GESU' E IL BUON LADRONE

DON ANTONIO MAZZI
Comunità Exodus


La pastorale delle "mele marce"
Settanta volte sette
Una sconvolgente capacità di perdono
Il figliol prodigo
Il buon ladrone
La Maddalena
Anche Dio è cattivo?
La morte di mio papà
Un incidente stradale
La paternità di Dio
DAL DIBATTITO


Sono venuto volentieri qui e vi parlo più con il cuore che con la testa. Siamo insieme in Quaresima, stiamo preparandoci a questa ultima avventura di Cristo.
Io certamente vi potrò dire ben poche cose diversamente da Bruno Maggioni, Franco Brambilla, Rita Pellegrini e Renato Corti.


La pastorale delle "mele marce"

Ci potrebbe essere anche una seconda lettura della serata «Gesù e il buon ladrone»: il buon ladrone potrei essere io. Già, essere il «buon ladrone» è un bel titolo con le arie che tirano.

La cosa che mi sconvolge nel Vangelo è che il Signore Gesù non ha indovinato un amico giusto, non ne ha indovinato uno. E' andato proprio a cercare quelli sbagliati. Mentre i genitori continuano a dire ai figli: «Ti raccomando le amicizie», abbiamo Gesù che non ha avuto un'amicizia giusta. Tutte sbagliate. Allora bisogna che ci domandiamo il perché: perché Gesù è stato amico della samaritana, perché è stato amico del buon ladrone, perché è stato amico del figlio prodigo. Perché è solo da lì che noi riusciamo forse a capire tutto quel grande problema che noi chiamiamo «il disagio», «i nuovi poveri», «i lontani», «gli emarginati», «i peccatori» (parola terribile «peccatore». Chi è peccatore? Tra noi chi è giusto e chi è peccatore? E’ peccatore chi fa i peccati o è peccatore chi è convinto di non averne e di non farli?).

Allora io mi sono dato questo programma, questa sfida. Al di là dei due comandamenti che fanno parte del programma di tutta la mia comunità c'è un altro comandamento che mi tengo sempre dentro che è un po' il rovescio di quel vecchio proverbio dei nostri nonni e che è anche il proverbio dei catechisti, dei parroci, delle suore e cioè: attenzione alla mela marcia perché una mela marcia rovina le mele buone. E’ possibile, invece, che succeda il contrario che le mele buone facciano diventare buona la mela marcia?
Non è questa la sfida della pastorale? Non è questa la sfida di Cristo? E’ chiaro che dal punto di vista della prudenza umana, della pedagogia, della psicologia, della didattica, della «pastorale» è più facile che la mela marcia marcisca la mela buona, ma questa è la saggezza del non-convertito, di chi non ha letto il Vangelo; è la saggezza di chi non ha fede, di chi non crede. Perché la saggezza di chi crede è che la mela marcia comunque si converte; che non esiste la mela marcia e se esiste è perché le mele buone non hanno fatto il loro mestiere.
E’ questo principio pastorale, teologico, biblico che bisogna ci mettiamo in testa se vogliamo lavorare in un certo modo e se vogliamo essere dei catechisti o dei preti che non solo hanno letto il Vangelo, ma lo vivono.


Settanta volte sette

Quando san Pietro dopo che era stato alla catechesi di Cristo ‑ e Pietro ascoltava, ribatteva, o non era d'accordo o si arrabbiava, si scandalizzava, litigava... era uno di quelli che «mazzolava» Cristo, si dava delle arie... forse era anche più vecchio ‑ a un certo punto gli si mette davanti e gli dice: «Senti Gesù, vediamo se ho capito bene quante volte dobbiamo perdonare. Se perdoniamo fino a sette volte ... ». E a lui sembrava di aver detto in quel numero sette una cosa... Chi di voi ha perdonato sette volte agli amici? Perché è più facile perdonare ai nemici, ma perdonare ad un figlio, ad un marito, ad una figlia... Perdonare sette volte?!? Un genitore che perdona una volta comincia già a farlo pesare, la seconda comincia ad andar fuori di testa, la terza manda fuori di casa... Perdonare è difficilissimo! Perdonare è l'atto più alto dell'amore, non è l'atto più basso. Perché il perdono ha dentro di sé la risurrezione, la capacità di dimenticare, la capacità di sperare anche nel disperato, la capacità di credere che c'è qualche Altro comunque che semina al di là della nostra disperazione e che il perdono non è nostro ma è di Dio, cioè non siamo noi che perdoniamo.

Allora san Pietro si è messo lì, ha guardato in faccia a Gesù e ha detto: «Allora, Gesù, sette volte?». Gesù lo guarda e dice: «Cosa hai detto? Sette volte? Settanta volte sette!». Secondo me san Pietro è svenuto, un emotivo come lui poteva solo svenire e saremmo svenuti anche noi e sveniamo anche noi di fronte a questo modo di ragionare di Cristo. Noi siamo tutti da convertire, siamo tutti degli atei, non abbiamo capito il Vangelo! Il Vangelo non è la risurrezione dei morti, non è la moltiplicazione dei pani, il Vangelo è questo: abbiamo un Dio che ci perdona sempre ‑questo è il Vangelo ‑, e quindi che ci obbliga ‑ e questo è il Padre nostro ‑ a perdonare sempre. Questa è una cosa sconvolgente perché non l'abbiamo capita. Non la capisce nessuno perché (anch'io che dico queste cose faccio fatica a perdonare) è una cosa contro natura. Perdonare è una cosa contro natura, bisogna avere così tanta fede da andare contro natura.

