo ami, perché se tu lo conoscessi tutto e non ci fosse nulla di assolutamente misterioso tu l'avresti già inglobato, compreso. Deve rimanere infinitamente straniero, infinitamente trascendente.
 
Sulla sessualità
Non pensate che il Cantico parli di sessualità, il Cantico si ferma davanti a una porta il cui attraversamento è indicibile. Ciò che avviene tra un uomo e una donna nel loro incontro sessuale è qualcosa che non ha parole, che non può essere detto. Il Cantico è un cercarsi, un trovarsi per poi ripartire. Possiamo dire che il Cantico canta l'innamoramento, ma sui due protagonisti che si uniscono veramente si stende il velo del mistero più grande. In quei momenti, non sempre, tocchiamo il cielo con un dito. È quando percepiamo che io, l'altro, l'uno, siamo due diversi interi che si uniscono. E non si hanno parole per dire questa esperienza. Sarebbero parole profananti e diminuenti il valore: questa è la sessualità. Niente altro può essere detto. Si capisce come questa unione tra i due è stata presa come modello dell'unione di Dio con l'uomo: il grande mistero dell'uomo con il totalmente altro.
È vero poi che la sessualità è anche garanzia, prova del fuoco: se funziona il matrimonio esiste, se non funziona il matrimonio non c'è. E questa è la grande saggezza della mia Chiesa. Con la brutta, orrenda formula "rato e non consumato", ha detto questo mistero. Lo ha detto male, ma lo ha detto. La sessualità è la prova del fuoco, è la garanzia per due che si sono uniti.

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