ARISTIDE FUMAGALLI

PRENDI IL LARGO

Come aquila egli spicca il volo (Ger 48,40)


volo

Spunto evangelico
L'etica postmoderna
Intermezzo evangelico
La morale cristiana
Conclusione evangelica


L'introduzione di don Mirko Bellora

L'introduzione di don Mirko Bellora
Siamo arrivati all'ultima serata del nostro stupendo Quaresimale "Su ali di aquila". Tocca a don Aristide Fumagalli: è il relatore più giovane di tutto il Quaresimale.
Nato nel '62, sacerdote dal '91, è insegnante di teologia morale nel Seminario di Venegono e presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano.
E' il relatore più giovane e insegna teologia morale, la scienza teologica che ama definirsi come scienza di frontiera, eppure nei suoi scritti l'ho trovato esperto, navigato, capace di un dialogo sapiente, aperto, serrato con la postmodernità.
Don Aristide ha scritto che si è sempre pensato all'etica cristiana come a un'etica "montana", con in primo piano la fatica dell'alpinismo, dimenticando la saldezza della roccia.
Convinti che la riconoscenza è forse la categoria più bella per pensare la risposta morale noi stasera vogliamo con lui guardare alla saldezza della roccia, alla potenza creativa della Pasqua di Gesù e imparare a spiccare il volo "con ali di aquila", diventando così sempre più cristiani, cioè uomini che amano come Gesù.


*****

Spunto evangelico
Il titolo di questo intervento: «Prendi il largo» evoca immediatamente la scena evangelica da cui è tratto (Lc 5, 1-11). Gesù ingiunge a Pietro di riprendere la via del mare in vista della pesca. Nulla di strano che un pescatore sia richiamato al suo lavoro. Sennonché, Pietro e i suoi compagni sono appena rientrati da una nottata tanto impegnativa quanto infruttuosa: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla». La risposta di Pietro non sembra avere i toni dell'irritazione ma, fors'anche per la complicità della stanchezza, quelli del disincanto. Pescatori come lui, temprati dall'esperienza, conoscono bene l'incertezza dei risultati e la delusione delle attese. Uomini di mestiere come Pietro e i suoi compagni hanno imparato a non farsi illusioni e se mai danno ascolto a chi, come Gesù, vuole sfidare la dura realtà delle cose, sembrano farlo per eccesso di benevolenza. L'atteggiamento disincantato di Pietro sembra avere qualcosa in comune con l'etica dell'uomo contemporaneo, la cosiddetta «etica postmoderna».

