DAI PUGNI CHIUSI ALLE MANI APERTE
Bussate e vi sarà aperto (Lc 11,
9)
VALENTINA SONCINI
L’introduzione di don Mirko Bellora
Sono felice di presentarvi la professoressa
Valentina Soncini docente di filosofia e teologia. Sfogliando la
sua tesi di licenza in teologia “Dioniso
contro il crocifisso” - un “vero lavoro da
minatore” - ho trovato due nomi a me molto cari: don Luigi
Serenthà e don Pino Colombo. Nella dedica sta scritto:
“A don Luigi Serenthà testimone
appassionato maestro sapiente e gioioso con gratitudine
profonda”. E nella premessa trovo: don Pino Colombo come relatore di tesi.
Don Luigi Serenthà ha insegnato a me e a tanti a
danzare la vita, a danzare la croce. Don Pino è stato per
tre anni il mio professore di dogmatica, lo ricordo come un
teologo straordinario per rigore metodologico per chiarezza e
competenza. Siamo in mani sicure, mi sono detto.
A lei affido la conversazione dal titolo “Dai pugni chiusi
alle mani aperte”: è l’invito a diventare ogni
giorno più capaci di aprire le mani a Dio e al
prossimo.
*****
In compagnia di Nietzsche e della
Samaritana
Dai pugni chiusi alle mani aperte
è un titolo che esprime un dinamismo di conversione da una
situazione di chiusura a una di accoglienza, da un domandare
polemico, sfiduciato, arrabbiato a un invocare umile e tenace,
dettato dalla fiducia di essere ascoltati. Questo cammino
può coinvolgere tutta l’esistenza e manifestarsi
significativamente nella preghiera, da cui traspare
l’itinerario tragico o gioioso della relazione con Dio che
muove il cuore di ciascuno e che ciascuno accoglie o
misteriosamente respinge.
Per percorrere brevemente questo itinerario ho scelto due
compagni di strada un po’ particolari.
Il primo è F. Nietzsche, filosofo della morte di Dio,
scomparso poco più di un secolo fa. Egli può
rappresentare simbolicamente la situazione dei pugni chiusi,
serrati fino all’ultimo in una contrapposizione radicale
tra il suo aver fede in Dioniso e il malaugurato aver fede nel
crocifisso degli uomini dell’Occidente, come afferma
insistentemente nell’ultima opera “Sono stato capito - Dioniso contro il
crocifisso!”
1
. Questa contrapposizione tragica
è filosoficamente coerente con la sua negazione della
verità della fede cristiana, ma esistenzialmente è
avvolta dal mistero della sua malattia mentale, che impedisce di
definire negli ultimi anni la posizione dell’uomo Nietzsche
nei confronti di Dio.2
Il secondo personaggio è la Samaritana colta nel suo
dialogo con Gesù al pozzo di Sicar
3
. In quel luogo la donna
giunge a mezzogiorno tenendo stretta nelle mani la brocca, da
là riparte dopo aver lasciato la brocca per ricevere
“a piene mani” l’annuncio della misericordia di
Dio. Ella può essere esempio simbolico di
quell’aprire le mani che avviene perché si è
persuasi gradualmente dalla bontà di Dio, e si è
attratti a stabilire una relazione sempre più coinvolgente
con colui che è Padre. Il dialogo scandito dalle domande
di Gesù alla donna e della donna a Gesù rivelano
questo schiudersi di livelli sempre più profondi di fede
dove la domanda diviene invocazione e infine relazione faccia a
faccia con il Signore.
Nietzsche e la Samaritana: due personaggi molto diversi, ma
capaci entrambi di coinvolgere con le loro domande provocatorie,
che possono diventare preghiera o possono resistere ad ogni
preghiera. Con loro provo a comprendere le diverse
modalità con cui la preghiera di domanda prende forma.
