WILMA OCCHIPINTI
E DIO DISSE LORO
Furono date alla donna le ali della grande aquila
(Apocalisse 12,14)
La
donna: l'altro necessario
Il dragone: figura del male
Il deserto: luogo di discernimento
Dal dibattito:
Sull'alterità e sulla divisione dei ruoli
Sulla misoginia di Paolo
Sul matrimonio
Sulla sessualità
L'introduzione di don Mirko Bellora
Furono date alla donna le due ali della grande
aquila (Ap 12,14)
Veniamo da una cultura che ha spesso represso il corpo e ha
oscurato e avvilito tutto quanto è carnale, corporeo,
materiale, sessuale.
Il dualismo occidentale, che ha separato carne e spirito, corpo e
anima, non ha permesso di instaurare una relazione armoniosa,
serena, amorevole col corpo.
Ma ciò che è stato rinnegato tanto a lungo è
ritornato con forza.
E oggi possiamo affermare senza incertezza con Xavier Lacroix:
Il XX secolo è stato, per la coscienza cristiana, il
grande secolo della riconciliazione col corpo e con il
piacere.
Anzi, il culto del corpo è diventato piacevole e ovvio
fino ad arrivare a una sua celebrazione enfatica e a una sua
ossessiva tutela e cura.
Veniamo poi da una cultura che Nietzsche ha stigmatizzato
così: La felicità dell'uomo si chiama "Io
voglio", la felicità della donna si chiama "Egli
vuole".
Oggi invece sta sempre più crescendo una nuova coscienza,
in particolare nella coscienza cristiana si è arrivati a
dire senza incertezza: Non c'è cristianesimo, non
c'è festa dove la donna è oppressa
Essendo poi oggi l'8 marzo e ascoltando Diderot che consiglia:
Quando si scrive delle donne bisogna intingere la penna
nell'arcobaleno, ricordo con gioia un detto arabo: Gli
uomini vedono la foresta le donne vedono gli alberi e le
foglie. Ringrazio allora tutte le donne presenti a nome dei
preti, dei mariti, dei maschi per questo sguardo profondo e
attento sulle persone, sulle cose.
Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo
creò; maschio e femmina li creò. (Gen 1,26)
Ho chiesto questa sera alla professoressa Wilma
Occhipinti, dottore in teologia, scrittrice, che tra i suoi
maestri ha avuto il nostro cardinale Carlo Maria Martini, una
riflessione su quella meraviglia di Dio che è l'uomo e la
donna, con una attenzione particolare alla donna.
*****
La donna: l'altro necessario
Non parlerò della donna come anima e corpo: è una
divisione di comodo per scaricare sul corpo, sulla carne, la
responsabilità del male che la donna tutta intera compie.
Donna, sta scritto, sii tutto intero davanti al tuo
Dio. La divisione anima-corpo non fa parte della cultura
ebraica, ma è soprattutto greca.
Parlerò della donna tutta intera come io mi sento, come
voi vi sentite. Devo aggiungere che parlerò anche agli
uomini. A partire dal passo dell'Apocalisse.
Spero questa sera di farvi volare sulle ali della grande aquila,
ma non so se ci riuscirò.
E a partire da questo passo dell'Apocalisse prenderò in
considerazione la donna, il dragone, il deserto.
Dice il testo: "E un segno grandioso apparve nel cielo: una
donna vestita di sole
in preda alle doglie del parto". "E
un altro segno apparve nel cielo: ecco, un dragone rosso
vivo" che minaccia la donna
Diverse sono le interpretazioni date a questo testo .La donna
è immagine della madre divina di un mito pagano, come
Iside che partorisce Horus? È immagine astrologica della
costellazione della vergine ai cui piedi si trova la
costellazione del dragone? È figura del popolo di Israele,
come la videro i profeti? È la "giovane donna che
concepisce e partorisce un figlio" del testo di Isaia
(7,14)? È figura della chiesa, vergine, feconda per opera
di Dio e minacciata dal demonio?
Queste interpretazioni sono state prese in considerazione dai
Padri della Chiesa e dai teologi. Tutte sono legittime. Ma, qui e
ora, preferisco prendere in considerazione il termine donna nel
suo più evidente significato. Il termine greco
gunaika è la donna sposata o fidanzata, in
relazione all'uomo, indica quindi l'altro dell'uomo, il partner
necessario e prescinde dalla funzione di moglie e madre.
Così come l'ha voluta il Creatore.
