ARISTIDE FUMAGALLI
PRENDI IL LARGO
Come aquila egli spicca il volo (Ger 48,40)
Spunto
evangelico
L'etica postmoderna
Intermezzo evangelico
La morale cristiana
Conclusione evangelica
L'introduzione di don Mirko Bellora
L'introduzione di don Mirko Bellora
Siamo arrivati all'ultima serata del nostro stupendo Quaresimale
"Su ali di aquila". Tocca a don Aristide Fumagalli: è il
relatore più giovane di tutto il Quaresimale.
Nato nel '62, sacerdote dal '91, è insegnante di teologia
morale nel Seminario di Venegono e presso l'Istituto Superiore di
Scienze Religiose di Milano.
E' il relatore più giovane e insegna teologia morale, la
scienza teologica che ama definirsi come scienza di frontiera,
eppure nei suoi scritti l'ho trovato esperto, navigato, capace di
un dialogo sapiente, aperto, serrato con la
postmodernità.
Don Aristide ha scritto che si è sempre pensato all'etica
cristiana come a un'etica "montana", con in primo piano la fatica
dell'alpinismo, dimenticando la saldezza della roccia.
Convinti che la riconoscenza è forse la categoria
più bella per pensare la risposta morale noi stasera
vogliamo con lui guardare alla saldezza della roccia, alla
potenza creativa della Pasqua di Gesù e imparare a
spiccare il volo "con ali di aquila", diventando così
sempre più cristiani, cioè uomini che amano come
Gesù.
*****
Spunto evangelico
Il titolo di questo intervento: «Prendi il
largo» evoca immediatamente la scena evangelica da cui
è tratto (Lc 5, 1-11). Gesù ingiunge a
Pietro di riprendere la via del mare in vista della pesca. Nulla
di strano che un pescatore sia richiamato al suo lavoro.
Sennonché, Pietro e i suoi compagni sono appena rientrati
da una nottata tanto impegnativa quanto infruttuosa:
«Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo
preso nulla». La risposta di Pietro non sembra avere i toni
dell'irritazione ma, fors'anche per la complicità della
stanchezza, quelli del disincanto. Pescatori come lui, temprati
dall'esperienza, conoscono bene l'incertezza dei risultati e la
delusione delle attese. Uomini di mestiere come Pietro e i suoi
compagni hanno imparato a non farsi illusioni e se mai danno
ascolto a chi, come Gesù, vuole sfidare la dura
realtà delle cose, sembrano farlo per eccesso di
benevolenza. L'atteggiamento disincantato di Pietro sembra avere
qualcosa in comune con l'etica dell'uomo contemporaneo, la
cosiddetta «etica postmoderna».
L'etica postmoderna
Tra i numerosi fattori che propiziano e
caratterizzano la nascita del 'postmoderno' spicca il pensiero
del filosofo Friedrich Nietzsche. È lui che superando in
sfrontatezza e perentorietà la laicità del periodo
moderno, toglie di mezzo senza più paura e timidezza quel
Dio che lungo la storia, dal cielo, aveva inibito l'apparire del
superuomo: «Dio è morto!» annuncia Nietzsche,
e subito precisa che non si tratta di morte naturale, ma di
assassinio: «Noi l'abbiamo ucciso voi ed io!
Siamo noi tutti i suoi assassini»1
. Il tramonto di
Dio dalla scena della vita umana comporta anche il crepuscolo di
ogni dovere morale2. I paladini del postmoderno inneggiano alla
liberazione dal peso degli ideali e dei precetti morali,
invitando a trasgredire i tradizionali confini, ad andare al di
là del bene e del male per entrare nell'«era del
vuoto» e nell'«impero dell'effimero». Le buone
e le cattive azioni umane che la morale, specialmente religiosa,
pensava pesassero sul destino di un uomo al punto da sollevarlo
fino al paradiso o trascinarlo all'inferno, appaiono all'uomo
postmoderno del tutto relative e leggere. La vita è
pesante solo per chi la prende troppo sul serio. Beati quelli che
al peso della morale preferiscono la leggerezza dell'estetica.