In questi giorni ho avuto due fatti che mi hanno «seduto per terra»...

‑ Un mio carissimo amico torinese, purtroppo, si è diviso dalla moglie e ha piantato lì una figlia di quindici anni nel pieno dell'adolescenza, con un bisogno terribile del padre (poi parlerò dei padri perché questa figura del padre è una figura che va rivista, va riabilitata e rimessa al proprio posto).

Va via di casa, la figlia subisce uno shock terribile per cui scappa di casa, non studia più, si prostituisce (è una ragazza molto bella e si chiama tra l'altro, Isabella), si dà alla cocaina. Il padre disperato capisce che è lui la causa di questo disorientamento, di questa rovina di sua figlia; ma non riesce ad essere umile e a cercarla, almeno a spiegarle perché è andato via di casa. Come al solito arriva dal prete (sempre eh! Marito e moglie non vanno d'accordo, anche se vanno a letto la sera insieme, stanno ore insieme, e vanno dal prete a dire: «Ma sa mio marito….». Ma ditevelo tra di voi, cosa aspettate il prete, avete bisogno del prete? Ditevele queste cose, se no cosa vi raccontate? A cosa serve la parola? A cosa serve l'amore?) e mi dice: «Guarda, mia figlia me la porto via quando posso al Sabato e la Domenica, per un paio di giorni sta tranquilla, è incantata.... è un'adolescente che ha proprio bisogno del padre, è più emotiva di altre» e dice: «Senti, io dico a mia figlia se viene a trovarti».

La Domenica pomeriggio lui e sua figlia sono davanti alla televisione, lui aspetta che io venga fuori con il mio faccione da prete e dice: «Vedi quel prete lì, secondo me potresti andare a parlare con lui perché è mio amico». Isabella un po' perché, forse, ha sedici anni e la televisione affascina e un po' perché ero amico del padre, viene a trovarmi. Rimane li due ore non di più, mi racconta la sua storia e poi cerco di farle vedere la mia comunità, ma dura due ore e poi sparisce. Ricompare dopo tre mesi, dura tre giorni e poi sparisce. Ricompare dopo quindici giorni, sta una settimana e... Sono quelle cose che voi immaginate: quando una viene ma non è convinta, va e viene. La mia comunità, poi, è aperta, non ci sono gabbie, non ci sono chiavi. Finalmente, dopo un po' di tempo, una mattina arriva e rimane sei mesi. Felice, dico al papà: «Guarda tua figlia in qualche maniera ha messo un po' la testa a posto». Dopo sei mesi, ho cominciato una sera a dirle: «Isabella adesso devi accettare il principio di realtà: che tuo padre non è a casa, tuo padre a casa non torna. Devi accettare, in qualche maniera, questo principio e attorno a questo principio di concretezza e di realtà vediamo cosa fare. Lo vedrai di tanto in tanto, devi accettare la figura di questa donna che è vicina a tuo papà e che tu non accetti. Vedi, in qualche maniera, di avere altre figure che ti possano aiutare dal punto di vista paterno». Ho fatto questo discorso alla sera alle dieci, ero contento perché mi sembrava di aver fatto finalmente un discorso chiaro e mi sembrava che mi avesse capito. La mattina mi alzo, finisco la Messa, viene l'educatore e mi dice: «Isabella è scappata. Ti ha lasciato questo biglietto». Due righe: «Caro don Antonio, forse tu sei stato il mio unico padre, però sei stato troppo esigente con me. Ciao». Non l'ho più vista. Non perdono a me questo fatto, non perdono al papà questo fatto, non perdono a lei questo fatto: ce l'ho ancora qui come una sberla che mi prende in testa e non riesco a farmela passare. Non so se non riesco a perdonare lei o se non riesco a perdonare me. Questi sono i fatti e le situazioni che capitano a ciascuno di noi quando devi fare dei gesti che sono al di là della logica, al di là della gratitudine, al di là dell'impegno, al di là di qualsiasi dimensione della oblatività; perché, poi, quando uno ti molla lì così dici: «Guarda, con tutto quello che ho fatto! Perché?».

‑ Un altro fatto di questi giorni, ancora più grosso.

Avevo responsabilizzato un ragazzo che avevo salvato dal carcere; un ragazzo figlio di un generale di Corpo d'Armata. Poveretto chi ha un papà cosi! Speriamo che non ci sia nessuno qui che ha un papà così. Un papà durissimo, un generale, un comandante. Comunque questo suo figlio, a 24 anni, quando gli mancavano quattro esami per laurearsi in Giurisprudenza, si è buttato nella droga, nella cocaina. L'ho tirato fuori io dalla galera perché suo padre lo ha fatto cadere in un tranello: gli ha messo della cocaina nella macchina e poi lo ha fatto fermare da una «pantera» della Polizia. Lo hanno messo in galera, aveva venti grammi di cocaina. L’ho tirato fuori dalla galera ed è stato un ragazzo molto intelligente e molto bravo, e l'ho fatto diventare responsabile di una comunità. Gli ho dato in mano una comunità, ma l'ho fatto per logica perché mi sembrava che fosse una persona matura. Non è stato un atto di gratitudine, non è stato qualche cosa in più che gli ho dato perché ero buono, ma perché mi sembrava che avesse tutte le qualità per essere un responsabile di comunità, lui, un laureando, un ragazzo maturo... Mi è scappato due mesi fa ‑ piantandomi la comunità ‑ con cento milioni! La mattina dopo ho detto Messa (noi preti diciamo la Messa bene ogni tanto. Non so le suore, perché vanno sempre a Messa molto devote, ma noi preti... ! Alla mattina, ogni tanto mi capita che celebro la Messa, ma penso ai debiti, penso al ragazzo che sta male, all'altro che è morto, quello che mi è scappato, alla politica che non funziona, al cardinale che non mi ha risposto... e intanto dico la Messa ) e quella mattina lì ho detto la Messa senza distrazioni e mi sono domandato quando ho avuto il Signore in mano: «Senti caro, a me questa roba non funziona ... ». Certe volte è molto meglio morire che avere tradimenti di questo tipo perché almeno morto, sei morto ed è finito, ma cominciare da capo con un tradimento così è una cosa ... ! C'è tutta l'umiliazione di un tradimento e dobbiamo metterci in testa, invece, che non siamo noi i traditi, ma il Padre Eterno è tradito. L'egoismo è che ci sentiamo traditi noi e non capiamo, invece, che Quello che è morto... lo è anche per quello lì.