La relazione uomo-donna trova espressione significante anche
nei primi due capitoli del Genesi.
Nel primo racconto della creazione, di ambiente sacerdotale, si
dice: "Dio creò l'adam a sua immagine, maschio e
femmina li creò". Solo dell'uomo si mette in risalto la
differenziazione sessuale. Degli animali si dice: "Dio li
creò secondo la loro specie". L'uomo e la donna, creati
uguali ma differenziati, sono quindi sotto il segno
dell'alterità reciproca.
Lo stesso concetto viene rafforzato nel secondo capitolo del
Genesi, con il racconto di tradizione popolare della costola. Al
rigore teologico dei sacerdoti, il popolo risponde con un
midrash, un racconto per spiegare. In Gen 2,I8.20
si dice: "non è bene che l'adam sia solo, gli
farò un aiuto che sia come contro lui". Dio crea allora
gli animali, "ma per l'adam non si trovò un aiuto
che stesse come contro lui". Per trovare un partner che sia
uguale ma anche altro, Dio, dalla stessa carne dell'adam
differenzia l'uomo e la donna, reciprocamente altri.
Ho tradotto letteralmente il termine ebraico ezer
kenegdo, aiuto come contro lui, non nel significato di
contrapposizione, ma di alterità. Da Girolamo alla Bibbia
di Gerusalemme abbiamo continuato a tradurre, con un apprezzabile
sforzo femminista ma con poca fedeltà al testo originale,
l'ezer kenegdo con "aiuto simile a lui". Solo ultimamente
la Nuovissima Versione dai Testi Originali ha tradotto con "un
aiuto corrispondente" e la Traduzione dei Rabbini d'Italia con
"un aiuto che sia come davanti a lui". Suggerisco, umilmente ma
suggerisco: "un aiuto che sia l'altro di lui" (di
non da lui che segnerebbe allontanamento, come mi
fece notare padre David Turoldo).
Quindi, per rimediare alla solitudine dell'adam, non
esiste altro modo che aprire una relazione tra uguali ma altri,
di certo non tra simili. Di tutti gli esseri viventi solo l'uomo
ha bisogno di un kenegdo, di qualcuno che gli stia
davanti, ha bisogno dell'altro. Soltanto quando ha davanti
a sé l'altro, l'adam trova la parola per un canto
d'amore e per esprimere la consapevolezza della sua carne, delle
sue ossa, percependo se stesso e il suo esserci davanti
all'altro: "Questa finalmente è carne della mia carne,
ossa delle mie ossa." Si potrebbe addirittura tradurre "carne
più della mia carne, ossa più delle mie ossa". (La
Bibbia inizia con un canto d'amore, termina con un altro canto
d'amore: "Lo spirito dice alla sposa: vieni". In mezzo ci sta il
Cantico dei Cantici. Questa sera non parlo del Cantico, ma quello
che mi preme è mettere in risalto questa alterità
reciproca, uomodonna).
Nasce così la prima relazione interpersonale, chiamata a
farsi paradigma di ogni incontro-confronto con l'altro per etnia,
cultura, religione. Se sapremo avere un rapporto di rispetto
della propria alterità nella alterità e nella
reciprocità, noi saremo anche capaci di incontraci con il
negro, con il teologo scomodo, con chi è altro per
cultura, etnia e religione. Una relazione sotto il segno
dell'alterità da accogliere e salvaguardare.
Scrive Lévinas: "La relazione con l'altro non annulla la
distinzione, né instaura una totalità che integri
l'io all'altro. In questo senso l'altro non può essere
compreso né inglobato. Anche quando avessi legato l'altro
a me attraverso la congiunzione e (io e l'altro), l'altro
mi sta di fronte, ostile e amico, mio maestro e mio allievo. Egli
rimane infinitamente trascendente, infinitamente straniero".
(Totalità e infinito, Milano 1977, 257).
In queste parole, estremamente significative, io rivedo e rivivo
il mio matrimonio. Non sono stata compresa, non sono stata
inglobata, sono rimasta infinitamente trascendente, infinitamente
straniera (ci ritroviamo noi donne no?), ostile e amico, mio
maestro e allievo, l'uno e l'altro.
L'alterità non permette l'assimilazione dell'altro
né il lasciarsi assimilare. Ma l'alterità non
è nemmeno complementarietà: l'uno non è
ciò che manca all'altro perché l'uomo e la donna
non sono riconducibili a una totalità. Non fanno l'uno.