I pugni chiusi:
simbolo
dell’incredulità sottesa a certe nostre domande
Prendo le mosse da parole pronunciate da Nietzsche quasi come un
grido contro Dio. Normalmente il Dio che egli intende è
altro da quello creduto e pensato dai credenti, è il Dio
che coincide con la volontà di potenza che vuole dominare
anche attraverso la maniera subdola della ricerca della
verità, è un Dio che appartiene all’orizzonte
chiuso del soggetto, è un Dio che esiste solo come
prodotto del risentimento degli uomini deboli e che diviene la
loro massima espressione di vanità, di bramosia, di
crudeltà4 .
Questo Dio viene considerato una vera maledizione contro la vita
e non è dunque meritevole di parole. Normalmente Nietzsche
non si rivolge a Dio.
Eppure in due occasioni egli sembra relativizzare questo suo modo
di intendere Dio per ipotizzare un Dio che possa esistere e possa
essere buono. Già, ma come si fa a sapere se Dio esiste e
se è un Dio “affidabile”? Come riuscire a
intendere una divinità muta a cui rivolgere le domande
sembra inutile? Questo scontro tra le mille domande che
l’uomo porta con sé e il silenzio di Dio conduce
Nietzsche a rivolgersi con quella rabbia contro Dio, tipica di
chi attende e pretende una qualsiasi risposta e nulla riceve:
Un Dio che è onnisciente e che non si
cura neppure che le sue intenzioni siano comprese dalle sue
creature - dovrebbe essere questo un Dio di bontà? Un Dio
che lascia sussistere dubbi e scrupoli innumerevoli per dei
millenni, come se
non costituissero alcuna difficoltà per la salvezza
dell’umanità e che tuttavia pone ancora in evidenza
le terribili conseguenze di uno sbagliare nei confronti della verità e
potesse vedere come l’umanità si tormenta
miserabilmente in
essa? Ma forse è comunque un Dio di bontà - solo
che egli non poteva esprimersi più chiaramente! Allora gli
mancava forse l’intelligenza per questo? Oppure
l’eloquenza? Tanto peggio! Allora egli forse sbagliava
anche in ciò che chiama la sua “verità”
ed egli stesso non sarebbe così lontano dal “povero
diavolo ingannato”. Non dovrebbe allora sopportare quasi
tormenti infernali nel vedere che per amore della sua conoscenza,
le sue creature soffrono così e continuano a soffrire
ancora di più per l’eternità e nel non poter
dar consigli e aiutare, se non come un sordomuto che fa ogni
specie di segni ambigui quando alle spalle del suo bambino o del
suo cane sta il più spaventoso pericolo?(...) Tutte le
religioni portano il segno di una precoce, immatura
intellettualità del genere umano, tutte prendono con
sorprendente leggerezza l’impegno di dire la verità:
ancora non sanno niente circa il dovere di Dio di essere verace nei confronti
dell’umanità e chiaro nella comunicazione
5 .
Il senso di questa lunga citazione si può riassumere nella
valutazione seguente: il Dio absconditus è
immorale.
In un altro passo in Così parlò
Zarathustra, Nietzsche ritorna ancora sulla questione di
un Dio che non riesce a farsi intendere e di un uomo che non
riesce a comprenderlo. Zarathustra sta parlando con il vecchio
papa, l’ultimo papa che viene a sapere che Dio è
morto e i due rievocano i tratti di Dio, un Dio d’amore, ma
anche giudice. Così si pronuncia Zarathustra:
Io amo tutto quanto ha uno sguardo chiaro e
parla sincero. Ma lui (Dio) - e tu lo sai vecchio prete - in lui
era qualcosa della tua specie, la specie pretesca: egli era
polisenso.
Ed era anche oscuro. Quanto si è incollerito con noi,
questo iroso sbuffone, perché lo intendevano male. Ma
perché non parlava in modo più pulito?
E se la colpa era dei nostri orecchi,
perché ci dette degli orecchi che udivano male? Se nei
nostri orecchi era il fango, ebbene, chi ce lo aveva messo?