Una sconvolgente capacità di perdono

La cosa che questa sera vorrei che vi restasse in testa è la sconvolgente capacità che ha Cristo di perdonare e la difficoltà che noi facciamo quando dobbiamo perdonare. Noi preghiamo, veniamo alle conferenze, facciamo le Via Crucis, andiamo in Terra Santa, facciamo l'elemosina... ma quando è l'ora di perdonare facciamo una fatica terribile. E se non abbiamo questa capacità non siamo cristiani ed è per questo che il Signore Gesù si è circondato di tutte le compagnie sbagliate: per farci capire cosa significa perdonare.


Il figliol prodigo

Pensate al «figliol prodigo»... E la storia del «figliol prodigo» è la storia di un normale tossicodipendente. Non c'è storia di tossicodipendente così attuale come la storia del «figliol prodigo».

Dice a suo padre: «Voglio i soldi!». Glieli fa fuori tutti, va con i porci ‑ che significa la tossicodipendenza ‑ diventa un animale anche lui, mangia con i porci, vive con i porci... ed è proprio la fotografia del tossicodipendente. E a un certo punto, disperato, in mezzo ai porci, senza mangiare, dice: «In fondo se vado a casa mia almeno da mangiare ce l'ho e da dormire anche». E c'è suo padre che è lì che lo aspetta... Non che lo maledice, che lo manda in galera, non che gli dice: «Mi hai mangiato fuori tutto, mi hai dissipato tutto! ». E di fronte al figlio che è casa e sta bene ‑ il padre si dimentica che ha un figlio buono chiama tutti gli amici per fare festa perché il tossicodipendente è tornato a casa. Il Vangelo dice: «Era morto ed è risuscitato» e il Vangelo non dice niente del fratello arrabbiato con il padre perché era troppo buono. E’ chiaro che questa è una parabola escatologica, cioè queste cose possono avvenire solo di là; però questo è Dio, questo è Gesù, questo è il Vangelo! Se non entriamo in questa mentalità, se non ci convertiamo a questo non siamo cristiani.

Ma mettetevi dalla parte del fratello giusto, di quello che è a casa, che lavorava in azienda, che portava a casa i soldi... Era al lavoro quando suo fratello è tornato a casa... E vede suo padre che canta, balla, chiama l'orchestra, ammazza il vitello più grasso... E dice: «Ma papà, sei andato fuori di testa? Ma come, ti avevo chiesto di far festa l'altro giorno per il mio compleanno e sei stato li a contarmi le dieci lire; arriva a casa tuo figlio che ti ha fregato tutti i beni e ammazzi il vitello più grasso» (che dal punto di vista biblico voleva dire «la festa di matrimonio», la festa più grande ... ). Questo è il Signore! Noi rimaniamo scioccati dai miracoli, ma i miracoli li ha fatti anche san Francesco, li ha fatti più grossi di Gesù, li ha fatti santa Caterina da Siena... I santi ne han fatti di miracoli... Padre Pio ne ha fatti di miracoli... Gesù non è il Dio dei miracoli, è il Dio dell'amore e non dei miracoli. La dobbiamo smettere di fare la catechesi sul Dio dei miracoli, perché quando i nostri ragazzi saranno grandi non gliene fregherà niente del Dio dei miracoli, mentre se riusciamo a spiegare queste cose, gli adolescenti soprattutto saranno i primi che si lasceranno affascinare da Cristo, diversamente no.


Il buon ladrone

La questione del buon ladrone... A parte che io rido sempre perché il vostro parroco ha letto la pagina giusta, ma c'è anche la pagina sbagliata che adesso vi racconto io e che dice: Gesù, poverino, là, un ladrone a destra e uno sinistra! E la mia domanda terribile è questa: perché si è convertito il ladrone di destra? Io che sono notoriamente di una certa parte... perché si è convertito il ladrone di destra? Perché diranno: perché i ladroni di destra sono molto di più di quelli di sinistra, perché sono più svampiti... C'è in tutto il Vangelo, sempre, anche questa vena umoristica che è favolosa. Quando san Pietro si arrabbia perché Gesù si è preso i bambini e se li bacia: «Tu, un profeta... con i bambini ... ». E Gesù: «Non capisci niente! ». Nel Vangelo c'è questa vena umoristica... Gesù che si ferma con una donna... e gli apostoli: «Con una donna? Tu non fai più carriera Gesù! Non fai più carriera se continui così. Addio Gerusalemme!». Perché gli apostoli dicevano: «Se quello va a Gerusalemme, io a destra, lui a sinistra; io l'elemosiniere e lui il ciambellano ... ».