Solo per convenzione formano la coppia. Di fatto fra i due
è spalancata una differenza che nessuna tensione verso
l'unità può recuperare. Questa è la
realtà, il resto sono sogni, illusioni.
Vi racconterò un aneddoto in cui è coinvolto il
vostro cardinale Carlo Maria Martini: una volta gli presentai un
lavoro di esegesi biblica. Me lo guarda e poi mi dice: "Brava,
hai fatto un buon lavoro, come avrebbe potuto farlo uno dei
nostri studenti seminaristi". Ero l'unica donna che era entrata
in un ateneo pontificio a studiare. "Ora che hai dimostrato di
essere uguale, perché non provi a fare l'altro che manca?"
Duro eh! Che cos'è la femminilità? È
soltanto davanti al maschio che si ritaglia la
femminilità, o non la si sa definire e circoscrivere da
sola, così come non si può definire e circoscrivere
la mascolinità, così come non si può
definire e circoscrivere l'uomo. L'unica definizione giusta ed
esatta è un participio futuro: creatura chiamata ad
amare e conoscere Dio. Sbaglio citando il Concilio?
Quindi donna come l'altro necessario. La donna dell'Apocalisse
è l'altro necessario. Gesù vuole la madre accanto a
sé in quanto altra, partner. Il testo di Cana, nel vangelo
di Giovanni, è significativo: ribadisce il ruolo di madre
di Maria, ma il figlio la chiama: donna. Dice il testo: "C'era la
madre di Gesù. Venuto a mancare il vino la madre di
Gesù gli dice: non hanno più vino E Gesù
rispose: che ho da fare con te, donna?
La madre dice ai
servi: fate quello che vi dirà". (Gv 2,4ss). Giovanni
insiste sulla madre, ma il figlio, in modo inconsueto ma non
irriverente, la chiama donna. Il loro rapporto prescinde dalla
funzione materna. Il figlio la vuole accanto a sé non
perché facente funzione di madre, ma come partner
necessario perché "non è bene che l'uomo sia
solo".
Il nostro testo
dell'Apocalisse ci dice che è una donna splendente che sta
partorendo un figlio, un inedito di Dio. Ed è un segno,
una realtà misteriosa che esprime il nuovo che ha da
nascere. Si capisce allora l'attacco del dragone.
Il dragone: figura del male
Ma chi è il dragone-serpente-satana-diavolo e
perché minaccia la donna?
In nessun altro testo del Nuovo Testamento è così
evidente che i quattro nomi sono sinonimi e indicano il demonio.
È "l'antico serpente, quello che viene chiamato satana,
diavolo, quello che inganna". (Ap 12,9). Il suo colore è
rosso come il sangue versato perché "fin dall'inizio
è omicida" (Gv 3,8). È il principe di questo mondo
(Gv 12,31; 14,31; 16,11). A lui appartengono i regni, il
potere.
Appare raramente nell'Antico Testamento. Satana è
denominativo del verbo satan, essere nemico. È un
termine giuridico ed indica l'accusatore in tribunale (il nostro
Pubblico Ministero). Come dice von Rad: "Ha l'apparenza di un
personaggio letterario per descrivere una situazione di male"
(von Rad, Grande Lessico del Nuovo Testamento, II, 924). Nel
libro di Giobbe fa parte dei figli di Dio ed accusa Giobbe: egli
è giusto perché Dio gli ha dato benessere e figli.
Dio consegna Giobbe a satana. Giobbe, perduto tutto quello che
aveva, arriva a maledire il giorno in cui è nato.
L'intervento di satana scatena la divisione in Giobbe: è
diviso da se stesso ed è lontano da Dio.
É satana che spinge David al censimento del popolo (1Cr
21,1). David vuole ostentare il proprio potere: su quanti comanda
David? Il castigo di Dio arriva implacabile: la peste sugli
israeliti. Ne morirono settantamila. L'intervento di satana
scatena in David l'ansia di potere, il delirio d'onnipotenza.
Satana divide e fa impazzire.
Nel Nuovo Testamento
il diavolo appare nei momenti decisivi della vita di Gesù:
all'inizio, nelle tentazioni che vedremo, e alla fine nel
rinnegamento di Pietro e nel tradimento di Giuda.