Troppe cose gli riuscivano male a questo
vasaio che non aveva imparato bene la sua arte! Ma che egli se la
prendesse con i suoi vasi e le sue creature, perché gli
riuscivano male - ebbene questo fu un peccato contro il buon
gusto”6 .
Queste due invettive contro Dio, ironiche e taglienti, si elevano
come un grido dell’anima che chiede a Dio che si riveli con
chiarezza, per quello che è, e gli contesta di essere
immoralmente incomprensibile, silenzioso, nascosto e in
ciò colpevole. Nietzsche, nella sua ricerca
dell’autenticità della vita, si ribella al silenzio
di Dio.
La situazione espressa dal filosofo è quella che forse
può dire tutta la rabbia dei pugni chiusi, di chi domanda
dicendo parole che non diventano dialogo ma rimangono monologo,
tanto da rendere il domandare totalmente paradossale.
Al di sotto di questi pugni picchiati con rabbia di fronte a un
silenzio simile, a un muro impenetrabile, si può cogliere
la difficile posizione di Nietzsche nei confronti del Dio di
Gesù Cristo: egli non riconosce il manifestarsi di Dio in
Gesù Cristo, non crede in questa Parola detta da Dio
all’umanità, non crede in Gesù e nella sua
fede, lo ritiene solo un uomo debole e idiota.
Nietzsche non ha creduto che la vicenda di Gesù potesse
essere segno d’amore, che costui potesse morire per amore,
che la croce avesse un significato diverso da quello di una forma
subdola di dominio: tutto ciò è stato affermato
come impossibile. Non credendo nella Rivelazione di Dio, non gli
è rimasto che il silenzio entro cui tutte le domande, dopo
essersi avvoltolate su se stesse, si sono spente.
Nietzsche ha ritenuto che l’uomo non potesse fare nulla di
più che elevare un grido di contestazione; oltre non
poteva andare. Gli stretti confini dell’io non gli
consentivano di autotrascendersi e non offrivano spazio per
l’io e per Dio
7 .
In questi “pugni chiusi” vediamo una domanda che si
fa grido di contestazione e poi, per onestà intellettuale,
non può che giungere a tacere convinta che non ci sia
alcun Dio a cui rivolgersi. E’ un domandare che può
condurre all’ateismo esplicito o al silenzio, è un
domandare sfiduciato, disilluso, incredulo e dunque
paradossale.
La preghiera di domanda ha infatti senso solo
nell’orizzonte della Grazia, poiché ciò che
in fondo si domanda è la salvezza in Cristo, senza questa
fede e apertura alla grazia, non rimane nulla da domandare.
Quanto il nostro domandare assomiglia a un pugno chiuso? Quanto
scaturisce da rivendicazioni nei confronti della vita vissuta in
modo autoreferenziale, senza alcuna apertura all’azione di
Dio? Quanto serpeggia nella preghiera di domanda un atteggiamento
incredulo che diviene occasione di attacco contro Dio?
In tanti modi la preghiera di domanda può lasciarsi
catturare da una dimensione involuta, chiusa, pur se celata sotto
obiezioni plausibili rispetto alla stessa. Per esempio possono
esserci questi atteggiamenti che indeboliscono la preghiera di
domanda e che svelano il fragile cammino della fede:
a) Perché domandare se Dio sa già di cosa abbiamo
bisogno? Questa obiezione può sottendere una posizione
quietista, che rischia di condurre al disimpegno della
libertà e al fatalismo. L’abbandono in Dio deve
esprimere piuttosto la “povertà” evangelica
della fede che si affida e assume le esigenze del Regno come
criterio di scelta. Ciò significa non annullare i desideri
dell’uomo, ma relativizzarli al Regno e alla sua
giustiziala.