L'etica postmoderna
Tra i numerosi fattori che propiziano e caratterizzano la nascita del 'postmoderno' spicca il pensiero del filosofo Friedrich Nietzsche. È lui che superando in sfrontatezza e perentorietà la laicità del periodo moderno, toglie di mezzo senza più paura e timidezza quel Dio che lungo la storia, dal cielo, aveva inibito l'apparire del superuomo: «Dio è morto!» annuncia Nietzsche, e subito precisa che non si tratta di morte naturale, ma di assassinio: «Noi l'abbiamo ucciso – voi ed io! Siamo noi tutti i suoi assassini»1 . Il tramonto di Dio dalla scena della vita umana comporta anche il crepuscolo di ogni dovere morale2. I paladini del postmoderno inneggiano alla liberazione dal peso degli ideali e dei precetti morali, invitando a trasgredire i tradizionali confini, ad andare al di là del bene e del male per entrare nell'«era del vuoto» e nell'«impero dell'effimero». Le buone e le cattive azioni umane che la morale, specialmente religiosa, pensava pesassero sul destino di un uomo al punto da sollevarlo fino al paradiso o trascinarlo all'inferno, appaiono all'uomo postmoderno del tutto relative e leggere. La vita è pesante solo per chi la prende troppo sul serio. Beati quelli che al peso della morale preferiscono la leggerezza dell'estetica. Beati quelli che giocano. La metafora più adatta per indicare l'uomo postmoderno sembra essere quella del turista3. Il turista gira il mondo sapendo che non prenderà dimora da nessuna parte e se mai sosterà in un posto, lo farà fin che ne avrà voglia. Il turista è extraterritoriale. È ovunque e da nessuna parte: libero di andare dove vuole. Per la verità un vincolo sussiste, ed è quello della sua disponibilità economica. Il grado della sua libertà è dato dal potere di acquisto. Il contratto d'acquisto consente al turista di avvicinare chi vuole, allontanandolo quando vuole. La vicinanza fisica non si trasforma mai in responsabilità morale. Tutto quello che si deve all'altro è il prezzo pattuito. Ciò che vale per i servizi materiali, l'aereo, l'hotel, lo spettacolo e il museo, viene fatto valere anche nei confronti delle persone. Il piacere sessuale non viene guastato dal triste pensiero della vittima, magari piccola, della prostituzione. Il singolo cliente non si sente responsabile del grande traffico e sfruttamento sessuale, che non dipende da lui, per cui non può far nulla e con il quale non vuole aver niente a che fare. Per ciò che gli compete il cliente rispetta il contratto di compra-vendita. La sua responsabilità morale scompare dietro il «tutti lo fanno». Il «tutti lo fanno», constatato dall'esperienza personale e registrato dalle indagini sociologiche, viene presto tradotto nell'«allora si può fare». Del resto, ciò che lui potrebbe evitare, sarebbe comunque fatto da innumerevoli altri. Nessuno come il turista si dissolve nel numero, nessuno è come lui interscambiabile. La metafora del turista che non conosce confini se non quelli dettati dal suo portafoglio ben si adatta alla condotta morale dell'uomo postmoderno, priva di regole che non siano quelle stabilite in proprio. Individualismo della libertà e relativismo della morale vanno a braccetto. Il turismo morale, libertario e relativista, deve però fare i conti con la realtà. Alla prova dei fatti sembra trasformarsi in un miraggio, continuamente rincorso e mai raggiunto. La libertà individuale deve fare i conti con quella degli altri4. E questo non solo nel caso che sia avida di conquista, e dunque invada il terreno altrui, ma anche nel caso in cui tema di essere conquistata, e voglia dunque difendersi. Non è un caso che proprio le società postmoderne, alla continua ricerca di espandere gli spazi di libertà, vedano incrementarsi a dismisura le leggi e le regole. Slegata da ogni riferimento morale, la libertà si ritrova soffocata da mille regolamenti. I luoghi emblematici in cui la necessità dell'etica torna prepotentemente alla ribalta riguardano tutte le principali dimensione della vita umana. La dimensione della vita personale deve oggi far fronte alle inquietanti scoperte della bioingegneria che giungono a