Beati quelli che giocano. La metafora più adatta per
indicare l'uomo postmoderno sembra essere quella del
turista3. Il turista gira il mondo sapendo che non
prenderà dimora da nessuna parte e se mai sosterà
in un posto, lo farà fin che ne avrà voglia. Il
turista è extraterritoriale. È ovunque e da nessuna
parte: libero di andare dove vuole. Per la verità un
vincolo sussiste, ed è quello della sua
disponibilità economica. Il grado della sua libertà
è dato dal potere di acquisto. Il contratto d'acquisto
consente al turista di avvicinare chi vuole, allontanandolo
quando vuole. La vicinanza fisica non si trasforma mai in
responsabilità morale. Tutto quello che si deve all'altro
è il prezzo pattuito. Ciò che vale per i servizi
materiali, l'aereo, l'hotel, lo spettacolo e il museo, viene
fatto valere anche nei confronti delle persone. Il piacere
sessuale non viene guastato dal triste pensiero della vittima,
magari piccola, della prostituzione. Il singolo cliente non si
sente responsabile del grande traffico e sfruttamento sessuale,
che non dipende da lui, per cui non può far nulla e con il
quale non vuole aver niente a che fare. Per ciò che gli
compete il cliente rispetta il contratto di compra-vendita. La
sua responsabilità morale scompare dietro il «tutti
lo fanno». Il «tutti lo fanno», constatato
dall'esperienza personale e registrato dalle indagini
sociologiche, viene presto tradotto nell'«allora si
può fare». Del resto, ciò che lui potrebbe
evitare, sarebbe comunque fatto da innumerevoli altri. Nessuno
come il turista si dissolve nel numero, nessuno è come lui
interscambiabile. La metafora del turista che non conosce confini
se non quelli dettati dal suo portafoglio ben si adatta alla
condotta morale dell'uomo postmoderno, priva di regole che non
siano quelle stabilite in proprio. Individualismo della
libertà e relativismo della morale vanno a braccetto. Il
turismo morale, libertario e relativista, deve però fare i
conti con la realtà. Alla prova dei fatti sembra
trasformarsi in un miraggio, continuamente rincorso e mai
raggiunto. La libertà individuale deve fare i conti con
quella degli altri4. E questo non solo nel caso che sia avida di
conquista, e dunque invada il terreno altrui, ma anche nel caso
in cui tema di essere conquistata, e voglia dunque difendersi.
Non è un caso che proprio le società postmoderne,
alla continua ricerca di espandere gli spazi di libertà,
vedano incrementarsi a dismisura le leggi e le regole. Slegata da
ogni riferimento morale, la libertà si ritrova soffocata
da mille regolamenti. I luoghi emblematici in cui la
necessità dell'etica torna prepotentemente alla ribalta
riguardano tutte le principali dimensione della vita umana. La
dimensione della vita personale deve oggi far fronte alle
inquietanti scoperte della bioingegneria che giungono a
manipolare lo stesso patrimonio genetico che contraddistingue la
specie umana. La vita sociale, strattonata per un verso dai
processi di globalizzazione e per altro verso dai particolarismi
regionali ed etnici, vede alzarsi il tasso di
conflittualità e di violenza. Lo scontro sociale trova
enfasi e giustificazione nel fondamentalismo religioso, che
impugna la fede quale arma contro l'infedele e l'eretico. Ad
urgere l'istanza etica nella vita personale, sociale e religiosa
contribuisce l'impazienza, quella sorta di violenza nei confronti
dei ritmi e dei tempi dell'umano vivere, che la cultura del
«tutto e subito» ha inoculato nell'individuo
postmoderno. L'uomo postmoderno si trova stretto in una
situazione paradossale: da una parte deciso a non aver altra
regola che la propria libertà, dall'altra ansioso di
regole che la proteggano. Entro questo paradosso, il pensiero
laico rivendica la possibilità di un'etica. La coraggiosa
consapevolezza della sua paradossalità, viene anzi
ritenuta il tratto proprio e la forza tipica dell'etica
postmoderna5. La pluralità delle proposte avanzate
inviterebbero per la verità non a parlare di
«etica» ma di «etiche» postmoderne6. Un tratto
tipico sembra tuttavia accomunarle, e cioè il fatto che
appoggiano tutte sulle spalle dell'uomo, confidando nella sua
responsabilità. Scrive un filosofo italiano: «Se
l'etica è diventare responsabili di sé, se equivale
a prendere su di sé il proprio peso, allora è
necessario ripiegarsi su se stessi, divenire punto di resistenza.