b) Perché chiedere qualcosa a Dio se l’unica cosa
importante è la salvezza? Questa obiezione rischia di
condurre a una sorta di indifferenza rispetto alla
normalità della vita, alla storia, per proiettarsi verso
un orizzonte di salvezza metastorico. Ma confidare in Dio e
cercare la sua salvezza non significa divenire indifferenti alla
storia, domandare aiuto a Dio nella preghiera significa invece
accettare di essere bisognosi di Lui nella concretezza della
vita, significa stare nella storia con pazienza, fede e
umiltà. Se ci si coglie nella prospettiva
dell’alleanza e della comunione che lega il Creatore e la
creatura, non c’è contrapposizione tra il cercare il
Regno e domandare anzi, tutto può essere domandato.
c) Perché chiedere segni a Dio per credere? Questa
obiezione ricorda la prima e può rimandare alla vicenda
del re Acaz, in Isaia 7, che non chiede segni, perché -
dice - di non voler tentare Dio, ma ciò gli viene
rimproverato come atteggiamento di incredulità e di
autosufficienza.
Dai pugni chiusi alle mani aperte:
imparare a domandare ciò che Dio vuole donare
Queste e altre obiezioni alla preghiera di domanda permettono di
rileggere in profondità il reale cammino di fede e di
relazione autentica con Dio. La stessa preghiera di domanda
può aprire un cammino, se in qualche modo si concede a Dio
di esserci, di poter raggiungere l’uomo, di saper varcare
le sue incomprensioni e i silenzi che seguono al suo domandare,
silenzi che sono spesso vissuti come deserti inospitali entro cui
nessuno vorrebbe spingersi. Aprirsi a Dio e aver fede in Lui
significa imparare a domandare ciò che veramente merita di
essere chiesto e ancora imparare ad attendere da Lui la parola di
vita.
Certo, se i pugni possono aprirsi e divenire mani aperte e
accoglienti, ciò è frutto dell’azione
misteriosa della grazia, dell’azione dello Spirito, che
attira e converte il cuore, che lo muove verso nuovi orizzonti e,
in ultimo, lo conduce ad una relazione con Dio che non fa
chiedere le cose che Dio può darci, ma solo che sia fatta
la sua volontà, che il bene si compia, che il cuore
diventi di carne e non sia più di pietra, che la vita sia
data per amore.
Dice infatti S. Paolo: “Allo stesso modo
anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza,
perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente
domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi,
con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali
sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i
credenti secondo i disegni di Dio
8 .”
Molti altri testi della Sacra Scrittura esprimono
l’importanza di educarsi alla preghiera di domanda e di
divenire docili alla voce del Signore, tra questi
c’è anche il salmo 81 che ben esprime il desiderio
di Dio di lasciarsi invocare da Israele per salvare il suo
popolo, per donargli ciò di cui ha bisogno e nemmeno sa
chiedere:
Ascolta, popolo mio, ti voglio ammonire;
Israele, se tu mi ascoltassi!
Non ci sia in mezzo a te un altro dio
e non prostrarti a un dio straniero.
Sono io il Signore tuo Dio,
che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto;
apri la tua bocca, la voglio riempire.
Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce,
Israele non mi ha obbedito.
L’ho abbandonato alla durezza del suo cuore,
che seguisse il proprio consiglio.
Se il mio popolo mi ascoltasse,
se Israele camminasse per le mie vie!
Subito piegherei i suoi nemici
e contro i suoi avversari porterei la mia mano.
I nemici del Signore gli sarebbero sottomessi
e la loro sorte sarebbe segnata per sempre;
li nutrirei con fiore di frumento,
li sazierei con miele di roccia.
Il cammino dai pugni chiusi alle mani aperte può avvenire
allora se il cuore dell’uomo si rende attento alla Parola,
se accoglie l’invito a fidarsi di Dio, a invocarlo. Un
esempio concreto di questa apertura a Dio, di risposta al suo
donarsi all’uomo è offerto dal secondo personaggio
scelto per questo percorso, la Samaritana.
Il brano di Giovanni 4 permette di cogliere come
progressivamente il domandare della Samaritana si modifichi,
perché attratto da Gesù
9 .