manipolare lo stesso patrimonio genetico che contraddistingue la specie umana. La vita sociale, strattonata per un verso dai processi di globalizzazione e per altro verso dai particolarismi regionali ed etnici, vede alzarsi il tasso di conflittualità e di violenza. Lo scontro sociale trova enfasi e giustificazione nel fondamentalismo religioso, che impugna la fede quale arma contro l'infedele e l'eretico. Ad urgere l'istanza etica nella vita personale, sociale e religiosa contribuisce l'impazienza, quella sorta di violenza nei confronti dei ritmi e dei tempi dell'umano vivere, che la cultura del «tutto e subito» ha inoculato nell'individuo postmoderno. L'uomo postmoderno si trova stretto in una situazione paradossale: da una parte deciso a non aver altra regola che la propria libertà, dall'altra ansioso di regole che la proteggano. Entro questo paradosso, il pensiero laico rivendica la possibilità di un'etica. La coraggiosa consapevolezza della sua paradossalità, viene anzi ritenuta il tratto proprio e la forza tipica dell'etica postmoderna5. La pluralità delle proposte avanzate inviterebbero per la verità non a parlare di «etica» ma di «etiche» postmoderne6. Un tratto tipico sembra tuttavia accomunarle, e cioè il fatto che appoggiano tutte sulle spalle dell'uomo, confidando nella sua responsabilità. Scrive un filosofo italiano: «Se l'etica è diventare responsabili di sé, se equivale a prendere su di sé il proprio peso, allora è necessario ripiegarsi su se stessi, divenire punto di resistenza. Non solo contro le pressioni che vengono da fuori, ma anche da ciò che ci sconvolge da dentro. In un universo che non ha più riferimenti stabili è necessario darsi stabilità»7. La fiducia sulla capacità dell'uomo di sostenere in piena autonomia il peso delle esigenze morali non è ingenua. I sostenitori dell'etica postmoderna sono anzi lucidamente consapevoli dell'incertezza e della labilità di una morale fondata sulla sola libertà. Ecco le eloquenti parole di un suo esponente di spicco: «Nessun'etica armoniosa può essere costruita in questo luogo: su questo terreno, solo gli sparsi germogli dell'ansia morale senza fine, senza sbocchi, cresceranno a profusione. Questo fondamento promette tutto fuorché l'armonia architettonica e la pace dello spirito di coloro che vi abitano. […] Il fondamento della morale è esattamente quest'incertezza senza via di scampo. Si riconosce la morale dal suo senso tormentoso di incompiutezza, dal suo endemico esser scontenta di sé. L'io morale è un io sempre tormentato dal sospetto di non essere abbastanza morale»8. L'ansia dell'incertezza, per quanto tormentosa, è d'altra parte l'inevitabile prezzo che la libertà deve pagare per sottrarsi alla tutela di ogni autorità morale, anzitutto quella religiosa, e poter creare da sé i propri valori. Ritroviamo a questo punto la voce di Nietzsche: «Alla notizia che il "vecchio Dio è morto", ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presagio, d'attesa – finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, finalmente possiamo di nuovo sciogliere le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell'uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è mai stato un mare così "aperto"»9. A compendio di questo schizzo dell'etica postmoderna, che reca in filigrana il pensiero di Nietzsche, si potrebbe ricordare la sua celebre descrizione delle tre metamorfosi che consentono allo spirito umano di divenire totalmente autonomo10. Sotto il peso della morale tradizionale, specialmente religiosa, l'uomo «si inginocchia, simile al cammello, e vuol essere ben caricato». A questa prima metamorfosi succede la seconda, che scatta quando lo spirito umano si ribella alla sottomissione e vuole diventare autonomo: il cammello allora diventa leone, «vuole impossessarsi della libertà ed essere signore nel suo deserto». Il leone si limita però a lottare contro i valori e le regole della vecchia morale tradizionale ma ancora non sa crearne una nuova. Per questo il leone deve trasformarsi in fanciullo, il quale, innocente e ignaro, semplicemente inventa il suo gioco.  