Mi immagino, intanto, Gesù fra i due ladroni: perché Gesù fra due ladroni? Perché dovevano essere in tre lì i crocifissi? E poi i ladroni che brontolano, che discutono e ad un certo punto mi immagino ‑ sempre il ladrone di destra ‑ il quale domanda e dice a Gesù che era conciato male poverino, qualche ora dopo morirà: «Senti io ho fatto tutte le galere della Palestina, della Siria, di Roma... Tutte e non ti ho mai visto in galera... Da dove salti fuori? Uno che viene crocifisso non ha rubato i polli, per arrivare qui ne deve aver combinate, ai processi non ti ho mai visto e sì che io so tutto». (Sapete che basta andare in carcere se volete sapere qualcosa, quello che succede fuori ... andate in galera e saprete tutto: chi è che spaccia ... In un quarto d'ora ti aggiornano sulla situazione). il ladrone, specializzato in galere, dice: «Spiegami perché non ti ho mai visto. Ma hai fatto dei processi? Chi è che ti ha processato per metterti lì? In che galera eri?». Insomma tutte queste domande che i carcerati fanno. E Gesù che gli racconta questa cosa strana:

«Io non sono mai stato in galera, non ho mai ucciso nessuno».

«Come non hai ucciso nessuno, non vorrai mica raccontarmi le bugie, qui siamo tra di noi non ci sono gli avvocati, non ci sono i magistrati, dilla giusta».

E Gesù che racconta questa storia sconvolgente e dice:

«Io sto morendo per te... per quello».

«Cosa?».

Vi immaginate in un quarto d'ora che catechesi ha fatto Gesù a quello lì. E il furbino, perché doveva essere furbo (non perché quelli di destra sono furbi) dice: «Ma senti Gesù, se me la racconti giusta... ‑ questo dice, vuoi vedere che mi va bene anche questa volta ‑ perché non mi porti in Paradiso con te?». E Gesù, non perché se lo meritava, dice: «Sì, ti porto in Paradiso con me!». Ve lo immaginate questo ragionamento: ti porto in Paradiso con me! Ed è quello che fa con tutti noi, che farà con tutti noi. Non andiamo in Paradiso perché ce lo siamo meritato, ma perché la sua bontà è così grande che si dimentica che siamo ladri, impostori, bugiardi. Il primo che va in Paradiso è un ladrone. Ma ve lo immaginate? Un ladrone con la «L» maiuscola! Questo è il Vangelo e questo è quello che sconvolge il Vangelo e ci deve sconvolgere, ci deve meravigliare perché alla mattina quando ci alziamo, se abbiamo davanti questi gesti di Cristo, riusciamo a vivere... Chi è tra i normali e chi è tra i disperati... Ma se non abbiamo in mano e in testa questi gesti di Cristo non riusciamo a vivere in questo mondo. Cioè viviamo, ma non cambiamo il mondo.


La Maddalena

La Maddalena, la più grossa prostituta della zona, i cui clienti, dai profumi che aveva, non erano dei barboni. L'evangelista dice che erano profumi costosissimi. E Gesù appare per primo alla Maddalena! Aveva dodici apostoli con i quali aveva vissuto giorno e notte per tre anni, che avevano sofferto con lui, pianto con lui, pregato con lui ‑ soprattutto i tre. La mattina di Pasqua appare alla Maddalena! Ma ve lo immaginate san Pietro, san Giovanni che sentono la Maddalena che dice:

«Guarda che Gesù è risorto!».

«Cosa?».

«Sì... ed è apparso a me».

«Come? Cosa hai detto? E apparso a te?».

Ma ve lo immaginate? E' vero che era convertita, ma chi ci crede che una prostituta si converta? Chi ci crede di noi che una prostituta si converte? Perché quando è l'ora noi non siamo capaci di credere nelle conversioni degli altri... nelle nostre sempre, ma in quelle degli altri mai e soprattutto quando ci sono certi peccati... Li chiamiamo «ex-prostitute», «ex‑drogati» perché dobbiamo ricordarci sempre. Non li chiamiamo mai per nome o per cognome.

Ed è la Settimana Santa, è il giorno di Pasqua e quindi è il momento più alto della catechesi e del Vangelo e dell'avventura di Cristo. Dopo arriverà la Pentecoste, ma il momento più alto è proprio questo: la Risurrezione. Il primo annuncio della Risurrezione il Signore l'ha dato ad una prostituta. Questo è il Vangelo fratelli miei! Poi il Vangelo è anche altro, ma questo è il Vangelo. Sono queste le cose che possono permettere a noi, preti dei disperati, ma anche agli altri preti, di alzarsi ogni mattina e ringraziare il Signore non perché c'è il sole o c'è la primavera, ma perché il mondo va avanti per la Sua bontà, per la Sua misericordia.


Anche Dio è cattivo?

C'è un altro fatto rispetto sempre a questa grande capacità che ha Dio di perdonare. lo ho scritto un altro libro, uscito proprio in questi giorni, intitolato Ancbe Dio è cattivo?: sono alcune storie di persone che sono arrivate da me. Due giornalisti ‑ uno di «Avvenire» e l'altro di «Gente» ‑ sono andati a vedere cosa è successo. In seguito ad alcune lettere e ad alcune storie sono andati a casa a cercare la gente delle storie e sono nate dodici storie molto dure. Ho fatto la conclusione di questo libro e dico che anch'io ho pensato in alcuni momenti che forse il Signore era cattivo e racconto tre fatti della mia vita per i quali pensavo che il Signore fosse stato ingiusto con me.