Non solo contro le pressioni che vengono da fuori, ma anche da
ciò che ci sconvolge da dentro. In un universo che non ha
più riferimenti stabili è necessario darsi
stabilità»7. La fiducia
sulla capacità dell'uomo di sostenere in piena autonomia
il peso delle esigenze morali non è ingenua. I sostenitori
dell'etica postmoderna sono anzi lucidamente consapevoli
dell'incertezza e della labilità di una morale fondata
sulla sola libertà. Ecco le eloquenti parole di un suo
esponente di spicco: «Nessun'etica armoniosa può
essere costruita in questo luogo: su questo terreno, solo gli
sparsi germogli dell'ansia morale senza fine, senza sbocchi,
cresceranno a profusione. Questo fondamento promette tutto
fuorché l'armonia architettonica e la pace dello spirito
di coloro che vi abitano. [
] Il fondamento della morale
è esattamente quest'incertezza senza via di scampo. Si
riconosce la morale dal suo senso tormentoso di incompiutezza,
dal suo endemico esser scontenta di sé. L'io morale
è un io sempre tormentato dal sospetto di non essere
abbastanza morale»8. L'ansia
dell'incertezza, per quanto tormentosa, è d'altra parte
l'inevitabile prezzo che la libertà deve pagare per
sottrarsi alla tutela di ogni autorità morale, anzitutto
quella religiosa, e poter creare da sé i propri valori.
Ritroviamo a questo punto la voce di Nietzsche: «Alla
notizia che il "vecchio Dio è morto", ci sentiamo come
illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne
straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presagio, d'attesa
finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche
ammettendo che non è sereno, finalmente possiamo di nuovo
sciogliere le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni
pericolo; ogni rischio dell'uomo della conoscenza è di
nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora
aperto dinanzi, forse non vi è mai stato un mare
così "aperto"»9. A compendio di
questo schizzo dell'etica postmoderna, che reca in filigrana il
pensiero di Nietzsche, si potrebbe ricordare la sua celebre
descrizione delle tre metamorfosi che consentono allo spirito
umano di divenire totalmente autonomo10. Sotto il
peso della morale tradizionale, specialmente religiosa, l'uomo
«si inginocchia, simile al cammello, e vuol essere ben
caricato». A questa prima metamorfosi succede la seconda,
che scatta quando lo spirito umano si ribella alla sottomissione
e vuole diventare autonomo: il cammello allora diventa leone,
«vuole impossessarsi della libertà ed essere signore
nel suo deserto». Il leone si limita però a lottare
contro i valori e le regole della vecchia morale tradizionale ma
ancora non sa crearne una nuova. Per questo il leone deve
trasformarsi in fanciullo, il quale, innocente e ignaro,
semplicemente inventa il suo gioco.
Intermezzo evangelico
Dopo aver tratteggiato la fisionomia dell'etica
postmoderna e prima di passare a caratterizzare la morale
cristiana, torniamo per un breve intermezzo alla scena evangelica
da cui abbiamo preso spunto, consentendo a Pietro di concludere
la frase sulla quale l'avevamo interrotto. Alle parole del
disincanto: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non
abbiamo preso nulla», Pietro fa seguire le parole
dell'affidamento: «ma sulla tua parola getterò le
reti». Il tono postmoderno della voce e dell'atteggiamento
di Pietro si tramuta nel timbro credente della professione di
fede e dell'agire che ne consegue: Pietro prende il largo. Non lo
fa per scienza propria e nemmeno per sfidare coraggiosamente il
mare, ma solo confidando nell'affidabilità della parola di
Gesù. Così facendo, Pietro ci accompagna entro il
segreto della morale cristiana. Che sia lo stesso Pietro ad aver
assunto prima un atteggiamento dai tratti postmoderni e ora
quelli del credente lascia indovinare come la linea di confine
tra la tentazione dell'etica autonoma e l'opportunità
della morale cristiana non divida gli uomini in due gruppi, ma
passi nel cuore di ciascun uomo.