Intermezzo evangelico
Dopo aver tratteggiato la fisionomia dell'etica postmoderna e prima di passare a caratterizzare la morale cristiana, torniamo per un breve intermezzo alla scena evangelica da cui abbiamo preso spunto, consentendo a Pietro di concludere la frase sulla quale l'avevamo interrotto. Alle parole del disincanto: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla», Pietro fa seguire le parole dell'affidamento: «ma sulla tua parola getterò le reti». Il tono postmoderno della voce e dell'atteggiamento di Pietro si tramuta nel timbro credente della professione di fede e dell'agire che ne consegue: Pietro prende il largo. Non lo fa per scienza propria e nemmeno per sfidare coraggiosamente il mare, ma solo confidando nell'affidabilità della parola di Gesù. Così facendo, Pietro ci accompagna entro il segreto della morale cristiana. Che sia lo stesso Pietro ad aver assunto prima un atteggiamento dai tratti postmoderni e ora quelli del credente lascia indovinare come la linea di confine tra la tentazione dell'etica autonoma e l'opportunità della morale cristiana non divida gli uomini in due gruppi, ma passi nel cuore di ciascun uomo.
 

La morale cristiana
Un paradigma eccellente per descrivere la morale cristiana è certo quello narrato nel libro biblico dell'Esodo. Il senso dell'esperienza esodica può essere sinteticamente richiamato dalle prime parole che Jhwh rivolge a Mosé sul monte Sinai: «Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me» (Es 19, 3-4). Questo breve testo mette in chiara luce il fondamento teologico della morale biblica: è il Signore che consente il cammino del popolo, al punto che il popolo si sente come sollevato in volo. L'esperienza esodica di Israele trova nella Pasqua di Gesù singolare compimento. Così lui stesso la prospetta: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Le parole di Gesù invitano a concepire la morale cristiana in relazione all'attrazione universale e potente di Cristo. L'agire morale dell'uomo, in prospettiva cristiana, dipende dall'agire di Cristo che lo suscita, lo orienta, lo sostiene. A questo riguardo le parole di Gesù suonano perentorie: «senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). La radicalità di questa prospettiva è stata brillantemente riespressa da una delle menti più fervide del cristianesimo contemporaneo, C. S. Lewis.

L'idea comune che abbiamo tutti prima di diventare cristiani è la seguente. Noi prendiamo come punto di partenza il nostro io ordinario, con i suoi vari desideri e interessi. Poi ammettiamo che qualcos'altro - si chiami "morale", "correttezza" o il "bene della società" - avanza delle pretese su questo io: pretese che interferiscono con i suoi desideri. Ciò che intendiamo per "essere buoni" è cedere a tali pretese. Alcune cose, che l'io ordinario desiderava fare risultano "sbagliate": bene, dobbiamo rinunciarvi. Altre cose, che l'io non aveva voglia di fare, risultano "giuste": bene, dovremo farle. Ma continuiamo a sperare che una volta soddisfatte tutte queste pretese, il povero io naturale avrà ancora qualche possibilità, e un po' di tempo, per vivere a modo suo e fare ciò che gli piace. Di fatto, assomigliamo molto a un onest'uomo che paga le tasse: le paga puntualmente, ma spera che gli resti abbastanza per vivere. Perché prendiamo ancora il nostro io naturale come punto di partenza.
Fino a quando la penseremo così, otterremo probabilmente uno di questi due risultati: o rinunceremo al tentativo di essere buoni, o saremo infelicissimi. Infatti, siatene certi: all'io naturale, se davvero cercherete di soddisfare tutte le richieste che gli vengono fatte, non resterà abbastanza di che vivere. Più obbedite alla vostra coscienza, più la coscienza esigerà da voi. E il vostro io naturale, affamato, ostacolato e tartassato a ogni piè sospinto, cadrà in preda a una rabbia crescente. Alla fine, o smetterete di tentare di essere buoni, oppure diventerete una di quelle persone che, come si suol dire, "vivono per gli altri": ma sempre scontente, brontolando, chiedendosi sempre perché gli altri non ne tengano maggior conto, considerandosi sempre dei martiri. E una volta diventati così, sarete per chiunque debba vivere con voi un tormento molto peggiore che se foste rimasti francamente egoisti.
La via cristiana è diversa: più difficile, e più facile. Cristo dice: "Dammi tutto. Io non voglio un tanto del tuo tempo e un tanto del tuo denaro e un tanto del tuo lavoro: voglio te. Non sono venuto a tormentare il tuo io naturale, ma a ucciderlo. Le mezze misure non servono. Non voglio tagliare un ramo qui e uno là, voglio abbattere tutto l'albero. Non voglio trapanare il dente, incapsularlo, otturarlo, ma estrarlo. Deponi tutto il tuo io naturale, tutti i desideri, quelli che ti paiono innocenti come quelli che ti paiono malvagi - tutto quanto. In cambio ti darò un nuovo io. Ti darò, in realtà, me stesso: la mia volontà diventerà la tua"
11.  