Ma perché
satana attenta alla donna? È un rapporto conflittuale fin
dalle origini. Leggiamo in Genesi: il serpente "il più
astuto di tutti gli animali" (3,1) spinge la donna alla
disobbedienza. Per questo viene maledetto da Dio: "Porrò
ostilità fra te e la donna e tra gli eredi tuoi e quelli
della donna. Essi ti schiacceranno il capo e tu li assalirai al
tallone" (3,15). La contrapposizione con la donna si trasferisce
su ogni nato di donna.
Ma se consideriamo
satana figura della situazione di male in cui l'umanità
vive per il peccato del primo uomo e di tutti gli uomini,
compresa me, allora possiamo dire che la tensione è tra
l'uomo e la situazione di peccato in cui nasce. Per questo nel
nostro testo, il piccolo nato di donna viene attaccato dal
demonio, così il piccolo Mosè nei confronti
del faraone, così il piccolo Gesù nei
confronti di Erode. Non è satana, ma è chi detiene
il potere ad aver paura di ogni nato di donna in quanto nuovo,
inedito. Ogni situazione di peccato non vuole cambiamenti, non
accetta nascite se non quelle programmate, magari clonate, non
sopporta processi di crescita se non quelli conosciuti,
stabiliti, recintati. Per questo la donna abitata da un figlio
è una minaccia: porta il nuovo e questo disturba.
Il deserto: luogo di discernimento
Dio porta in salvo la
donna sulle ali della grande aquila nel deserto. Lontano dalla
vita pubblica, il deserto è luogo della solitudine, della
riflessione, delle scelte. Ha il suo punto di riferimento
obbligato nei quaranta anni di esodo degli israeliti. Dopo la
schiavitù, il deserto è il luogo dell'incontro con
Dio, dell'alleanza, della legge, ma anche dell'infedeltà
(il vitello d'oro). Tutto avviene nel deserto, perché un
gruppo di fuoriusciti scelga di farsi popolo e popolo di Dio.
Quindi, deserto come luogo del discernimento e della scelta.
Così anche per
Gesù. Dopo aver ricevuto il battesimo da Giovanni Battista
si reca nel deserto e vi rimane per quaranta giorni. Qui fa le
sue scelte rispondendo a satana che gli prospetta: "Se sei figlio
di Dio fa diventare pane queste pietre", ottenendo così
potere sugli uomini ai quali dà il benessere. E ancora
satana: "Se sei figlio di Dio, buttati dal pinnacolo del tempio.
Gli angeli di Dio ti salveranno", ottenendo potere sugli uomini
perché li stupirà, esibendosi. Com'è attuale
questa tentazione! E ancora satana: "Ti darò potere su i
tutti regni della terra se mi adorerai". Inequivocabili le
risposte di Gesù: non accetta nessuno dei tre poteri
perché "non di solo pane vive l'uomo", "non tenterai il
Signore tuo Dio", "adorerai solo il Signore".
Anche la donna dell' Apocalisse nel deserto è
chiamata a riflettere e a fare scelte. Fino a "un cielo nuovo,
una terra nuova", quando ritroverà il suo splendore
"preparata come una sposa per il suo sposo" (Ap 21,1.2).
Qui e ora: alle prese con una situazione di peccato, stiamo
trascorrendo i nostri quaranta giorni nel deserto della
riflessione, delle scelte, delle decisioni. Quali scelte?
Nel presentare un lavoro di esegesi biblica, il più
eminente dei biblisti, che oggi è una vostra eminenza, mi
scartò l'ultimo foglio sul quale avevo tirato delle
conclusioni, avevo dato un'interpretazione del testo esaminato.
Mi disse: "Tu indichi soltanto i sensi vietati. Fare esegesi
significa garantire ciò che il testo vuol dire e basta.
L'interpretazione spetta a una comunità che prega".
Quindi mi limito a porre, a voi e a me, delle domande.
Nella relazione primaria uomo-donna, questa riesce a tutelare e
a far esprimere l'alterità di cui l'uomo è
portatore ed essere così modello di ogni altra relazione
interpersonale?
E, in questa prospettiva, la donna ha consapevolezza della
responsabilità enorme nei confronti dei figli e del futuro
dell'umanità che può essere migliore se è
positivo il rapporto con il partner?
É preparata ad affrontare, anche con strategie politiche,
il futuro dei figli perché possano crescere e raggiungere
lo shalom, la pienezza di vita e volare sulle ali della grande
aquila? Per alzarsi in volo e non strisciare nella
mediocrità.