La morte di mio papà

Il primo fatto è la morte di mio padre. lo sono rimasto orfano presto. Mio padre è morto che ero molto giovane. Ho sentito la mancanza di mio padre tantissimo, tanto che quasi accusavo mia madre della morte di mio padre. «Ma come è possibile che sono senza papà, mamma?»... «Ma perché è morto papà ». Insomma questo mio bisogno di avere un padre era particolarmente sentito tanto che mia madre, poveretta, a disagio, ad un certo punto non sapeva più come fare e tentava un po' di farmi da papà e un po' di farmi da mamma, proprio nel tentativo di farmi passare questo mio terribile desiderio. Questa domanda era per lei una freccia che le trapassava il cuore perché lei era senza marito. Mi ricordo che un giorno, disperato, (io poi con mia mamma... Noi siamo due fratelli e pensate che mio fratello è nato tre mesi dopo che è morto papà. Doveva essere lui il prete perché è proprio bravo, educato... invece è diventato un bancario, ed io invece ero proprio il Pierino, il «rompi»... doveva essere lui prete ed io ... ) arrivo a casa e mia madre vede che sono disperato. Di solito quando io e mia madre litigavamo era una sceneggiata unica: perché gridava lei, gridavo io; urlava lei, urlavo lo; piangeva lei, piangevo lo; rideva lei, ridevo io, per cui dopo mezz'ora di gridi nessuno sapeva perché, nessuno aveva sentito l'altro, ma, stufi, abbracci e baci ed era finita. Era una sceneggiata che mio fratello si godeva regolarmente. Quella mattina li mia madre mi vede tutto così e mi dice: «Antonio cos'hai?»... «Niente»... E non era capace di far partire il famoso dibattito per cui continuava a dire: «Mi nascondi qualche cosa?» ‑ «Non ti nascondo niente»... E sapete come fanno le mamme... più taci e più quella... Ad un certo punto si è fermata e ha visto che ero ingrippato. Ero in terza media ed è uno dei fatti più importanti della mia vita. Uho capito dopo! Ho detto: «Senti mamma ho bisogno di parlarti.». Mio fratello si è messo là perché lui si metteva in parte... ha quindici mesi meno di me. Dico: «Senti mamma, vedi quella sedia li è vuota, ci manca il papà. A me manca il papà e a te manca il marito. Dobbiamo accettare che ci manca il papà. lo non riesco ad accettarlo, ma il guaio è che non riesci ad accettarlo nemmeno tu per cui sai cosa succede mamma: che quando cerco il papà ci sei tu e quando cerco la mamma non ci sei più. Per cui corro il rischio che sono senza il papà perché non c'è e senza mamma perché tenta di fare il papà. E io ‑ mi è scappata questa frase ‑ se continuo così mi suicido». lo non avevo mai pensato di suicidarmi, però mi è scappata questa frase che mi ha lasciato agghiacciato me e ha agghiacciato mia madre. Con mio fratello ce lo raccontiamo ogni tanto perché è un fatto molto importante della mia vita. Da quel momento ho detto: «Mamma tu fammi da mamma, punto e basta. Almeno so che almeno ho una mamma». Fino a quel momento li io sono stato un ragazzo difficile, a scuola andavo male (addirittura in terza media non volevano ammettermi agli esami per insufficienza in condotta), ma fatto quell'urlo di disperazione, detta quella «bestemmia» ‑ dico io ‑ «mi suicido», mi sono liberato, mia madre mi ha fatto da mamma e ho fatto tutto il liceo in modo sereno. Però è successo un fatto straordinario. Dalla parte di mio papà erano in dodici fratelli mia mamma invece aveva un fratello, geometra, che si chiamava Abramo. Abitavamo vicino, c'era solo un muro tra casa nostra e la sua. Si vede che la mamma, dopo che sono andato a scuola, al pomeriggio, deve essere andata da suo fratello a raccontare questo. La settimana dopo mio zio ha aperto una porta e da quel momento abbiamo mangiato tutti insieme e mio zio mi ha fatto da papà. Oggi, difatti, siamo in effetti in sei fratelli: quattro figli di mio zio e noi due. In effetti mio zio è stato quello che mi ha risolto questo terribile problema del padre, è stato quello che mi ha curato quasi più di suo figlio ed il figlio più grande suo è diventato salesiano ed io sono diventato prete. Mi ricordo che la prima volta che ho pensato di farmi prete ‑ a 18/19 anni perché prima non valeva la pena che ci pensassi perché tutti mi dicevano che dovevo fare tutto tranne che il prete ‑ eravamo a passeggio io e mio zio (perché andavamo a spasso in bicicletta lungo l'Adige) e gli ho detto: «Zio sai che (poi lo chiamavo Abramo) voglio fare il prete». Mi guarda e dice: «Cosa? Antonio ci hai pensato bene?». E’ rimasto lì, si è fermato con la bicicletta. E’ stato il primo a cui ho detto che forse facevo il prete.

Questa morte di mio padre mi ha permesso di lavorare dal punto di vista della mia spiritualità sulla paternità di Dio e devo dirvi che se sono ancora al mondo come prete è perché ho approfondito in maniera straordinaria la paternità di Dio. Anche questo tema della misericordia e della bontà fa parte della paternità di Dio. Io pensavo «Guarda il Signore con me è stato cattivo perché mi ha rubato il papà», invece, a lungo andare questa morte di mio padre mi ha permesso di approfondire dal punto di vista spirituale tutto il grande tema della paternità di Dio che è il tema poi che affascina di più anche i disperati, anche i miei tossicodipendenti. Il tema della paternità di Dio è un tema che attacca sempre e attacca in una maniera formidabile.