In questo cammino è sorprendente soprattutto cogliere
l’azione di Gesù che trova spazio nel cuore della
donna, la sua è un’azione di grazia, di liberazione
un’azione divina che realizza ciò che dice e che
conduce a far chiedere quella salvezza che Gesù con tutto
se stesso desidera dare.
Gesù dunque, stanco del
viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno.
Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere
acquaGesù disse: “Dammi da
bere”.
Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu,
che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna
samaritana?”.
L’itinerario inizia con una domanda che Gesù fa
alla Samaritana, riferendosi alla concretezza della situazione
(mezzogiorno in Samaria). Gesù chiede acqua. Sembra che la
Samaritana debba fare qualcosa per Gesù e se ne stupisce.
Non comprende perché debba fare qualcosa per lui.
A volte il credente interpreta così le sue pratiche di
fede, come qualcosa che si pensa di dovere a Dio. La domanda di
Gesù può essere avvertita come l’invito a
fare delle cose per Lui, di ciò ci si stupisce e insieme a
ciò ci si subordina, più o meno a malincuore. Ne
segue una vita cristiana interpretata come insieme di obblighi e
precetti.
Da questa “esigenza di Dio di essere pregato”
può però iniziare una vicenda diversa.
Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è
colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene
avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Gli
disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per attingere
e il pozzo è profondo; da dove hai dunque
quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro
padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i
suoi figli e il suo gregge?”. Rispose Gesù:
“Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo
sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non
avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli
darò diventerà in lui sorgente di acqua che
zampilla per la vita eterna”. “Signore”, gli
disse la donna, “dammi di quest’acqua, perché
non abbia più sete e non continui a venire qui ad
attingere acqua”.
La vera ragione per la quale Gesù chiede alla Samaritana
l’acqua è perché ella chieda a Lui da bere.
La domanda che Gesù pone ha come obiettivo quello di
suscitare la domanda di lei, con il desiderio che la donna lo
ascolti, figura di Israele a cui Dio si rivolge… Se Israele mi ascoltasse… subito sconfiggerei i
suoi nemici…
Gesù suscita nella donna un movimento nuovo di salvezza e
di vita. Dal “sentirsi richiesti” a “imparare a
chiedere” si compie un cammino apparentemente breve,
facile, eppure dentro questo breve tratto si gioca la questione
della fede. Non si crede per fare favori a un Dio esigente che ha
tante domande da farci, ma si crede per grazia. Il credere
dischiude a una vita felice, il credere è il dono
più grande che permette all’uomo di entrare nella
comunione con Dio Padre, come figlio e non come servo, abilitato
a chiedere a Lui tutto ciò che necessita per vivere.
Imparare a chiedere a Dio è dunque già un atto di
fede in risposta all’azione dello Spirito che muove il
cuore a chiedere ciò che con le nostre sole forze e
intenzioni non chiederemmo mai.
Questo cammino non si impone, ma persuade piano piano, agisce da
dentro attira ciascuno, come Dio attira la donna nel deserto per
parlare al suo cuore (Osea 2).
La preghiera di domanda può procedere
dall’assimilazione di domande che nascono
dall’ascolto della Sua Parola, che parla al cuore.
Misteriosamente nel cuore nascono anche le obiezioni, gli
ostacoli, le tentazioni di scacciare queste domande per chiedere
altro, per non chiedere nulla.
Le disse: “Và a chiamare tuo
marito e poi ritorna qui”. Rispose la donna: “Non ho
marito”. Le disse Gesù: “Hai detto bene
“non ho marito; infatti hai avuto cinque mariti e quello
che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il
vero”.
Gesù sembra cambiare argomento. Egli entra in un aspetto
delicato della vita della donna, che mette in luce una
fragilità interiore, affettiva.
Gesù si pone in dialogo con l’uomo a partire dalla
concretezza dell’esistenza così come è,
bisognoso di cura e di salvezza.