Ancora un riferimento biblico: 2002 anni fa due donne, abitate
da un figlio, si incontrano per solidarietà reciproca. Non
parlano di bambini da curare, o forse ne parlano ma poco. Una,
Elisabetta, esprime la prima professione di fede: riconosce il
Signore nel ventre di Maria. L'altra, inusitatamente, annuncia,
alto e solenne come farebbe un rabbino, il programma di Dio
citando le antiche Scritture riservate agli uomini e che lei non
avrebbe dovuto conoscere. Di questo programma se ne assume le
responsabilità per quel tanto che le compete. Non accetta
solo un figlio dal padre scomodo, ma si assume anche la
responsabilità, con il figlio e nel figlio, di attuare le
grandi cose di Dio per gli uomini. Era una donna che volava sulle
ali della grande aquila.
Una pista di lavoro anche per noi? Forse è da prendere in
considerazione uscendo dalle sicurezze da recinto: la
maternità non può circoscriverci, non può
rinchiuderci in una riserva indiana. Il figlio chiede anche un
programma politico per il suo futuro, quindi prepariamoci e
diamoci da fare.
Chiudo con un testo di Lévinas che può aiutarci a
volare come aquile e non come polli, a restare in terra ma a
guardare, sognare, sperare, attuare il cielo: "Io tento di non
presentare la relazione con l'altro come un attributo della mia
sostanzialità, ma al contrario come il fatto della mia
destituzione, della mia deposizione (proprio nel senso della
deposizione di un sovrano). E mi percepisco davanti all'altro
vulnerabile, disarmato. Se non si pone ciò, allora ci
rassegniamo al mondo della rivincita della guerra,
dell'affermazione prioritaria dell'io. Un mondo nel quale siamo
tutti alterati" (Di Dio che viene all'idea, Milano 1983,
l07).
Dal dibattito:
Sull'alterità che non è
complementarità
Io credo che Dio gioisca quando nella coppia incontra i due, non
la "mela intera", perché ogni uomo è un universo a
sé. Quando si è felici insieme non si è
trovato la propria metà ma l'altro, l'altro tutto intero.
Ogni stella è stella, ogni stella non è quello che
manca all'altra stella, è la pluralità.
Occorre guardare all'altro, all'altra come a uno, a una e non
come a quello che ci manca. Altrimenti non riusciremo a
comprendere l'altro, l'altra.
Tutto ciò è complicato, tant'è vero che
Paolo lo chiama "il grande sacramento": l'altro fa parte a
sé e rimane infinitamente straniero, infinitamente
trascendente.
Se si cerca la metà che ti completa, allora l'altro
diventa, come dice Lévinas, parte della mia sostanzialità,
l'altro mi serve per definire me. Con l'altro non costituisci
l'intero: tu sei già un intero, cerca il tuo intero!
Sulla divisione dei ruoli
Sono contraria all'esaltazione dei ruoli, perché sono
contraria ai ruoli. Non dimentichiamoci che è esattamente
dopo il peccato che si spezza l'unità fra i due. Non
è un caso che l'uomo si appropria del nome che li
conteneva entrambi, l'adam, e diventa Adamo: perde
l'articolo e diventa il nome proprio del primo uomo e da padrone
impone alla donna il nome di Eva, rinchiudendola in un ruolo, la
madre. Lui è il lavoratore, lei è la madre. La
divisione è già compiuta: la divisione è una
situazione di peccato che va risolto.
L'importante è che i due ruoli non siano divisi, ma che
siano due ruoli distinti, distinti ma non separati, uniti ma non
confusi.
Sulla misoginia dell'apostolo Paolo
Non esiste la misoginia di Paolo, è una invenzione dei
preti! Avendo dovuto allontanare, per disciplina ecclesiastica e
non per parola di Dio la donna, bisognava che questa donna fosse
demonizzata, fosse svalorizzata si sono quindi lette le parole di
Paolo non correttamente.
Quando in Paolo leggiamo "Le donne tacciano nell'assemblea",
dobbiamo sapere che in realtà Paolo adopera un verbo greco
che va tradotto con chiacchierare: "Le donne non devono
chiacchierare nelle assemblee"
è diverso! Chi di
voi è entrato in una sinagoga vede gli uomini che stanno
sotto e leggono la Torah e vede le donne sopra che parlano di
cosa hanno preparato per pranzo, del vestito del bambino
A
loro non importa niente di quello che sta succedendo giù
perché la Torah non è fatta per loro. É come
se Paolo dicesse: "Non chiacchierate e, se non sapete di che cosa
stanno parlando, fatevi istruire dai vostri mariti": La sua
è una premura verso le donne.