La morale cristiana
Un paradigma eccellente per descrivere la morale
cristiana è certo quello narrato nel libro biblico
dell'Esodo. Il senso dell'esperienza esodica può essere
sinteticamente richiamato dalle prime parole che Jhwh rivolge a
Mosé sul monte Sinai: «Questo dirai alla casa di
Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: Voi stessi avete visto
ciò che io ho fatto all'Egitto e come ho sollevato voi su
ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me» (Es
19, 3-4). Questo breve testo mette in chiara luce il fondamento
teologico della morale biblica: è il Signore che consente
il cammino del popolo, al punto che il popolo si sente come
sollevato in volo. L'esperienza esodica di Israele trova nella
Pasqua di Gesù singolare compimento. Così lui
stesso la prospetta: «Io, quando sarò elevato da
terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Le
parole di Gesù invitano a concepire la morale cristiana in
relazione all'attrazione universale e potente di Cristo. L'agire
morale dell'uomo, in prospettiva cristiana, dipende dall'agire di
Cristo che lo suscita, lo orienta, lo sostiene. A questo riguardo
le parole di Gesù suonano perentorie: «senza di me
non potete far nulla» (Gv 15,5). La
radicalità di questa prospettiva è stata
brillantemente riespressa da una delle menti più fervide
del cristianesimo contemporaneo, C. S. Lewis.
L'idea comune che abbiamo tutti prima di diventare cristiani
è la seguente. Noi prendiamo come punto di partenza il
nostro io ordinario, con i suoi vari desideri e interessi. Poi
ammettiamo che qualcos'altro - si chiami "morale", "correttezza"
o il "bene della società" - avanza delle pretese su questo
io: pretese che interferiscono con i suoi desideri. Ciò
che intendiamo per "essere buoni" è cedere a tali pretese.
Alcune cose, che l'io ordinario desiderava fare risultano
"sbagliate": bene, dobbiamo rinunciarvi. Altre cose, che l'io non
aveva voglia di fare, risultano "giuste": bene, dovremo farle. Ma
continuiamo a sperare che una volta soddisfatte tutte queste
pretese, il povero io naturale avrà ancora qualche
possibilità, e un po' di tempo, per vivere a modo suo e
fare ciò che gli piace. Di fatto, assomigliamo molto a un
onest'uomo che paga le tasse: le paga puntualmente, ma spera che
gli resti abbastanza per vivere. Perché prendiamo ancora
il nostro io naturale come punto di partenza.
Fino a quando la penseremo così, otterremo probabilmente
uno di questi due risultati: o rinunceremo al tentativo di essere
buoni, o saremo infelicissimi. Infatti, siatene certi: all'io
naturale, se davvero cercherete di soddisfare tutte le richieste
che gli vengono fatte, non resterà abbastanza di che
vivere. Più obbedite alla vostra coscienza, più la
coscienza esigerà da voi. E il vostro io naturale,
affamato, ostacolato e tartassato a ogni piè sospinto,
cadrà in preda a una rabbia crescente. Alla fine, o
smetterete di tentare di essere buoni, oppure diventerete una di
quelle persone che, come si suol dire, "vivono per gli altri": ma
sempre scontente, brontolando, chiedendosi sempre perché
gli altri non ne tengano maggior conto, considerandosi sempre dei
martiri. E una volta diventati così, sarete per chiunque
debba vivere con voi un tormento molto peggiore che se foste
rimasti francamente egoisti.
La via cristiana è diversa: più difficile, e
più facile. Cristo dice: "Dammi tutto. Io non voglio un
tanto del tuo tempo e un tanto del tuo denaro e un tanto del tuo
lavoro: voglio te. Non sono venuto a tormentare il tuo io
naturale, ma a ucciderlo. Le mezze misure non servono. Non voglio
tagliare un ramo qui e uno là, voglio abbattere tutto
l'albero. Non voglio trapanare il dente, incapsularlo, otturarlo,
ma estrarlo. Deponi tutto il tuo io naturale, tutti i desideri,
quelli che ti paiono innocenti come quelli che ti paiono malvagi
- tutto quanto. In cambio ti darò un nuovo io. Ti
darò, in realtà, me stesso: la mia volontà
diventerà la tua"11.
Una simile dipendenza sembrerebbe contrastare diametralmente il
tentativo postmoderno di una morale della sola libertà,
indipendente e autonoma. Assecondare la volontà divina,
dichiarando come Cristo ha insegnato a fare: «sia fatta la
tua volontà» non significa rinnegare la
libertà umana? Giungere ad affermare, come S. Paolo:
«non sono più io che vivo, ma Cristo vive in
me» (Gal 2,20) non vuol dire soppiantare ogni
autonomia dell'uomo? Ma a questo punto che resta dell'uomo? Non
finisce per dissolversi in Dio?
In effetti, il concedere totalmente all'altro di entrare nella
propria vita può divenire il lasciapassare per la sua
violenza. A meno che l'altro non sia l'Amore. Allora il legame
più stretto, non è più catena ma alleanza.