Una simile dipendenza sembrerebbe contrastare diametralmente il tentativo postmoderno di una morale della sola libertà, indipendente e autonoma. Assecondare la volontà divina, dichiarando come Cristo ha insegnato a fare: «sia fatta la tua volontà» non significa rinnegare la libertà umana? Giungere ad affermare, come S. Paolo: «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20) non vuol dire soppiantare ogni autonomia dell'uomo? Ma a questo punto che resta dell'uomo? Non finisce per dissolversi in Dio?
In effetti, il concedere totalmente all'altro di entrare nella propria vita può divenire il lasciapassare per la sua violenza. A meno che l'altro non sia l'Amore. Allora il legame più stretto, non è più catena ma alleanza. La morale cristiana è propriamente l'alleanza di Dio con l'uomo. E il paradosso cristiano consiste precisamente nel credere che la dipendenza da Dio non sia la negazione ma la possibilità stessa della libertà di esistere e di agire. «Io sono la vera vite – insegna Gesù – e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv 15,1-2). Il pensiero giunge qui a sfiorare il segreto del rapporto tra grazia divina e libertà umana12. Senza certo la pretesa di svelare ciò che da sempre affatica le menti più acute della teologia cristiana, vorremmo tuttavia almeno alludere a come tale segreto s'inscriva nella logica dell'amore cristiano. Ci affidiamo per questo al celebre Trattato dell'amor di Dio del grande S. Francesco di Sales.  
È fuor di dubbio, Teotimo, che non siamo attirati verso Dio con catene di ferro, come tori e bufali, ma mediante inviti, attrattive deliziose e sante ispirazioni […]. In tal modo, carissimo Teotimo, il nostro libero arbitrio non viene in alcun modo forzato o condizionato dalla grazia; anzi, nonostante la forza onnipotente della mano della misericordia di Dio, che tocca, circonda e avvince l'anima con tante ispirazioni, richiami ed attrattive, la volontà umana rimane perfettamente libera, padrona di sé e al di fuori di ogni stato di costrizione e di necessità.
La grazia è così delicata e prende così delicatamente i nostri cuori per attirarli, che non altera nulla nella libertà della nostra volontà; tocca con forza, ciononostante con tanta delicatezza, le molle del nostro spirito, che il nostro libero arbitrio non ne riceve alcuna forzatura; la grazia ha forza, non per costringere, ma per attirare il cuore; possiede una santa violenza, non per violare, ma per rendere amorosa la nostra libertà; agisce con forza, ma tanto soavemente, che la nostra volontà non rimane schiacciata sotto un'azione così potente; ci spinge, ma non soffoca la nostra libertà: per cui ci è possibile, di fronte a tutta la sua potenza, consentire o resistere ai suoi movimenti, a nostro piacimento13.  
Con l'abilità che gli è propria, S. Francesco di Sales allevia la fatica del pensiero con una metafora che descrive come il vento consenta agli uccelli, anche a quelli incapaci di darsi slancio, di spiccare il volo.
 