Un incidente stradale

Ecco il secondo fatto per cui ho pensato che il Signore fosse cattivo. lo ho fatto sette incidenti gravi, gravissimi. Ho fatto fuori sette o otto macchine: l'ultima, la settimana scorsa (sedici milioni di danni) e questa volta sono stato io, ma tutti gli altri incidenti gravi li ho fatti quando guidavano gli altri. Il penultimo incidente grave l'ho fatto mentre andavo a Nomadelfia: noi abbiamo un legame particolare e andiamo spesso a fare dei campi insieme, anche perché il fondatore di Nomadelfia don Zeno Saltin era molto amico di don Calabria. Stavo andando a Nomadelfia e guidava un ex‑terrorista che era in affido a me: il famoso Mario Ferrandi amico di Marco Donat Cattin e del gruppo di fuoco di Prima Linea. Qualche tempo prima alla luce dei sei incidenti gravi che ho fatto, un mio carissimo amico mi ha detto: «Ti dobbiamo comprare una macchina un po' più robusta» e mi hanno obbligato ad andare via con una Volvo un po' spinta (una 740, 16 valvole ... ). Ho fatto fatica a prenderla, ma dopo mi hanno convinto. Avevo questa Volvo da un mese e dovevamo andare a Nomadelfia e quindi abbiamo fatto la Milano‑Firenze e poi Firenze‑Siena. Fino a Firenze ho guidato io e poi ho detto al Mario Ferrandi: «Guida tu che io mi riposo». Mi sono messo dall'altra parte e per fortuna, mi sono messo la cintura di sicurezza perché mi volevo riposare. A Mario Ferrandi non sembrava vero! lo gli ho detto: «Calma, Mario calma, perché voglio riposare e non abbiamo fretta. E inutile che spingi». Chi conosce quella strada sa che è di quelle famose maledette tre corsie: due corsie qualche volta a noi, due corsie qualche volta agli altri. E’ successo che eravamo dietro ad un autotreno e Ferrandi, convinto che eravamo sulle due corsie, ha premuto l'acceleratore e... abbiamo fatto uno scontro frontale con una pattuglia della Polizia. Sembra una battuta: scontro frontale con una pattuglia della Polizia. Ho sentito soltanto urlare e mi sono svegliato in mezzo alla strada. I due poliziotti anche loro in mezzo alla strada. Un disastro… è stato bloccato tutto il traffico. lo avevo questo braccio troncato in tutte e due le ossa e tutti i denti rotti. Mi sono trovato lì in una pozza di sangue con i due poliziotti anche loro poveretti... l'unico, ancora con la camicia inamidata, in piedi, che mi diceva: «Antonio come stai?» era Mario Ferrandi... lo subito non ho capito niente, ma quando ho capito ho guardato in su... pensate che avevo i denti li per la strada... e ho detto da buon veneto: «Eh! no, caro, fatti fare un controllo perché qui non ci siamo». Vi rendete conto? lo ho subito quattro operazioni nel braccio e ho ancora il chiodo e sette operazioni alla bocca.

Se non facevo quell'incidente lì trenta chilometri più avanti saremmo andati dentro un burrone perché il camion davanti a noi aveva sfondato un ponte.

Ho impiegato del tempo e ancora adesso ci impiego del tempo per capire, al di là del camion, e mi domando perché ha tenuto in piedi l'unico che doveva in qualche maniera... non dico far morire, ma spaventare sì. Ma questo è il Signore.

Se voi vivete con questa attenzione vi accorgerete quanti fatti di questo tipo il Signore vi offre e ci offre che sembrano dolori e invece sono segni, che sembrano spine e sono carezze, che sembra che Gesù ci dimentichi e invece ci ricorda.


La paternità di Dio

Questo grande tema della paternità di Dio. Credo che oggi i nostri figli e anche noi siamo così disorientati perché i figli sono rimasti senza padri.

Noi siamo uomini, ma non siamo padri. Facciamo fatica ad essere padri. Le madri si salvano perché hanno questo grande amore viscerale che le fa comunque essere madri, ma noi padri non siamo più capaci di farlo. I figli sono senza padri e noi padri siamo senza Padre e proprio perché siamo senza Padre non siamo più capaci di fare i padri.

Questo è il grande tema su cui dobbiamo riflettere dal punto di vista religioso, pastorale e anche dal punto di vista antropologico ed educativo. In questi giorni parliamo di disagio, parliamo di droga, parliamo di Conferenza Nazionale a Napoli sulle tossicodipendenze, parliamo di droghe leggere e droghe pesanti, proibire o non proibire; ma dietro a tutto questo tema c'è questo terribile disagio dei figli che non hanno padri cui riferirsi e di noi padri che non abbiamo un Padre che ci dà la dimensione, lo spessore, il carattere, la pazienza e il miracolo della paternità; perché essere padri ‑ essere madri e padri, dal punto di vista fisico, si è qualche volta nella vita ‑ dal punto di vista spirituale, si è padri sempre, si è madri sempre e se si è padri e madri si riesce ad essere genitori, ad essere marito, ad essere moglie, ad essere adulti. Ma dove non c'è la dimensione della paternità e della maternità non c'è vita e non c'è nemmeno vita spirituale.

Il Signore Gesù ha voluto in qualche maniera che tutto il suo discorso della montagna finisse nel Padre nostro, la Chiesa fa sì che noi poco prima di mangiare il Cristo recitiamo la preghiera del Padre nostro: credo che questi siano segnali ben precisi di come noi dobbiamo muoverci e su che linea ci dobbiamo convertire se vogliamo vivere l'affascinante esperienza del Vangelo.