La morale cristiana è propriamente l'alleanza di Dio con
l'uomo. E il paradosso cristiano consiste precisamente nel
credere che la dipendenza da Dio non sia la negazione ma la
possibilità stessa della libertà di esistere e di
agire. «Io sono la vera vite insegna Gesù
e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in
me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto,
lo pota perché porti più frutto» (Gv
15,1-2). Il pensiero giunge qui a sfiorare il segreto del
rapporto tra grazia divina e libertà umana12. Senza certo
la pretesa di svelare ciò che da sempre affatica le menti
più acute della teologia cristiana, vorremmo tuttavia
almeno alludere a come tale segreto s'inscriva nella logica
dell'amore cristiano. Ci affidiamo per questo al celebre
Trattato dell'amor di Dio del grande S. Francesco di
Sales.
È fuor di dubbio, Teotimo, che non siamo attirati verso
Dio con catene di ferro, come tori e bufali, ma mediante inviti,
attrattive deliziose e sante ispirazioni [
]. In tal modo,
carissimo Teotimo, il nostro libero arbitrio non viene in alcun
modo forzato o condizionato dalla grazia; anzi, nonostante la
forza onnipotente della mano della misericordia di Dio, che
tocca, circonda e avvince l'anima con tante ispirazioni, richiami
ed attrattive, la volontà umana rimane perfettamente
libera, padrona di sé e al di fuori di ogni stato di
costrizione e di necessità.
La grazia è così delicata e prende così
delicatamente i nostri cuori per attirarli, che non altera nulla
nella libertà della nostra volontà; tocca con
forza, ciononostante con tanta delicatezza, le molle del nostro
spirito, che il nostro libero arbitrio non ne riceve alcuna
forzatura; la grazia ha forza, non per costringere, ma per
attirare il cuore; possiede una santa violenza, non per violare,
ma per rendere amorosa la nostra libertà; agisce con
forza, ma tanto soavemente, che la nostra volontà non
rimane schiacciata sotto un'azione così potente; ci
spinge, ma non soffoca la nostra libertà: per cui ci
è possibile, di fronte a tutta la sua potenza, consentire
o resistere ai suoi movimenti, a nostro piacimento13.
Con l'abilità che gli è propria, S. Francesco di
Sales allevia la fatica del pensiero con una metafora che
descrive come il vento consenta agli uccelli, anche a quelli
incapaci di darsi slancio, di spiccare il volo.
Lo stesso vento, che solleva gli apodi, colpisce prima le penne,
quali parte più leggere e sensibili alla sua azione, che
inizia col dare movimento alle loro ali, aprendole e
dispiegandole in modo che favoriscano la presa, per poter
agganciare l'uccello e sollevarlo in aria. E se l'apodo,
così sollevato, collabora col movimento delle ali a quello
del vento, lo stesso vento che gli ha dato la prima spinta, lo
aiuterà a volare sempre più facilmente.
Così, mio caro Teotimo, quando l'ispirazione, simile ad un
vento sacro, viene per sollevarci nell'aria del suo santo amore,
agisce sulla nostra volontà e, per mezzo del sentimento di
un diletto celeste la muove, aprendo e dispiegando l'inclinazione
naturale che ha per il bene, in modo che tale inclinazione le
offra la presa per afferrare il nostro spirito. Tutto ciò,
come ho già detto, avviene in noi senza di noi,
perché è il favore divino che ci previene in questo
modo. Se poi il nostro spirito, così santamente prevenuto,
sentendo le ali della propria inclinazione mosse, aperte,
distese, spinte e agitate da quel vento celeste, contribuisce per
poco che sia, con il proprio consenso, quale felicità,
Teotimo; infatti la stessa ispirazione o favore che ci ha mosso,
confondendo la propria azione col nostro consenso, animando i
nostri deboli sforzi con la sua energia, dando vita alla nostra
fiacca cooperazione con la potenza della sua azione, ci
aiuterà, ci guiderà, ci accompagnerà di
amore in amore, fino all'atto della santa fede, necessario per la
nostra conversione14.