Lo stesso vento, che solleva gli apodi, colpisce prima le penne, quali parte più leggere e sensibili alla sua azione, che inizia col dare movimento alle loro ali, aprendole e dispiegandole in modo che favoriscano la presa, per poter agganciare l'uccello e sollevarlo in aria. E se l'apodo, così sollevato, collabora col movimento delle ali a quello del vento, lo stesso vento che gli ha dato la prima spinta, lo aiuterà a volare sempre più facilmente. Così, mio caro Teotimo, quando l'ispirazione, simile ad un vento sacro, viene per sollevarci nell'aria del suo santo amore, agisce sulla nostra volontà e, per mezzo del sentimento di un diletto celeste la muove, aprendo e dispiegando l'inclinazione naturale che ha per il bene, in modo che tale inclinazione le offra la presa per afferrare il nostro spirito. Tutto ciò, come ho già detto, avviene in noi senza di noi, perché è il favore divino che ci previene in questo modo. Se poi il nostro spirito, così santamente prevenuto, sentendo le ali della propria inclinazione mosse, aperte, distese, spinte e agitate da quel vento celeste, contribuisce per poco che sia, con il proprio consenso, quale felicità, Teotimo; infatti la stessa ispirazione o favore che ci ha mosso, confondendo la propria azione col nostro consenso, animando i nostri deboli sforzi con la sua energia, dando vita alla nostra fiacca cooperazione con la potenza della sua azione, ci aiuterà, ci guiderà, ci accompagnerà di amore in amore, fino all'atto della santa fede, necessario per la nostra conversione14.  
L'amore cristiano non è impalpabile sensazione e volatile sentimento ma si esprime in parole e gesti. Per questo Cristo si è fatto parola, segno concreto, fratello. Gesù ha legato la sua presenza alla Parola del Vangelo; Gesù ha legato il suo amore ai sacramenti, massimamente all'Eucaristia; Gesù si è indissolubilmente legato agli altri, in specie ai poveri e agli ultimi tra gli uomini. Attraverso la parola, i sacramenti, l'amore vicendevole, lo Spirito amorevole di Cristo raggiunge l'intimità di chi lo accoglie riversandosi nel suo cuore (cf Rm 5,5). Dove giunge lo Spirito, la libertà è liberata dal miraggio dell'autonomia, e resa veramente libera di amare: «Il Signore è lo Spirito e dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà» (2 Cor 3,17).
Ma come può la libertà umana acconsentire allo Spirito divino? Qual è la vela in grado di raccoglierne il soffio e decifrarne la direzione? C'è un luogo segreto in ogni persona, una sorta di torre di controllo in grado di riconoscere i segni dell'amore di Dio e di disporre il piano per corrispondervi. La chiamano «coscienza»15. La coscienza è in dotazione della libertà dell'uomo e l'uomo può liberamente disattenderne i segnali. Ma una coscienza privata dei segnali dello Spirito è come una vela senza vento: inutile. Per questo la legge principale della coscienza è quella di mantenersi sotto la guida dello Spirito, in ascolto cioè della parola del Vangelo, a contatto con i sacramenti della vita cristiana, in prossimità degli altri bisognosi. Formare la coscienza è garantire che stia in contatto con lo Spirito, impedendo che, come la vela priva di vento, finisca per aggrovigliarsi su se stessa. La morale cristiana appare insieme più pessimista e più ottimista dell'etica laica postmoderna. Decisamente più pessimista circa la capacità di autonomia della libertà; assai più ottimista sulla possibilità della libertà di realizzare, grazie all'amore di Dio, anche l'impossibile. Nella misura in cui la libertà cor-risponde all'amore di Dio viene abilitata a vivere come Lui, a librarsi nella vita così come un'aquila, sostenuta dal vento, vola alta nel cielo.
Anche Gesù, ben prima di Nietzsche, aveva indicato in un fanciullo la figura della libertà compiuta, finalmente liberata: «Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli"» (Mt 18,2-4). A differenza di Nietzsche, Gesù non aveva però dimenticato che la giocosa creatività di un fanciullo è possibile nella misura in cui qualcuno, un padre buono, gli assicura e si prende cura della sua vita.
 
Ridotta all'essenziale, l'alternativa tra etica postmoderna e morale cristiana ripropone all'uomo il dilemma di sempre: confidare in se stesso oppure affidarsi a Dio. Il mito di Sisifo raccontato nell'Odissea esprime forse ancor oggi, la condizione dell'uomo che pretende di reggere da solo il peso del bene. «E vidi Sisifo, che pene atroci soffriva reggendo con entrambi le mani un masso immenso. Costui, piantando le mani e i piedi, spingeva su un colle la pietra: ma appena stava per varcarne la cresta, ecco la Violenza travolgerlo; e rotolava al piano di nuovo la pietra impudente. Ed egli tenendosi spingeva di nuovo: dalle membra gli colava il sudore, dal suo capo si levava la polvere»16. Dalla faticosa e vana pretesa dell'uomo di scalare da solo le vette del bene, si distanzia l'esperienza dell'uomo che viene sollevato, come su ali d'aquila, fino alle altezze dell'amore divino. Proprio così Dante, nella Divina Commedia, sogna l'esperienza della grazia. «In sogno mi parea veder sospesa un'aguglia nel ciel con penne d'oro, con l'ali aperte e a calare intesa; […] Poi mi parea che, rotata un poco, terribil come folgor discendesse, e me rapisse suso infino al foco»17.  