Continuare il cammino di domanda significa allora prendere
coscienza con realismo dei propri limiti, del proprio peccato.
Ciò accade grazie all’azione dello Spirito, che fa
la verità nel cuore, mette di fronte a se stessi, induce a
chiedere il perdono dei peccati, a chiedere di essere risanati.
Questa domanda non è ovvia, è una domanda
impegnativa che dice la fede in un Dio Salvatore. E’ la
domanda che spinge a confessare i peccati per essere redenti.
Gli replicò la donna: “Signore,
vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio
sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo
in cui bisogna adorare”. Gesù le dice:
“Credimi, donna, è giunto il momento in cui
né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il
Padre”
La donna si sente accolta con amore da Gesù che non la
giudica, ma le dischiude un cammino di verità. Proprio per
questo un’altra domanda emerge da questo dialogo, una
domanda più alta, oltre l’immediato bisogno,
è la domanda sulla verità dei comportamenti
religiosi e sul modo di adorare Dio.
Nel dialogo iniziato per un’acqua che soddisfa i bisogni
fisici, si è giunti a domande relative all’acqua che
solo Gesù può dare, l’acqua della salvezza.
C’è un crescendo in questo domandare e una
gratuità più alta. Si inizia a domandare qualcosa
che riguarda tutti. Il cuore si dilata e impara a intercedere per
tutti, per la conversione dei cuori, per la pace nel mondo, per
gli amici e per i nemici.
“So che deve venire il Messia
(cioè il Cristo): quando egli verrà, ci
annunzierà ogni cosa”. Le disse Gesù:
“Sono io, che ti parlo”. In quel momento giunsero i
suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con
una donna. La donna intanto lasciò la brocca, andò
in città e disse alla gente: “Venite a vedere un
uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il
Messia?”.
La donna mostra un’apertura all’attesa messianica.
Gesù le si rivela come il Messia. Nel domandare si
è attratti progressivamente all’incontro con Dio, in
quanto Dio, con Colui che è più importante di
tutto, colui che ci è necessario e per il quale solo vale
la pena lasciare la brocca della quotidianità per seguirlo
con tutto se stessi.
La donna, infine, esprime le mani aperte di chi si predispone a
ricevere da Dio ciò di cui necessita per vivere, altro non
è importante. Va al villaggio, annuncia, chiama, torna dal
maestro.La preghiera di domanda si fa sentiero, a volte
difficile, a volte facile, di cammino continuo tra sé e
Dio, così bello da coinvolgere altri uomini.
Il percorso della Samaritana è ritmato da un crescendo di
domande, di invocazioni. Da questo lasciarsi attrarre sempre
più da Gesù nasce il discepolo, il vero credente,
colui che si affida a Dio, vive di Lui e agisce per Lui, scioglie
i pugni, apre le mani, muove i piedi e inizia a “danzare la
vita”.
Così come ci siamo chiesti se c’è in noi
l’atteggiamento dei pugni chiusi, possiamo ora chiederci
quanto e quando è capitato anche a noi di muoverci guidati
dallo Spirito, secondo passi imprevedibili eppure assolutamente
vitali. Possiamo fare memoria della nostra vicenda di grazia,
sperimentata attraverso l’apertura di orizzonti insperati
eppure desiderati, nel compiersi di una domanda posta con
radicalità al Signore.
Una preghiera a mani aperte:
il paradosso di una libertà che si realizza
nella totale e consapevole consegna di sé
Intanto i discepoli lo pregavano:
“Rabbì, mangia”. Ma egli rispose: “Ho da
mangiare un cibo che voi non conoscete”. E i discepoli si
domandavano l’un l’altro: “Qualcuno forse gli
ha portato da mangiare?”. Gesù disse loro:
“Mio cibo è fare la volontà di colui che mi
ha mandato e compiere la sua opera”.
Il brano della Samaritana si conclude con il dialogo tra
Gesù e i discepoli: costoro sono preoccupati del digiuno
di Gesù, ma egli afferma che suo cibo è fare la
volontà del Padre.