L'amore cristiano non è impalpabile sensazione e volatile
sentimento ma si esprime in parole e gesti. Per questo Cristo si
è fatto parola, segno concreto, fratello. Gesù ha
legato la sua presenza alla Parola del Vangelo; Gesù ha
legato il suo amore ai sacramenti, massimamente all'Eucaristia;
Gesù si è indissolubilmente legato agli altri, in
specie ai poveri e agli ultimi tra gli uomini. Attraverso la
parola, i sacramenti, l'amore vicendevole, lo Spirito amorevole
di Cristo raggiunge l'intimità di chi lo accoglie
riversandosi nel suo cuore (cf Rm 5,5). Dove giunge lo
Spirito, la libertà è liberata dal miraggio
dell'autonomia, e resa veramente libera di amare: «Il
Signore è lo Spirito e dove c'è lo Spirito del
Signore c'è libertà» (2 Cor 3,17).
Ma come può la libertà umana acconsentire allo
Spirito divino? Qual è la vela in grado di raccoglierne il
soffio e decifrarne la direzione? C'è un luogo segreto in
ogni persona, una sorta di torre di controllo in grado di
riconoscere i segni dell'amore di Dio e di disporre il piano per
corrispondervi. La chiamano «coscienza»15. La coscienza
è in dotazione della libertà dell'uomo e l'uomo
può liberamente disattenderne i segnali. Ma una coscienza
privata dei segnali dello Spirito è come una vela senza
vento: inutile. Per questo la legge principale della coscienza
è quella di mantenersi sotto la guida dello Spirito, in
ascolto cioè della parola del Vangelo, a contatto con i
sacramenti della vita cristiana, in prossimità degli altri
bisognosi. Formare la coscienza è garantire che stia in
contatto con lo Spirito, impedendo che, come la vela priva di
vento, finisca per aggrovigliarsi su se stessa. La morale
cristiana appare insieme più pessimista e più
ottimista dell'etica laica postmoderna. Decisamente più
pessimista circa la capacità di autonomia della
libertà; assai più ottimista sulla
possibilità della libertà di realizzare, grazie
all'amore di Dio, anche l'impossibile. Nella misura in cui la
libertà cor-risponde all'amore di Dio viene abilitata a
vivere come Lui, a librarsi nella vita così come
un'aquila, sostenuta dal vento, vola alta nel cielo.
Anche Gesù, ben prima di Nietzsche, aveva indicato in un
fanciullo la figura della libertà compiuta, finalmente
liberata: «Gesù chiamò a sé un
bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verità vi
dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini,
non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque
diventerà piccolo come questo bambino, sarà il
più grande nel regno dei cieli"» (Mt 18,2-4).
A differenza di Nietzsche, Gesù non aveva però
dimenticato che la giocosa creatività di un fanciullo
è possibile nella misura in cui qualcuno, un padre buono,
gli assicura e si prende cura della sua vita.
Ridotta all'essenziale, l'alternativa tra etica postmoderna e
morale cristiana ripropone all'uomo il dilemma di sempre:
confidare in se stesso oppure affidarsi a Dio. Il mito di Sisifo
raccontato nell'Odissea esprime forse ancor oggi, la condizione
dell'uomo che pretende di reggere da solo il peso del bene.
«E vidi Sisifo, che pene atroci soffriva reggendo con
entrambi le mani un masso immenso. Costui, piantando le mani e i
piedi, spingeva su un colle la pietra: ma appena stava per
varcarne la cresta, ecco la Violenza travolgerlo; e rotolava al
piano di nuovo la pietra impudente. Ed egli tenendosi spingeva di
nuovo: dalle membra gli colava il sudore, dal suo capo si levava
la polvere»16. Dalla faticosa e vana pretesa dell'uomo di
scalare da solo le vette del bene, si distanzia l'esperienza
dell'uomo che viene sollevato, come su ali d'aquila, fino alle
altezze dell'amore divino. Proprio così Dante, nella
Divina Commedia, sogna l'esperienza della grazia. «In sogno
mi parea veder sospesa un'aguglia nel ciel con penne d'oro, con
l'ali aperte e a calare intesa; [
] Poi mi parea che, rotata
un poco, terribil come folgor discendesse, e me rapisse suso
infino al foco»17.
Conclusione evangelica
Abbiamo introdotto questo intervento ascoltando
l'invito rivolto da Gesù a Pietro: «Prendi il
largo». Ad esso torniamo per concludere. È
sorprendente notare come, nelle diverse lingue, il medesimo
invito suoni diversamente. L'espressione tedesca: «Fahr
hinaus auf den See», come pure quella spagnola:
«Lleva la barca mar adentro» alludono al
movimento di spingere la barca in fuori per addentrarsi nel mare,
lasciando intendere la lunghezza del mare. La lingua latina fa
invece riferimento all'altezza: «Duc in
altum». La lingua greca, inglese e francese alla
profondità: «'Epanágage eis tò
báthos», «Put out into deep
water», «Avance en eau profonde». Le
differenti espressioni, pur indicando dimensioni diverse
larghezza, lunghezza, altezza e profondità
riguardano tutte la medesima vastità del mare. Potremmo
raccoglierle dicendo: «Prendi il largo, fin in alto mare,
dove esso è più profondo».