In Paolo leggiamo poi "La donna abbia (e qui la colpa dei preti
emerge in modo eclatante) il velo sul capo, abbia il capo coperto
in segno di sottomissione". Il termine greco usato da Paolo
è "exousìa", autorità. Ho cercato (altro
esercizio di esegesi fattomi fare dal vostro cardinal Martini)
tutte le volte che il termine exousìa appare nella Bibbia,
sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento: l'exousìa
è sempre esercitata in attivo e non subita. In oriente una
donna che si rispetta ha il capo coperto, una donna col capo
coperto non si tocca. Ciò che Paolo vuole dire è
"La donna abbia autorità sul capo e possa così
parlare". É proprio il contrario di ciò che abbiamo
sempre pensato.
Paolo ha avuto bisogno di donne, le donne hanno evangelizzato
con lui, le donne sono state discepole, ha dato tantissimo spazio
alle donne. Basta leggere i saluti della Lettera ai Romani dove
ci sono tante donne che lui ringrazia per aver lavorato con lui:
le chiama addirittura apostole.
Con questo non rivendico assolutamente nessuno spazio femminile
nella gerarchia, cioè, in conclusione, non voglio questo
sacerdozio. Perché non ho questa vocazione e al sacerdozio
ci si arriva solo per vocazione, e perché correrei il
grosso rischio di assimilarmi a un universo che è stato
fino ad oggi soltanto maschile, cioè il rischio di perdere
la mia alterità e di diventare simile a un maschio,
commettendo un reato di lesa umanità, perché
l'umanità ha bisogno di me in quanto altra.
Sul matrimonio
Come nel Cantico dei Cantici: cercarsi, scegliersi, trovarsi,
"vieni amato mio", ma subito dopo "fuggi come piccolo di
cerbiatto, ritorna alla tua libertà". Questo è il
matrimonio: due uni che si scelgono. Duro e faticoso, ma ne vale
la pena.
Occorre sempre lasciare spazio perché l'altro possa
esprimere l'alterità che si porta dentro. Con il marito ma
anche con i figli: occorre essere capaci di fare un passo
indietro perché l'altro cresca, abbia spazio; occorre
cercare sempre la pienezza di vita per l'altro. E allora, in modo
misterioso, lo ritrovi per te.
I matrimoni falliscono non per le due alterità che si
incontrano, nel rispetto ciascuno dell'alterità
dell'altro, caso mai i matrimoni falliscono proprio per il
contrario, perché uno dei due o tutti e due non
riconoscono nell'altro gli stessi propri diritti. Il matrimonio
è questo riconoscersi come altri eppur convivere.
Se conoscessi tutto di mio marito non lo amerei! C'è una
parte di lui che tu non conosci ed è per questo che lo
ami, perché se tu lo conoscessi tutto e non ci fosse nulla
di assolutamente misterioso tu l'avresti già inglobato,
compreso. Deve rimanere infinitamente straniero, infinitamente
trascendente.
Sulla sessualità
Non pensate che il Cantico parli di sessualità, il
Cantico si ferma davanti a una porta il cui attraversamento
è indicibile. Ciò che avviene tra un uomo e una
donna nel loro incontro sessuale è qualcosa che non ha
parole, che non può essere detto. Il Cantico è un
cercarsi, un trovarsi per poi ripartire. Possiamo dire che il
Cantico canta l'innamoramento, ma sui due protagonisti che si
uniscono veramente si stende il velo del mistero più
grande. In quei momenti, non sempre, tocchiamo il cielo con un
dito. È quando percepiamo che io, l'altro, l'uno, siamo
due diversi interi che si uniscono. E non si hanno parole per
dire questa esperienza. Sarebbero parole profananti e diminuenti
il valore: questa è la sessualità. Niente altro
può essere detto. Si capisce come questa unione tra i due
è stata presa come modello dell'unione di Dio con l'uomo:
il grande mistero dell'uomo con il totalmente altro.
È vero poi che la sessualità è anche
garanzia, prova del fuoco: se funziona il matrimonio esiste, se
non funziona il matrimonio non c'è. E questa è la
grande saggezza della mia Chiesa. Con la brutta, orrenda formula
"rato e non consumato", ha detto questo mistero. Lo ha detto
male, ma lo ha detto. La sessualità è la prova del
fuoco, è la garanzia per due che si sono uniti.

|