Conclusione evangelica
Abbiamo introdotto questo intervento ascoltando l'invito rivolto da Gesù a Pietro: «Prendi il largo». Ad esso torniamo per concludere. È sorprendente notare come, nelle diverse lingue, il medesimo invito suoni diversamente. L'espressione tedesca: «Fahr hinaus auf den See», come pure quella spagnola: «Lleva la barca mar adentro» alludono al movimento di spingere la barca in fuori per addentrarsi nel mare, lasciando intendere la lunghezza del mare. La lingua latina fa invece riferimento all'altezza: «Duc in altum». La lingua greca, inglese e francese alla profondità: «'Epanágage eis tò báthos», «Put out into deep water», «Avance en eau profonde». Le differenti espressioni, pur indicando dimensioni diverse – larghezza, lunghezza, altezza e profondità – riguardano tutte la medesima vastità del mare. Potremmo raccoglierle dicendo: «Prendi il largo, fin in alto mare, dove esso è più profondo».
Nella sua polifonica accezione, l'invito di Gesù a Pietro si propone come una metafora per l'uomo e la donna contemporanei che, ignorando o sospettando l'amore di Dio, si trattengono sulla spiaggia delle loro apparenti sicurezze oppure al massimo si limitano a sguazzare presso la riva. Forse proprio per loro vale l'incoraggiamento e l'augurio di prendere il largo nell'amore divino così interpretato dalla lettera agli Efesini: «Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3,17-19).


1 Cf. F Nietzsche, La gaia scienza in Opere, Milano, Adelphi, 1965, vol. V, t. II, 129-130.

2 G. Lipovetsky, Le Crépuscule du devoir, Paris, Gallimard, 1992.

3Z. Bauman, Le sfide dell'etica, Milano, Feltrinelli, 1996, 244-249.

4 F. Buzzi, Parte seconda. La coscienza in azione, in: E. Borghi - F. Buzzi, La coscienza di essere umani. Percorsi biblici e filosofici per un agire etico (= In cammino), Milano, Ancora, 2001, 63-65.

5 V. Franco, Etiche possibili. Il paradosso della morale dopo la morte di Dio, Roma, Donzelli, 1996.

6 Una rassegna delle posizioni presenti sul panorama italiano è offerta da: MicroMega. Almanacco di filosofia 1997, Roma, Editrice Periodici Culturali, 1997.

7 S. Natoli, «Etica oggi», in Tra coscienza e storia. Il problema dell'etica in Romano Guardini. Atti del convegno tenuto a Trento il 15-16 dicembre 1998, a cura di M. Nicoletti-S. Zucal, Brescia, Morcelliana, 1999, 47.

8 Z. Bauman, Le sfide dell'etica, Milano, Feltrinelli, 1996, 85-86.

9 F Nietzsche, La gaia scienza in Opere, Milano, Adelphi, 1965, vol. V, t. II, 129.

10 F. W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, (= I classici della BUR), Milano, BUR, 1985, 43-45.

11 C.S. Lewis, Il cristianesimo così com'è, Milano, Adelphi, 1997, 236-238.

12 La questione del rapporto tra grazia e libertà trova già lucida espressione nella teologia neotestamentaria, in specie nella tesi paolina della giustificazione per mezzo della fede e non delle opere della legge giudaica. La questione attraversa poi l'intera tradizione dalla polemica antipelagiana di Agostino fino alle recente ecumenica Dichiarazione sulla giustificazione sottoscritta in comune dal Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani e dalla Federazione luterana mondiale (cf. Dossier sulla giustificazione. La dichiarazione congiunta cattolico-luterana, commento e dibattito teologico, a cura di A. Maffeis (= Giornale di Teologia 276), Brescia, Queriniana, 2000) passando per la riforma di Lutero e la controriforma tridentina, come pure per l'intricata controversia teologica De Auxiliis.

13 S. Francesco di Sales, Trattato dell'amor di Dio (= Letture cristiane del secondo millennio 6), Milano, Paoline, 21996, 220-221.

14 Ibid.,224-225.

15 «La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria» (Gaudium et Spes, 16).

16 Omero, Odissea, (= Classici Greci e Latini 7), Arnoldo Mondadori, 1991, libro XI, righe 593-600.

17 Dante Alighieri, La Divina Commedia, IX, 19-21.28-30. In parafrasi: «A me sembrava di vedere in sogno un'aquila dalle penne d'oro librata in cielo, con le ali aperte e intenta a scendere; […] Poi mi sembrava che, dopo aver volteggiato un po', discendesse terribile come una folgore e mi rapisse su in alto alla sfera del fuoco».

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