DAL DIBATTITO

Rispondendo ad alcune domande:

‑ Rispetto al «Dio‑giusto e Dio‑ingiusto», rispetto al «il Signore non mi vuole bene». Quando vengono in comunità quasi tutti partono da questo concetto della sfortuna: «Io sono stato sfortunato perché mio papà... perché mia mamma ... perché mi sono imbattuto in un compagno così ... perché mi è andata male quella roba là... perché mi ha beccato la Polizia ... ». Nel cammino che fanno partono accusando gli altri. Quasi tutti! Mi ricordo la prima volta che io sono andato a confessare un ammalato di Aids. Non avevo mai visto un ammalato di Aids arrivare alla fine, avevo visto il sieropositivo, ma non ero mai stato a contatto così forte con un ammalato terminale di Aids. Una Domenica pomeriggio, mi ricordo che viene un prete di una parrocchia dell'hinterland milanese e mi dice: «Guarda c'è un ragazzo, malato terminale di Aids, che vuole confessarsi solo da te. Perché non vieni? » Prima mi sono fatto una domanda: cosa vado a dire io ad un ammalato di Aids? Perché dobbiamo stare attenti alle sceneggiate che facciamo di fronte ai malati gravi, perché la capacità che abbiamo di fare le sceneggiate di fronte agli ammalati certe volte è vergognosa... Mi sono domandato che cosa avrei fatto e sono andato così pieno di paura, un po' della malattia, ma anche per cosa dovevo dirgli. Poi uno si domanda ‑ teologia ‑: si può perdonare ad un ammalato di Aids che magari ti racconta tutto quello che ti racconta? C'è anche questo tema del «fino a che punto arriva il perdono». Prima vi ho parlato del perdono proprio perché mi sono trovato di fronte a certe storie che se le avessi pensate quando facevo teologia, credo che non avrei mai fatto il prete.

Vado, era un ragazzone molto lungo, un giocatore di pallacanestro... In questa casetta, lui e la mamma, ormai la mamma ridotta ad un lumicino e lui... questo ragazzo lungo e tutto ossa che aveva questi due occhioni e basta... con le orecchie che erano trasparenti... con le mani che non si potevano neanche toccare... Vado Li e dico: «Mi hai cercato?». «Sì ‑ dice ‑ vorrei confessarmi perché voglio morire in pace con il Signore». Mi dice questa frase. E dico: «Cosa significa?».

«Sai don ... » e mi racconta tutta la sua storia e dice: «Soltanto l'altro giorno ho capito che io sto per morire. Ho sempre sperato di non morire, di venirne fuori ... ».

Immaginate uno che vi dice così, che cosa vi sentite dentro

« ... e fino a ieri e l'altro ieri ho maledetto sempre tutti: il Signore, mia mamma, mio papà, i miei compagni, la disgrazia. Ho capito l'altro giorno che non posso più arrabbiarmi con gli altri, che è ora che mi concili con il Signore. Perché, in fondo in fondo, questo dolore mio può servire agli altri e volevo proprio che lei venisse qui a confessarmi e vorrei che riportasse queste mie parole a tutti quei ragazzi che vedrà dopo di me morire della stessa malattia e cioè: che il Signore è buono proprio perché mi fa morire così».

lo ero lì... avevo paura di toccarlo perché c'era il discorso del sudore e perdeva anche sangue... avrei voluto abbracciarlo, ma non avevo il coraggio... avrei voluto piangere, ma non ce la facevo perché già la mamma era disperata... Ho fatto una fatica ad assolverlo perché, forse, se c'era qualcuno da assolvere in quel caso ero io e non lui: perché uno che ha fatto una vita così e che riesce a dire le frasi che ha detto credo che sia di una capacità ascetica e mistica di cui nessuno di noi sarebbe capace.

L'ho assolto e, purtroppo, due ore dopo è morto e ho fatto io i funerali due giorni dopo. E’ stato il primo ragazzo che ho visto morire di Aids e ho capito che cosa significa il dolore, che capacità ha il dolore di conversione. Guardate che questo aveva una vita che era un romanzo in tutti i sensi: dal punto di vista della famiglia, dal punto di vista (lui era anche omosessuale) di tutti i suoi tradimenti che ha avuto e che ha fatto, aveva due omicidi sulla coscienza, aveva ancora ‑ credo ‑ tre o quattrocento milioni di debiti... Sua madre sta ancora pagando i debiti agli spacciatori e, addirittura, è cascata dentro agli usurai per non divulgare questa storia di suo figlio e per riuscire a pagare nel silenzio.

‑ Ho tentato di fondare Exodus quando io ero direttore di un Centro di formazione professionale dell'Istituto don Calabria in via Pusiano 52. Sono arrivato lì nel 1979, mi hanno mandato i miei superiori dicendo: «Vai a Milano e vedi cosa fare. 0 chiudiamo ‑ perché c'era il Parco Lambro in quei momenti... ‑ o dobbiamo sapere cosa fare perché lì se continua così dobbiamo chiudere la scuola: abbiamo i tossicodipendenti ... siringhe ovunque... tossicodipendenti ovunque ... ».