Gesù esprime così la domanda radicale che
già contiene l’assenso della fede: “Padre cosa vuoi che io faccia?”.
Questa preghiera di Gesù può diventare
domanda e dedizione anche del discepolo che è cresciuto in
questo itinerario di domanda e di adesione alla sua sequela.
Concludo allora questo itinerario dai pugni
chiusi alle mani aperte con la testimonianza brevissima
raccolta in una preghiera detta a cuore e mani aperti da
un’altra donna, non più la Samaritana, ma Madeleine
Delbrêl, una laica mistica del XX secolo che si pone sulle
orme di Gesù per giungere a chiedere ciò che chiede
Lui al Padre. Attraverso le parole di questa donna possiamo,
infatti, comprendere una preghiera di domanda che esprime
fiducia, abbandono, persuasione profonda che il Signore vuole
solo il Bene e volere ciò che Lui vuole è salvezza,
grazia, felicità. In questa preghiera non c’è
più traccia di resistenza, non c’è più
il tentativo di convincere Dio a forza di parole per ottenere
ciò che ciascuno ritiene il bene per sé. I pugni
sono completamente disserrati e le mani aperte sembrano non
bastare ad accogliere la sovrabbondanza della sua grazia.
E’ una preghiera che chiede di poter essere come lui vuole,
una preghiera che ha imparato grazie a Gesù e con Lui a
dire” mio cibo è fare la sua volontà”.
Voglio quello che vuoi Tu
Senza chiedermi
Se posso
Senza chiedermi
Se mi piace
Senza chiedermi
Se lo voglio
NOTE:
1
F. NIETZSCHE, Ecce homo, in Opere di Friedrich Nietzsche, Vol. VI, Tomo III, Adelphi, Milano, p. 365.
2
Per cercare di cogliere il significato tragico di questa affermazione,
è necessario attenersi ai testi scritti da Nietzsche prima di sprofondare
nella follia, testi che spingono a intendere una sua chiusura arrabbiata
nei confronti della fede. Con ciò non si vuole affermare che l'atteggiamento
dei "pugni chiusi" sia sicuramente l'ultima parola dell'uomo Nietzsche sulla
"questione Dio", essendo l'uomo più del suo pensiero. Ho approfondito questo
tema nel testo da me pubblicato Dioniso contro il crocifisso.
Ricostruzione critica della filosofia di
Nietzsche. Provocazione per la teologia?. Glossa, Milano 2001.
3 Cfr. Vangelo di Giovanni, cap. 4.
4 Le affermazioni di Nietzsche su Dio
sono disseminate nei suoi scritti da Umano troppo umano a Ecce homo.
Dall'analisi critica del suo pensiero si può comprendere la distanza tra il
Dio della fede cristiana e il dio di Nietzsche, cioè tra il Gesù Cristo
crocifisso e il crocifisso denunciato da Nietzsche, come è anche affermata
esplicitamente dal teologo P.A. Sequeri, cfr. SEQUERI,
Il Dio affidabile, Queriniana, Brescia 1996, p. 335.
5Cfr. Opere di Friedrich Nietzsche, Vol. V,
Tomo I, M, § 91, pp. 66-67. Tale invettiva assomiglia al grido di Giobbe.
6 Opere di Friedrich Nietzsche,
Vol. VI, Tomo I, Za, Libro IV, A riposo.
7 Le implicazioni teologiche del pensiero
di Nietzsche pro o contro la sua posizione sono discusse nel testo Dioniso
contro il crocifisso, op. cit., in particolare cap. IV.
8Romani 8, 26-27
9
La struttura del brano permette di individuare in sequenza i passi
compiuti dalla donna. Svilupperò il discorso selezionando via via parti
del testo di Giovanni commentandole rispetto al percorso che
conduce a formulare diversi tipi di
preghiera di domanda, collegati al maturare della fede.

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