Nella sua polifonica accezione, l'invito di Gesù a Pietro
si propone come una metafora per l'uomo e la donna contemporanei
che, ignorando o sospettando l'amore di Dio, si trattengono sulla
spiaggia delle loro apparenti sicurezze oppure al massimo si
limitano a sguazzare presso la riva. Forse proprio per loro vale
l'incoraggiamento e l'augurio di prendere il largo nell'amore
divino così interpretato dalla lettera agli Efesini:
«Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e
così, radicati e fondati nella carità, siate in
grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la
lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore
di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate
ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef
3,17-19).
1
Cf. F Nietzsche, La gaia scienza in Opere,
Milano, Adelphi, 1965, vol. V, t. II, 129-130.
2 G.
Lipovetsky, Le Crépuscule du
devoir, Paris, Gallimard, 1992.
3Z. Bauman,
Le sfide dell'etica, Milano, Feltrinelli, 1996,
244-249.
4 F. Buzzi,
Parte seconda. La coscienza in azione, in: E. Borghi - F.
Buzzi, La coscienza di essere umani. Percorsi biblici e
filosofici per un agire etico (= In cammino), Milano, Ancora,
2001, 63-65.
5 V. Franco,
Etiche possibili. Il paradosso della morale dopo la morte di
Dio, Roma, Donzelli, 1996.
6 Una
rassegna delle posizioni presenti sul panorama italiano è
offerta da: MicroMega. Almanacco di filosofia 1997, Roma,
Editrice Periodici Culturali, 1997.
7 S. Natoli,
«Etica oggi», in Tra coscienza e storia. Il
problema dell'etica in Romano Guardini. Atti del convegno tenuto
a Trento il 15-16 dicembre 1998, a cura di M. Nicoletti-S.
Zucal, Brescia, Morcelliana, 1999, 47.
8 Z. Bauman, Le
sfide dell'etica, Milano, Feltrinelli, 1996, 85-86.
9 F
Nietzsche, La gaia scienza in Opere, Milano,
Adelphi, 1965, vol. V, t. II, 129.
10 F. W.
Nietzsche, Così parlò Zarathustra, (= I
classici della BUR), Milano, BUR, 1985, 43-45.
11 C.S.
Lewis, Il cristianesimo così com'è, Milano,
Adelphi, 1997, 236-238.
12 La
questione del rapporto tra grazia e libertà trova
già lucida espressione nella teologia neotestamentaria, in
specie nella tesi paolina della giustificazione per mezzo della
fede e non delle opere della legge giudaica. La questione
attraversa poi l'intera tradizione dalla polemica antipelagiana
di Agostino fino alle recente ecumenica Dichiarazione
sulla giustificazione sottoscritta in comune dal
Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani e dalla
Federazione luterana mondiale (cf. Dossier sulla
giustificazione. La dichiarazione congiunta cattolico-luterana,
commento e dibattito teologico, a cura di A. Maffeis (=
Giornale di Teologia 276), Brescia, Queriniana, 2000) passando
per la riforma di Lutero e la controriforma tridentina, come pure
per l'intricata controversia teologica De Auxiliis.
13 S.
Francesco di Sales, Trattato dell'amor di Dio (= Letture
cristiane del secondo millennio 6), Milano, Paoline,
21996, 220-221.
14
Ibid.,224-225.
15 «La
coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario
dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona
nell'intimità propria» (Gaudium et Spes,
16).
16
Omero, Odissea, (= Classici
Greci e Latini 7), Arnoldo Mondadori, 1991, libro XI, righe
593-600.
17 Dante
Alighieri, La Divina Commedia, IX, 19-21.28-30. In
parafrasi: «A me sembrava di vedere in sogno un'aquila
dalle penne d'oro librata in cielo, con le ali aperte e intenta a
scendere; [
] Poi mi sembrava che, dopo aver volteggiato un
po', discendesse terribile come una folgore e mi rapisse su in
alto alla sfera del fuoco».

|