Allora, piano piano, come succede sempre, si aiuta un ragazzo e poi se ne aiuta due, e poi si lavora di Sabato, e poi si lavora di Domenica, poi si lavora di notte e poi ho lavorato a tempo pieno.
La difficoltà più grossa è stata la paura, se ve la devo dire proprio papale papale. Quando abbiamo deciso insieme con gli operai di Rizzoli, con gli Aclisti di Lambrate, con alcuni genitori e con alcuni amici di affrontare il Parco Lambro e pulirlo, è capitato una sera che tornando a casa con il Metro, uscendo a Cimiano, ho sentito una cosa qua alla gola... Vi devo dire che me la ricordo ancora... e mi sono domandato se valeva la pena di rischiare la pelle o no per salvare il Parco Lambro. Anche lì, come al solito, mi è capitato che il giorno dopo ho detto la Messa e dopo un dibattito con il Padre Eterno sono rimasto. I miei superiori mi avevano detto: «Se vuoi venire via, vieni pure e decidiamo di fare qualcosa d'altro». La paura è la cosa che ti impressiona di più. Poi ho dovuto decidere anche se farmi scortare o no, perché ho avuto parecchie minacce, poi ho deciso di non volerla. Questa è la cosa che mi ha dato coraggio e difatti io, nonostante abbia abbastanza minacce non ho mai voluto la scorta e non la voglio perché sono convinto che nel piano della Provvidenza, scorta o non scorta, come il Signore mi ha messo al mondo senza chiedermi il permesso, penso che il Signore mi porti anche via senza chiedermi il permesso.

L’altra cosa, vinta la paura, è l'abulia del mondo cattolico? L'abulia, il disinteresse, il vedere e non vedere, A far finta di non vedere, l'impegnarsi appena appena... lo vivo a Milano e ho 25 comunità e spendo circa 12 miliardi l'anno per tutta l'Italia e vivo con 2 miliardi di debiti. Vi immaginate voi per una città come Milano cosa sarebbe trovarmi due miliardi? Cosa sarebbe? Non riesco a trovare gente che faccia una iniziativa per aiutarmi. A me basterebbe avere un miliardo all'anno che mi aiuti a stare dentro al fido. Una città potenzialmente ricca come Milano, pensate ai cattolici straricchi che ci sono e che sono in chiesa nelle prime file e che leggono la parabola del ricco Epulone, la quale parabola dice che il ricco Epulone andò all'inferno perché dava le briciole a Lazzaro... la leggono, la meditano... sono sempre li in prima fila...

Se fosse una città povera, ma una città come Milano! Devo sempre andare a piagnucolare, a perdere tempo dal direttore della banca e dire: «Per favore porta pazienza!». In questo momento ho sfondato il fido ed è un momento difficile... più che non dover parlare di queste cose a voi, che stare con i ragazzi, seguire meglio tutto il tema della pastorale. Questo mi inquieta di più.

Pensate che la Chiesa dice che parte dell'otto per mille dovrebbe andare a queste cose e io non ho ricevuto una lira dell'otto per mille di Milano (mille parrocchie). Queste cose sono quelle che mi disturbano di più e cioè che questo mondo cattolico fa un sacco di cose ma non riesce ad attuare una politica intelligente rispetto ad alcune cose. Qualche settimana fa io ho scritto un articolo molto pesante rispetto ad un'indagine fatta in Italia in cui risulterebbe che ogni giorno gli italiani spendono 40 miliardi in piccole offerte, doni in soldi, beni, alimentari... 40 miliardi! lo divento matto se penso che noi spendiamo ogni giorno 40 miliardi e non risolviamo niente perché i poveri sono poveri, i lavavetri sono li, i barboni sono lì i quartieri poveri sono là... Possibile non si riesca... Facciamone 20 di elemosine, ma con altri 20 miliardi al giorno lo sapete che cosa si potrebbe fare? E questo mondo cattolico che non riesce in qualche maniera a far diventare strategico, a trasformare in un progetto di respiro più grande quello che fa ogni giorno, la bontà di ogni giorno e rimane una bontà che non cambia niente! Sono tutti atti di bontà che poi non divengono un progetto e non cambiano la società. Capisco che è difficile, ma è quello che mi aspetto.

E’ questa la mia delusione e poi nel contempo pensate che quasi ogni anno dei dodici miliardi che ho, sei me li dà l'ente pubblico che sono le convenzioni, tre miliardi e qualcosa di più sono le offerte della vecchietta che mi dà cinquanta mila lire, di un signore che viene li e mi dà cento milioni e non so neanche chi sia, di un'altra che mi dà parte della sua pensione... Pensate che c'è una signora che mi porta ogni mese cinquanta mila lire e la sua pensione è di seicento mila lire... Sapete cosa vuol dire? Che questa non beve il caffè per tutto il mese e non posso dirle di no perché me li porta di persona e non vuole che suo marito lo sappia perché altrimenti deve litigare. Sono tre miliardi e mezzo... E sapete quanti sono che fanno così! Però non cambiamo l'orientamento di una città, di una nazione, di una cultura. Sarà possibile? Non lo so, ma io spero che i nostri giovani riescano a trasformare queste briciole in progetto.

C'è la solidarietà ‑ quella della carta straccia, del ferro vecchio ‑ del Sabato pomeriggio. Penso che non ci sia paese in Italia che al Sabato pomeriggio non trovi questo invito: «Oggi pomeriggio la Caritas passa a raccogliere ... ».

C'è la carità delle briciole: i 40 miliardi che diamo ai lavavetri, al barbone, banco alimentari, Bosnia, la Caritas.

C'è la carità ‑ che, secondo me, è quella del Vangelo ‑ di «aggiungere un posto a tavola»... Il vero cristiano è colui che riesce a mettere un povero al suo tavolo perché là dove si è in quattro, si può essere in cinque, però un figlio in più e non un povero in più; con la dignità, il diritto, la cultura e l'affetto che si ha per i figli. Quando arriveremo li, alla carità dell'aggiungere un posto a tavola, vuol dire che avremo trasformato i 40 miliardi di briciole in qualche cosa di diverso.
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